“Ricordati che devi morire!”, Internet ammonisce
di Noemi Neri
Come si diventa vecchi oggi?
È da questa domanda che prende avvio la riflessione di Massimo Mantellini, uno dei maggiori esperti della rete italiana, nel saggio Invecchiare al tempo della rete. Sulla scia della lettura del saggio La vecchiaia di Natalia Ginzburg, Mantellini indaga come si invecchia oggi alla luce del progresso tecnologico.
Nel suo saggio ci porta in un luogo inedito. Se fino a poco tempo fa le persone anziane diventavano quasi invisibili all’interno della società, oggi la loro presenza in rete cambia completamente il modo in cui viviamo e osserviamo la vecchiaia. Il passare del tempo diventa in un certo senso, pubblico: “Lo sguardo didascalico e anaffettivo su qualsiasi cosa si stia modificando al di là dell’obiettivo diventa un reperto da mandare in archivio”.
L’anziano che naviga in Internet sembra una nuova versione del flâneur baudelairiano, spiega l’autore citando Walter Benjamin. Una figura che visita la città senza fretta e che si ritrova ora, con la stessa lentezza, a doversi muovere all’interno del veloce intreccio delle reti digitali.
Mentre il mondo reale ci esenta dal dover sapere e vedere tutto, “il mondo digitale è edificato sulla brutalità del dato”. Internet ci mostra la vecchiaia mai come prima d’ora.Non tiene conto della sensibilità dell’anziano, il quale è come se si ritrovasse in una stanza piena di specchi, come se sentisse continuamente una voce che gli ricorda l’avanzare degli anni: “Il mio vicino di ombrellone, un tizio sui sessant’anni che si sveglia dopo una pennichella”, un banale commento su Facebook che non tutti leggono con la stessa prospettiva.
La vecchiaia viene resa maggiormente pubblica rispetto al passato, gli input che alla persona arrivano in tal senso non riguardano solo le immagini, ma i commenti, tutto ciò che ricordano con nostalgia e che non esiste più. Gli anziani continueranno a pensare alla musica di un tempo, ad abiti ormai fuori moda, evidenzieranno queste differenze come il privilegio di aver vissuto anche un mondo diverso. Allo stesso tempo, però, questo crea un fossato invalicabile tra un prima e un dopo, perché il passato nel quale vivono, non esiste più.
Così, se da un lato la vecchiaia vive la massima esposizione, dall’altro, lo spazio ai margini che la società dedicava all’anziano è solo spostato online. La rete, infatti, è pensata per i giovani, esclude a priori le persone più anziane, basta pensare al design con cui sono progettati i dispositivi per le tecnologie digitali. Occorre utilizzare in tempo reale codici, password, riconoscimento facciale, autenticazione a due fattori, i quiz captcha, impronte digitali. Ogni oggetto ha un codice alfanumerico da digitare, sarà necessario generare ulteriori codici nell’app di un cellulare, e l’assistenza, in caso di necessità, è delegata all’intelligenza artificiale. Tutto ciò che dovrebbe rendere i dispositivi più sicuri e semplificarne l’utilizzo, per alcuni lo complica.
Quanti di noi hanno fatto l’esperienza di essere chiamati in aiuto perché qualcosa dal cellulare era sparito? Una cartella, un’applicazione, una foto, apparentemente persi nel nulla per ritrovarli poi nascosti nei meandri del telefono. Le persone anziane, oltre alla difficoltà mentale di comprendere e stare al passo con un mondo che è completamente diverso da quello analogico a cui sono abituate, si rapportano anche con una certa goffaggine all’utilizzo dei dispositivi. Schermi piccoli, lettere minuscole che mettono a dura prova la loro vista e manualità, la latenza tra pensiero e azione che rende tutto ancora più difficile.
Per la prima volta, fa notare Mantellini, l’esclusione di una parte della società avviene non per ragioni sociali o culturali, ma a partire dal design di un oggetto: “Gli ingegneri che scrivono il codice di Android o iOS semplicemente lo ignorano o per qualche ragione scelgono di non occuparsene. Non si tratta di persone cattive, semplicemente non hanno mai visto un anziano che in bagno prende le misure allo spazio intorno per mettersi le mutande”.
Tuttavia, la persistenza delle persone oltre una ‘certa età’ all’interno degli ambienti digitali, ha cambiato le caratteristiche dell’essere anziani. Mantellini parla della figura del vecchiogiovane, una persona che vive l’incertezza di sé e che l’unico modo che ha per sentirsi adatto alla vita, è fingere. Fingerà di avere molti amici, di essere una persona che non è, di conoscere cose che in realtà non sa. E questa finzione lo renderà idoneo a vivere lo spazio della rete, quella nuova piazza in cui cerca di conciliare l’eccitazione per un mondo nuovo e il timore di non sentirsi all’altezza. Il ‘vecchiogiovane’ può tornare ad abitare gli spazi di tutti, può stare lì dove stanno i giovani provando invidia e compatendoli per la loro inesperienza. Lì si scontrerà con il brutale divario tra tutto ciò che conosce e non ri-conosce, andrà in crisi cercando continuamente di adattarsi senza avere le istruzioni del nuovo mondo, rifiuterà la propria età pensando di poter avere qualcosa in più dalla vecchiaia.
Secondo una proiezione della BBC del 2016, nel giro di pochi decenni il numero dei profili Facebook delle persone decedute, supererà quello delle persone ancora in vita. La vecchiaia predominerà gli ambienti digitali insieme alla morte. Insomma, le infinite potenzialità della rete e della tecnologia in generale, sembrano volerci mettere continuamente davanti alla nostra finitezza di esseri umani. Dal proverbio bhutanese “Per essere felice una persona dovrà contemplare la morte cinque volte al giorno”, è nata l’applicazione WeCroack, la quale cinque volte al giorno manda una notifica di promemoria ricordandoci, appunto, che dobbiamo morire. “Mo’ me lo segno” direbbe ironicamente Troisi. Eppure, app o non app, la rete in maniera evidente o sottile, ci ricorda quanto il mondo cambi rapidamente e noi possiamo solo tenere il passo finché ne abbiamo il fiato.
Invecchiare al tempo della rete
di Massimo Mantellini
Einaudi, 2023
144 pagine
Euro 11,40
venerdì, 22 settembre 2023
In copertina: La copertina del libro (particolare)