Cifre e fatti invece di propaganda
di (e tradizioni di) Simona Maria Frigerio
In questi mesi ci si sarebbe dovuti accorgere almeno di due cose. Mentre noi occidentali ci siamo abituati a politici che mentono – disattendendo le promesse elettorali ma anche citando spudoratamente dati che sanno fallaci, certi della compiacenza dei nostri mass media e dell’ignavia o poca memoria del cittadino medio – il Presidente russo è sempre molto attento a ciò che dice e ai dati che fornisce (oltre ad avere una sola parola).
Riguardo alla fine dell’Accordo del Mar Nero, i nostri politici e mass media hanno subito iniziato a blaterare di crisi alimentare in Africa. Il 17 luglio il blasonato lISole24Ore titolava: “Il mancato rinnovo dell’accordo sul grano rischia di far esplodere l’insicurezza alimentare in Africa”; il 24 luglio, l’Agenzia Stampa ADNKronos rimarcava: “Ucraina, rischio crisi alimentare globale con mancato accordo sul grano”; e ancora più pesante tuonava l’affidabile Repubblica, il 25 luglio, riprendendo le affermazioni del nostro Presidente della Repubblica: “Mattarella ai russi: «Sciagurato colpire l’accordo sul grano»”. Si puntava di conseguenza molto sulla visita settembrina del Presidente turco Erdoğan a Sochi per “fare pressioni su Putin per il ripristino dell’Accordo” (euractiv.it).
L’italiano medio si è quindi fatto un quadro della situazione affidandosi non a fake news ma ai media riconosciuti come affidabili. Purtroppo, la realtà sta altrove.
Dal comunicato del Presidente Putin, come del Ministro degli Esteri Lavrov, e nell’opinione della sua portavoce, Maria Zakharova – tutte voci che suonano all’unisono (cosa strana, per noi occidentali, abituati a dichiarazioni stridenti persino dalla bocca dei medesimi personaggi) – ecco emergere un quadro diametralmente opposto.
Detto questo, Erdoğan si porta a casa un ottimo risultato: “la prima unità della centrale nucleare di Akkuyu, in Turchia, realizzata dalla Russia, diventerà operativa il prossimo anno”, come annunciato da Putin.
Per quanto riguarda il grano, ma sarebbe più esatto scrivere cereali in senso generale – che, tra l’altro, con i proiettili a uranio impoverito Made in Uk e quelli di prossima consegna statunitense, chi vorrebbe ritrovarsi sulla tavola? – l’Accordo non è servito per sfamare i Paesi più poveri (nonostante sul Vertice Fao a Roma, sempre del 24 luglio, Tg24.Sky.it titolasse in ‘codice quasi Morse’: “Guterres e Meloni: «Mosca riconsideri decisione su accordo grano»”).
In effetti – come ricorda Zakharova – meno del 3% dei 32,8 milioni di tonnellate di alimenti esportati dall’Ucraina è stato consegnato ai Paesi più poveri (1).
Per quanto riguarda i prezzi, che i nostri mass media (ma anche la politica occidentale) davano sicuramente in salita, sempre Zacharova puntualizza che, anche dopo la fine dell’Accordo “hanno continuato a diminuire. In agosto sono scesi del 4-5%”.
In risposta ai nostri dubbi su quali produttori di alimenti avrebbero acquistato tali cereali, sempre la portavoce del Ministro degli Esteri russo informa puntualmente che “i cereali esportati come parte dell’Accordo sono andati soprattutto ad arricchire i produttori ucraini di prodotti alimentari per gli animali”. Ovvero, l’Accordo “è stato primariamente inteso per il bestiame” e i cereali sono stati “trasportati in Europa invece che in Africa”.
E adesso veniamo ai quantitativi esatti di questa produzione agricola ucraina, senza la quale i Paesi del Sud del mondo morirebbero di fame – gli stessi che raggiungerebbero l’autosufficienza alimentare se si disfacessero delle monocolture per l’esportazione e che starebbero meglio se gestissero le proprie ricchezze minerarie e fossero padroni delle proprie politiche. Lo share ucraino nell’esportazione mondiale di grain è del 5% e in continua diminuzione. Visto che non ci preoccupiamo che in quel Paese aumenti l’inquinamento di terreni, aria e falde acquifere, grazie ai nostri continui rifornimenti di armi, dubitiamo che tali prodotti a breve siano ancora utilizzabili anche come mangime – visto che poi sono gli esseri umani a nutrirsi delle carni del bestiame. E qui occorrerebbe un serio approfondimento sulla sicurezza alimentare di tali prodotti (già nel 2018 le Nazioni Unite denunciavano l’uso di pesticidi illegali in Ucraina, 2).
Come sempre la Russia – e Putin lo ha ribadito durante l’incontro con l’omologo turco – ricorda anche quella serie di punti fermi che facevano parte del medesimo Accordo e che sono stati disattesi (siamo certi che se Meloni non ne è stata informata, António Guterres, Segretario Generale dell’Onu, li conosce perfettamente).
Il primo punto, come sottolinea Zacharova, è “riconnettere Rosselkhozbank al sistema SWIFT”. Il secondo riguarda le assicurazioni sulle navi russe, quindi vi è il problema degli asset congelati a causa delle sanzioni unilaterali (per inciso, illegali a livello di Nazioni Unite). Quarto punto l’oleodotto Togliatti-Odessa, che trasportava ammoniaca (indispensabile per produrre fertilizzanti), il quale ha subito danni a causa di un attentato ucraino – a meno che la stampa italiana pensi ancora che la Russia se lo sia auto-distrutto come ha ventilato per mesi riguardo al Nord Stream, per poi essere smentita da quella tedesca.
La Russia, infine, ha inviato/invierà, oltre a fertilizzanti in vari Stati, a proprie spese e senza alcun accordo specifico: “200.000 tonnellate di grano alla Somalia, alla Repubblica Centrafricana, al Burkina Faso, allo Zimbabwe, al Mali e all’Eritrea”. Inoltre, e qui – sì – vediamo un nuovo accordo russo/turco da plaudire: “si sta sviluppando un progetto congiunto con Ankara e Doha per consegnare un milione di tonnellate di cereali alla Turchia, dove saranno processati e imbarcati gratuitamente per raggiungere i Paesi più poveri”.
“Fatti, non parole!”, recita una ben nota réclame.
(1) Si veda, tra i molti articoli a riguardo: http://www.perlapace.it/grano-ucraino-grande-inganno/
(2) Le inchieste ufficiali delle UN: https://www.unep.org/news-and-stories/story/fake-pesticides-real-problems-addressing-ukraines-illegal-and-counterfeit
venerdì, 29 settembre 2023
In copertina: Foto di Joe da Pixabay