Le battaglie di retroguardia del Pd
di Luciano Uggè
C’era una volta il reddito di cittadinanza.
Ovviamente poco più di un obolo di povertà con i suoi 551,11 euro medi a prestazione, distribuiti nel corso del 2022 (almeno per una mensilità) a 1.685.161 famiglie, ovvero 3.662.803 individui. Un surrogato del sussidio di disoccupazione di lunga durata che permetteva a over 50 disoccupati, persone con disabilità psico-sociale o disagio psichico, oppure con problematiche tali da vivere in case-famiglie, ex (o tuttora) tossicodipendenti e alcolizzati, donne separate senza assegno di mantenimento o in case di accoglienza, eccetera, di sopravvivere e, nel contempo, aumentando la spesa pro capite per beni di prima necessità, dare impulso anche all’economia.
Non solo. Il reddito di cittadinanza per quanto basso era concorrenziale soprattutto nei confronti del lavoro nero – quasi sempre forma di sfruttamento che non praticano solo le mafie nei confronti dei migranti ma anche settori quali il turismo, la ristorazione e l’agricoltura nei confronti degli italiani.
Ma se qualcuno opinasse che vi era chi percepiva tale miseria (in un Paese che si vanta di appartenere ai G7 e a quell’Europa che, per Josep Borrell: “è la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire”) non avendone diritto, non possiamo che ricordare a tali ‘anime pie’ quanto ci costa l’evasione italiana: “Nel 2019 il tax gap […] ha raggiunto un valore pari a 99,2 miliardi di euro, di cui 86,5 miliardi di euro di mancate entrate fiscali, quindi relative all’evasione di varie imposte e tasse, e 12,7 miliardi di euro di mancate entrate contributive, per esempio legate ai contributi pensionistici” (1). Dato che il reddito di cittadinanza costava allo Stato meno di 8 miliardi l’anno, ipotizzando anche qualche migliaio di ‘furbetti’, di cosa stiamo parlando se non di retorica da bar?
Il Partito Democratico, forse ascoltando la pancia sempre più vuota e vendicativa di una fascia dei suoi elettori – in Toscana, regione ‘rossa’, in due anni si sono persi 55 mila posti di lavoro a tempo indeterminato, mentre sono precari tre nuovi contratti su quattro (2) – ha pensato che togliere un diritto, ossia quello alla sopravvivenza (da sempre a carico delle famiglie in questa Italietta catto-comunista), potesse essere una buona mossa per favorire l’ennesima battaglia di retroguardia. Ovvero il salario minimo. I 9 euro lordi l’ora.
Peccato che commercio e industria già li abbiano raggiunti e persino il settore artigiano se si tiene conto del salario differito, ossia tredicesima, quattordicesima e Tfr, può affermare che i propri occupati oggi ricevono una retribuzione lorda oraria superiore a 9 euro. Mentre i contratti di secondo livello (territoriali e/o aziendali) migliorano ancor più la situazione retributiva degli assunti.
Ma il problema sta proprio nel termine ‘assunzione’. Sono la precarietà e il lavoro nero (o formule che sappiamo essere applicate in vari ambienti, come i full-time che, in busta paga, diventano part-time) il vero problema, che non può ovviamente essere risolto da tale legge.
Se si volesse davvero imporre un aumento del salario (e non solo minimo), per uniformarlo all’Europa, si sarebbe dovuto pretendere un aumento in percentuale di tutti gli stipendi (considerando gli aumenti medi degli ultimi vent’anni in Francia e Germania) e il recupero totale dell’inflazione.
I 9 euro lordi l’ora non solo sono una battaglia di retroguardia ma rischiano di essere un boomerang. Quanti imprenditori o associazioni padronali di categoria potrebbero decidere di non aderire più alla contrattazione di secondo livello o addirittura abbassare i minimi contrattuali dei contratti nazionali, oggi più elevati dei 9 euro lordi l’ora?
(1) I dati sull’evasione fiscale: https://pagellapolitica.it/articoli/quanto-vale-evasione-fiscale-italia-grafici
(2) La situazione lavorativa in Toscana: https://www.firenzetoday.it/economia/economia-toscana-primo-semestre-2023-lavoro-precario-salari-bassi.html
venerdì, 22 settembre 2023
In copertina: Foto di Alexa da Pixabay