Il futuro dell’Europa
di Simona Maria Frigerio
Negli ultimi mesi si è da più parti cercato di spiegare le ragioni della destabilizzazione permanente dell’Europa. Escludendo la retorica filo-statunitense del dittatore russo che avrebbe invaso l’Europa se non si fosse frapposta l’eroica ‘resistenza’ Ucraina (con il corollario di sanzioni boomerang, esplosione dei gasdotti Nord Stream (1), carneficina al fronte, nuova dipendenza – ma dal gas di scisto a Stelle e Strisce – e deindustrializzazione della Germania), le ipotesi un po’ più realistiche si sono orientate su due fronti.
Il primo, la necessità per gli States di potenziare il dollaro a scapito dell’Euro per continuare a finanziare il suo debito pubblico ma anche per tenere in scacco aziende europee troppo competitive con il Foreign Corrupt Practices Act, come ha denunciato l’ex Ministro dell’Economia francese nei governi Ayrault I e II, Arnaud Montebourg, di fronte alla Commissione d’Inchiesta relativa alle ingerenze politiche, economiche e finanziarie di potenze straniere (2).
Il secondo fronte è quello dell’indebolimento della concorrenza industriale tedesca, che gli States stanno ottenendo in due modi – obbligando l’Europa a sostituire il gas russo con quello molto più costoso e inquinante di scisto, proveniente dagli Stati Uniti (e che stava trasformandosi in un’impresa fallimentare) e, quindi, costringendo ad alzare il prezzo delle nostre produzioni, a causa dell’aumento del costo dell’energia, rendendoci non più competitivi sui mercati internazionali. E nel contempo attirando le imprese europee, sul proprio suolo, con una ricollocazione che offre sgravi fiscali e incentivi di vario tipo (3), o più semplicemente investimenti stranieri in aziende statunitensi, che producono soprattutto semiconduttori e tecnologie per le energie rinnovabili. Sulla riuscita di quest’ultima manovra i dati sono, però, contrastanti. Nel senso che se è vero che tali aziende hanno visto aumentare gli investimenti stranieri nei loro settori, è altrettanto vero che gli stessi sono stati semplicemente dirottati da altri settori. Il che significa che gli investimenti totali nell’industria statunitense non sono aumentati. Inoltre, gli investitori che “riversano i loro soldi nelle aziende statunitensi sono largamente concentrati in Gran Bretagna ed Europa continentale, oltre che in Canada, Giappone e Corea del Sud. Solo lo 0,5% degli investimenti è associato con la Cina” (4) – come scrive il New York Times – il che significa che l’egemonia industriale Us è finanziata a scapito di quella dei suoi alleati Nato e teorici partner commerciali.
Tutto vero. Ma perché gli States starebbero rischiando di fare implodere l’Europa e di azzerare, con un nostro impoverimento generalizzato, il mercato che dovrebbe acquistare le loro merci e le tecnologie d’avanguardia – tenendo anche conto che queste ultime, secondo le Dichiarazioni dei G7, non dovrebbero essere cedute facilmente a possibili competitor, come la Cina?
Se l’Unione Europea è sul lastrico, l’unica via d’uscita è proseguire una guerra in Donbass sperando che la Federazione Russa collassi (grazie ad armi sempre più devastanti regalate o ‘prestate’ a Kiev, non ultimi i nuovi proiettili a uranio impoverito, e tentando di coinvolgere altri Paesi nel vortice sanzionatorio) così da appropriarsi delle sue risorse energetiche per tornare a essere industrialmente competitivi? Ma come si concilierebbe tutto ciò con gli impegni di acquisto di shale gas firmati con gli States fino al 2030, gli investimenti in rigassificatori e la deindustrializzazione della Germania già avviata?
E infine, cosa sta accadendo alla Francia? La fine della Françafrique non sta avvenendo troppo rapidamente? L’Ecowas si presterà al gioco francese? In Libia c’erano solamente i francesi o anche Regno Unito e Stati Uniti hanno contribuito a destabilizzare il Paese? Oggi le scelte dell’Onu di riconoscere il Governo di Tripoli sono da imputare solo alla Francia? E in Gabon si può definire rivoluzione un golpe che sostituisce un francofilo con un filo-statunitense?
