La rivoluzione culturale è cominciata grazie al Direttore Filippo Demma
di Lorena Martufi
“Il futuro non arriva da sé se non ci diamo da fare” scriveva Majakovskij, alla ricerca del sole.
A Sybaris il direttore del Museo della Sibaritide e del Parco archeologico di Sibari, Filippo Demma sta facendo la rivoluzione. Tra frutteti, vigne, reperti archeologici e tanta musica, passando per le terre di Cosenza, dal Pollino fino al mare Ionio, dove nasce il sole e mai tramonta. Qui sembra che il futuro realmente sia di casa, se possiamo recuperare il diritto a essere felici, rivendicando con orgoglio che siamo greci, nella nostra ostinazione ad occuparci di bellezza e a farcela bastare per vivere.
Dopo anni di incuria, inefficienza, sperpero di risorse, che hanno interessato violentemente il Parco e il Museo, presi di mira dalla criminalità oltre che dalla sfortuna e dall’incompetenza delle diverse gestioni che si sono alternate nel tempo, oggi finalmente ci accorgiamo che c’è qualcosa di nuovo sotto il sole, e pure di antico. Sybaris, immersa in un’operazione di valorizzazione culturale senza precedenti, è al centro di un processo di cambiamento che è solo all’inizio, e se compreso nella sua complessità e unicità, è destinato a espandersi e a diventare epocale, coerente con il suo glorioso passato e con la sua fama di colonia più importante della Magna Græcia. Il merito è tutto di Filippo Demma, alla guida della Direzione Regionale dei Musei in Calabria, direttore del Museo della Sibaritide e Parco archeologico dal 2021, selezionato tra i massimi esperti del settore, a livello internazionale, per la sua formazione in campo scientifico e professionale. Di sangue reazionario campano, è destinato a scrivere in questa nostra amara terra, che non è la sua ma che ha imparato ad amare come se lo fosse, una bella storia. Forma una squadra di giovani, in prevalenza donne, tutti talentuosi e specializzati, li organizza in un nucleo che cresce come una famiglia e in poco tempo compie il miracolo. Come Maradona al Napoli, come Peter Sellars nel Bronx col Don Giovanni di Mozart, Demma fa in primo luogo un’operazione educativa e sociale insieme, orientata a creare sensibilità, appartenenza, coscienza collettiva, a salvarci tutti dal sistema facendo ‘casa’ dentro al museo – che smette di essere luogo appartato ed elettivo dove maciullare saperi tra dotti, medici e sapienti e riportandolo, invece, a oggetto d’uso culturale dalle infinite possibilità, nelle combinazioni di buone pratiche volte a creare comunità, in un’ottica aggregante, costruttiva, stimolante che diventa, di conseguenza, anche economica.
Così il direttore è riuscito a trasformare Sibari da reliquia stanca della storia a immagine simbolica potente nel presente e proiettata nel futuro, investendo su una politica di valorizzazione e gestione del patrimonio culturale smart, che ha nel museo il punto di arrivo e di partenza di diverse trame che coincidono con le realtà eccellenti del nostro territorio – le quali, tutte insieme, fanno rete e si tengono per mano, come sorelle nelle fila di avanguardie della contemporaneità. Attivista, visionario, leader dentro e fuori al Museo, popolare tra la gente, ma anche necessariamente solitario, sofisticato uomo di pensiero, capace di raccogliere e anche lanciare sfide ai nostri tempi duri con sogni ancora più duri, Demma ha costruito in questi pochi anni una politica/poetica viva che, puntando al cuore della cultura greca con iniziative di qualità, fa il pieno di visitatori.