La fine della credibilità della Francia – e del suo peso nel mondo – la si avverte anche dalle dichiarazioni di Giuliano Amato (5), che accusa apertamente questo Paese (e la Nato per le coperture) della strage di Ustica. Stiamo parlando dell’ex Presidente del Consiglio ed ex Presidente della Corte Costituzionale. Così come l’Europa ha ormai perso qualsiasi credibilità a livello diplomatico dopo le dichiarazioni dell’ex Cancelliera Angela Merkel e dell’ex Presidente francese François Hollande che gli Accordi di Minsk erano una manovra occidentale (6). Da quando in qua i nostri ‘statisti’ si lasciano andare a simili esternazioni confidenziali che demistificano totalmente le azioni dell’Europa delle ‘regole’?
Dalla pandemia alla guerra in Donbass
Dall’emergere della Covid-19 si sente parlare di crisi del capitalismo. Alcuni hanno ventilato il termine ‘grande reset’. Ma il futuro, nel 2020, appariva nebuloso e le trame del capitalismo lobbistico d’Oltreoceano solo a tratti decifrabili.
Ora sappiamo che la pandemia è stata uno stress test dai risultati eclatanti. Si è lavorato su paura, coercizione e controllo dei media, con un’efficienza mai vista dalla Seconda guerra mondiale. Si sono commessi errori medici e diagnostici talmente grossolani da apparire incomprensibili; si è creato un clima da caccia alle streghe o all’untore, che ha diviso la cittadinanza in persone e paria da disprezzare; si è convinta la classe medica a non curare secondo scienza e coscienza e i sindacati a derogare al principio del diritto al lavoro (persino in streaming) o a un assegno alimentare; si sono azzerate libertà come quella d’impresa, movimento, autodeterminazione sul proprio corpo e opinione; si è arrivati a consegnare l’acquisto di milioni e milioni di dosi di vaccino (che, in seguito, si è scoperto non essere stato testato per bloccare i contagi) a un messaggio via whatsapp (7) – a discapito di principi quali la trasparenza e la concorrenza e legittimando che la Presidente della Commissione Europea (organo non eletto dai cittadini) contrattasse con il Ceo di un’azienda privata. La dirigenza politica in Italia ed Europa ha dimostrato di poter piegare la volontà e fare un lavaggio del cervello alla popolazione tale che, dopo due anni, non si riesce non solo a fare chiarezza di quanto accaduto a livello politico (vedasi gli ostacoli alla Commissione d’Inchiesta) ma nemmeno di società civile: nessuno può o vuole ammettere di essere caduto nel tranello. E nel frattempo, il fiato di Bruxelles torna a farsi pesante: per il 2024 si ventila il rientro nel Patto di stabilità (8) e Paesi come l’Italia rischiano il collasso dei conti pubblici e dei pochi servizi ancora garantiti – quali la sanità universale, il sistema pensionistico (entrambi sempre più ridimensionati negli anni) e la scuola dell’obbligo.
L’Italia potrebbe essere, quindi, dopo UK (Brexit), Germania (esplosione Nord Stream e deindustrializzazione), Francia (fine della Françafrique), la pedina destinata alla débâcle. Ma la domanda è: perché? Perché l’Europa potrebbe, a breve, passare da centro di potere/sebbene dipendente a periferia? Questo cosa significa? La teoria dello sganciamento, un libro scritto quasi una quarantina di anni fa da Samir Amin, può spiegare cosa significherà tale passaggio e cosa intendano le lobby statunitensi con grande reset.
La ‘periferia’ e il ‘centro’
L’imperialismo (usiamo il termine di Amin, che oggi si potrebbe interpretare come delocalizzazioni neo-colonialiste) è la fine della fase montante del capitalismo e l’inizio della sua crisi. Il meccanismo imperialista, infatti, prevede la delocalizzazione delle industrie dove è possibile lo sfruttamento dei popoli – ossia nella ‘periferia’ del mondo globalizzato – e la concentrazione dei capitali in monopoli, multinazionali e centri finanziari (dove lobbizzare/controllare il sistema politico). Per far ciò un tale sistema deve impedire che le periferie si sviluppino in nuovi centri (che, però, sarebbero indispensabili alla crescita del capitalismo). In pratica, l’imperialismo – o la globalizzazione che è andata affermandosi negli ultimi 30 anni – implica che i Paesi del Sud del mondo rimangano ‘sottosviluppati’.