Eno/Oìno è un viaggio dentro all’antica Enotria, che approfondisce il legame tra il vino e la Sibaritide e che ci fa immergere nella culla della civiltà, invitandoci ad entrare al Museo come a casa nostra, dove ci attende sul finale la degustazione delle migliori bottiglie del consorzio Terre di Cosenza. Qui la ricetta della felicità coincide con quella del futuro e dell’economia che salva il mondo e disegna il suo domani: i giovani coltivano la terra e allo stesso tempo studiano, producono vino, ci svelano tutti i segreti della bevanda dionisiaca per eccellenza in una masterclass di alta formazione, accessibile a tutti, che si tiene dentro al Museo. Allora la cultura torna a essere indissolubilmente legata alla coltivazione della terra, come nel suo significato originario, quello latino del verbo colere, la qual cosa ci ricorda che abbiamo bisogno di poeti ma anche di contadini che lavorano le vigne e sanno fare il vino e l’olio migliori di questo mondo. Tutto ciò inizia a dare vita al piano di valorizzazione summenzionato, che si amplifica anche attraverso i canali social del Mic e che fa scuola perfino a Pompei.
Filone enogastronomico e archeologia si intrecciano in una rassegna che ricorda l’antico Simposio, il tradizionale banchetto greco e romano, destinato alla degustazione dei vini prescritti dal simposiarca, al canto o alla recita dei carmi conviviali e intrattenimenti vari, come ci spiega lo stesso direttore che conduce la visita al Museo (finalmente aperto, gratuito, accessibile, digitale, pop) in jeans e maglietta, per una narrazione sulla lunga storia del territorio attraverso i reperti in mostra. Ma è fuori dal Museo che cogliamo il messaggio che completa il titolo della mostra: “e dove non è vino non è amore, né alcun altro diletto hanno i mortali”.
Dal Museo alla Vigna è un’iniziativa unica nel suo genere, che unisce archeologia, jazz e vino, organizzata dal Parco Archeologico di Sibari, Terre di Cosenza e Peperoncino Jazz Festival. We have a dream in Magna Græcia: lo slogan – che, quest’anno, va oltre qualsiasi ambizione nel sottotitolo: Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze. Una promessa già realizzata in parte, programmata in otto date, le prime col tutto esaurito.
Dentro alla location letteralmente da favola del Castello di Serragiumenta di Firmo, nel cuore delle colline della campagna calabrese, ha preso avvio Women, jazz & Wine, tra visite alle cantine e concerti al tramonto, trekking tra le vigne, degustazioni di vini e prodotti enogastronomici di qualità, storytelling di archeologia in vigna, in cui lo staff del Parco archeologico di Sibari ha esibito alcuni reperti archeologici per illustrare le più antiche tracce e le modalità del consumo di vino in Calabria. Da notare, il 31 agosto, l’intervento a cura del Direttore su La leggenda dell’antico bevitore: una capanna di 3300 anni fa e le più antiche testimonianze sull’arrivo del vino in Calabria. A seguire il duo di Mafalda Minnozzi, che ha proposto delle riletture in chiave jazz di grandi pezzi italiani romantici e della canzone napoletana. Un focus sul vitigno di un prestigioso Malvasia, dopo un trekking spettacolare nel vigneto, tra residenze da sogno immerse nella natura, a completare il programma.