Perché l’Europa rischia di implodere o esplodere: i segnali d’allarme
L’esempio più eclatante di questo calcolo sbagliato è la Cina – passata da periferia a centro. L’arroganza del capitalismo occidentale di tipo ‘imperialista’, attratto dalla defiscalizzazione e dallo sfruttamento dei lavoratori, ha imposto la delocalizzazione di aziende e know how confidando sull’erronea (razzista e ridicola) idea che i cinesi non avrebbero mai saputo o potuto fare il medesimo prodotto da soli – e, magari, meglio di noi. La RPC non solamente ha imparato ma ha investito, grazie anche al proprio regime economico-politico fortemente centralizzato, in ricerca e sviluppo, trasformandosi nell’unico Paese al mondo che, a livello economico, può oggi competere con gli Stati Uniti.
In America Latina, nel frattempo, hanno aumentato il loro peso politico ma, soprattutto, hanno raggiunto la piena consapevolezza dei propri diritti le popolazioni native e, questo, in alcuni Paesi si è tradotto nella rivendicazione del possesso e dello sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie presenti nei rispettivi Stati (pensiamo, ad esempio, al caso della Bolivia). In Africa, si registra una crescente insofferenza verso il neo-colonialismo tout-court – e francese, in particolare – con la conseguente destabilizzazione della supply chain delle materie prime a basso prezzo (vedasi il caso del Niger, il cui l’uranio è stato depredato per decenni dal Paese d’Oltralpe ed è tuttora la ragione della testardaggine del suo Presidente). E infine, l’Asia Occidentale (o Medio Oriente/Paesi Musulmani) sta recuperando una sua unità e il valore del non allineamento, rifiutando finalmente di essere arma per procura degli interessi statunitensi nell’area – lo vediamo nel riavvicinamento di Iran e Arabia Saudita, nella fine (si spera) della guerra in Yemen, nella riammissione della Siria nella Lega Araba e nell’adesione di Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi Uniti ai Brics.
Ma come insegna Amin, perché un centro (leggasi gli States post Seconda Guerra Mondiale e, in maniera esponenziale, dallo scioglimento dell’Urss) funzioni, devono esistere alcune condizioni. Deve controllare la forza lavoro, localmente, e centralizzare il plusvalore canalizzandolo anche in investimenti finanziari (le varie bolle del mercato che abbiamo visto scoppiare negli anni). Il centro deve controllare il mercato ma anche gli organismi che lo regolano, come il Wto (vedasi la ventilata battaglia che vuole intraprendere il Giappone, membro dei G7, contro la Cina, che pretende di bandire i prodotti ittici del primo dopo lo sversamento delle acque di Fukushima nell’oceano). Il centro deve accaparrarsi le risorse naturali (il sogno europeo di rimettere le mani sulle ricchezze russe come ai tempi di Borís Él’cin) e monopolizzare le tecnologie (vedasi le dichiarazioni del G7 e l’interesse dell’Occidente a imporre le proprie tecnologie per le energie rinnovabili ai Paesi del Terzo mondo per indebitarli ulteriormente, mentre noi andiamo verso shale gas, centrali nucleari e batterie elettriche, con il gap di trovare il modo per impossessarci di uranio e litio).
Tutte le categorie previste da Amin per definire l’imperialismo sono presenti nei G7 ma, allo stesso tempo, è l’imperialismo a mettere in crisi il nostro stesso sistema capitalistico – oltre al fatto che il cosiddetto Sud del mondo pare aver capito la lezione ed essersi stancato di attendere che benessere e sviluppo lo raggiungano attraverso delocalizzazioni e neo-colonialismo.
Un futuro nazionale?
“Il sistema capitalistico dimostra ormai chiaramente di essere incapace di garantire benessere e sviluppo per tutti” (9). L’imperialismo (o neo-colonialismo con corollario di delocalizzazioni) non può nemmeno permetterselo.
Sacrificare la Ue può non essere così difficile e l’unica via praticabile per gli States. Pensiamo a come fu rapida la fine dalle Tigri Asiatiche, che non avevano nemmeno i nostri problemi a livello economico e politico, e ai fallimentari tentativi del Fondo Monetario Internazionale per salvarle (10). Se scompaiono le altre periferie che l’imperialismo Us ha finora sfruttato, i Paesi della Ue potrebbero supplire know how e risorse umane a basso costo (anche se la mancanza di risorse energetiche renderebbe l’implosione della Russia altrettanto allettante, ma non realisticamente fattibile).
L’Unione Europea potrebbe quindi diventare compattamente periferica, con una leadership sempre più autocratica che risponde a interessi extra-regionali; oppure potrebbe implodere in nazioni, dove ogni parlamento deve rispondere al popolo che lo elegge, ripartendo dai bisogni di quest’ultimo.
Oggi la teoria dello sganciamento di Samir Amin non riguarda più solo il Sud del mondo, ma interessa noi europei più di quanto la nostra arroganza (e ignoranza) ci permette di ammettere; e si riallaccia alla visione multipolare della Russia e della Cina. Ma non solo. Le lotte dei lavoratori europei per difendere pensioni, salari e diritti (come la sanità universale) non potrebbero legarsi a quelle dei popoli africani che premono per uno sviluppo sostenibile ma equibrato (affrancato dalla viosione neocolonialista imperante in Occidente)? Le lotte possono saldarsi contro un imperialismo che si pasce delle divisioni per assicurare i soliti poteri forti. Dire no alla Nato, al 2% di Pil speso a scopi bellici, agire per il dialogo e la pace, riportare i Governi a rispondere direttamente ai cittadini, bandire ogni forma di autocrazia: tutto ciò permetterebbe alla classe lavoratrice francese, ad esempio, di non vedere il Niger e il suo popolo solo come fonte di uranio a basso costo indispensabile alle proprie centrali nucleari.
Un altro mondo è ancora possibile? Se vi sembra reazionario ripartire dal concetto di nazione, nonostante sia chiaro che russi e cinesi stiano dimostrando la sua importanza e la sua forza (anche per contrastare la visione unipolare dell’imperialismo statunitense) pensate alle istanze egualitarie, anarchiche e libertarie dei minuscoli caracoles zapatisti. Forse nel 2001 avevamo ragione noi?
(1) L’attentato al Nord Stream: https://www.rsi.ch/news/mondo/Nord-Stream-%E2%80%9C%C3%88-stato-un-commando-ucraino%E2%80%9D-16496320.html
(2) La Commissione d’inchiesta francese: https://www.inthenet.eu/2023/06/23/julian-assange-in-pericolo-messaggio-agghiacciante-per-la-liberta-di-stampa/
(3) Incentivi e detassazione Us: https://www.aemorgan.net/investire-in-america/
(4) Gli investimenti stranieri nell’industria statunitense: https://www.nytimes.com/2023/08/23/us/politics/biden-foreign-investment-factories.html
(5) La dichiarazione di Giuliano Amato: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-macron_chieda_scusa_le_affermazioni_di_giuliano_amato_sulla_strage_di_ustica/27802_50690/
(6) Sugli Accordi di Minsk: https://www.voltairenet.org/article218588.html
(7) Sms e Whatsapp tra von der Leyen e il Ceo di Pfizer: https://www.repubblica.it/esteri/2022/01/28/news/ue_sms_e_whatsapp_ursula_von_der_leyen_con_ceo_pfizer_ombudsman-335549288/
(8) La proposta di rientro:
https://www.agi.it/economia/news/2023-08-26/patto-stabilita-torna-nel-2024-ue-manovra-22768089/
(9) Samir Amin, La teoria dello sganciamento, https://books.google.it/books/about/La_teoria_dello_sganciamento.html?id=Yk62oAEACAAJ&redir_esc=y
(10) Note veloci sulla crisi del 1997: https://investire.biz/economia-e-finanza/la-speculazione-valutaria-del-97-e-la-crisi-delle-tigri-asiatiche
venerdì, 15 settembre 2023
In copertina: Foto di Klaus Dieter vom Wangenheim da Pixabay