Non è stato da meno, a Castrovillari, il secondo appuntamento della rassegna. A Ferrocinto, antica dimora costruita nel 1847 e ubicata ai piedi del Parco del Pollino, che coltiva vitigni autoctoni, tra cui il Pecorello, a cui è stata dedicata questa giornata, sono state protagoniste ancora l’archeologia e il vino, nella splendida cornice della caratteristica località Le Vigne, così denominata per la vocazione naturale del nostro territorio, già documentata in epoca romana. Il responsabile dell’azienda, Raffaele Branca, ha raccontato come si fa a diventare un’eccellenza: «Ci fa piacere ospitare grandi artisti internazionali nel nostro territorio, grazie a questa rassegna perché facciamo vedere quello che siamo riusciti a fare in tutti questi anni in campo vitivinicolo e in quello dell’agricoltura in generale, essendo attivi fin dal 1960, a partire dalla frutticoltura, dal riso, dall’olio, e negli ultimi dieci anni anche nel mondo del vino. Mi piace ricordare che abbiamo iniziato con uno slogan: “il nostro standard è l’eccellenza” e siamo arrivati a offrire un livello qualitativo che non è semplice da raggiungere e che tutto il mondo oggi ci riconosce come patrimonio esclusivo. Siamo fortunati ad abitare in un posto con queste caratteristiche naturali: l’escursione termica che, dalle colline scende fino al mar Ionio, favorisce le caratteristiche particolari dei nostri vini, soprattutto dei bianchi». Il focus vitigno sul Pecorello trascina il pubblico all’aperto, fuori dalla bellissima sala interna dal design innovativo con grandi vetrate che affacciano sui vigneti, dove per il forte evento è stato spostato il concerto di Rossana Casale, cantante nostrana, allontanatasi dal mainstream di Sanremo e poi di X Factor per dedicarsi al jazz. Tanti gli omaggi eleganti che nel corso della serata ha rivolto a grandi successi musicali, insieme all’eccellente trio guidato da Sasà Calabrese che l’ha accompagnata al basso, con un notevole Giuseppe Santelli al piano e Fabrizio La Fauci alla batteria. Il concerto si è tenuto dopo l’introduzione a cura del Direttore Demma e l’interessante presentazione, tenuta dal giovane archeologo Marco Pallonetti, di un’anfora corinzia del VII° secolo a.C.
Ci piace questo viaggio ancora da concludersi, ma già pieno di emozioni, iniziato per coincidenza sicuramente fortunata con la mia partecipazione a Mnemosyne. La memoria e la salvezza,in cui ho cercato di interpretare i frammenti orfici rinvenuti su alcune laminette d’oro, ritrovate dentro alle città dei morti, fuori dalle mura di Thurii, colonia greca presso Sibari. Lo stesso Filippo Demma, ospite dell’iniziativa, ci ha spiegato con un’attenta e documentata analisi, la storia di queste laminette d’oro, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Su questi meravigliosi fogli d’oro erano iscritte le istruzioni per il defunto nel suo viaggio nell’aldilà, ovvero il percorso che l’anima doveva compiere per arrivare alla salvezza, intesa come beatitudine. Ne è valsa la pena ascoltare questa bellissima pagina della storia dell’immortalità che ancora una volta ci rende vicini ai Greci, nelle dottrine di salvezza che ci ricordano quelle cristiane, in parte, sapientemente narrate con fonti alla mano e immagini proiettate nella magnifica cornice del Protoconvento francescano, dove siamo stati accolti da Claudio Zicari, che ha ospitato l’iniziativa, all’interno del Castrovillari Film Festival.
Siamo grati a quanto Demma ha fatto e sta continuando a fare per il nostro territorio, grazie alla cazzimma di chi non si conforma al mondo nelle sue scontate e ordinarie categorie ma si interroga continuamente, dentro a una corsa a ostacoli che brucia il tempo e mette alla prova la continuità del lavoro svolto, tra la responsabilità del passato e quella più eroica del futuro, di cui il presente soltanto adesso è l’unica, seppur fragile, certezza. Comunque andrà, Demma è destinato a entrare nella storia millenaria che lui stesso racconta, col rischio di non poter più tornare indietro, ma solo proiettarsi nel futuro, vero e vivo, dove le arti classiche, visive e contemporanee convivono con l’archeologia e scelgono Sybaris per occuparsi di ricerca e sperimentazione.
Questo è quanto succederà con In-Ruins 2023, rassegna che quest’anno per la prima volta tocca la Provincia di Cosenza con una residenza di giovani artisti provenienti da tutto il mondo (Italia, Bolivia, Francia, Spagna e Cile) selezionati dalla Fondazione Elpis di Milano, ospitata dal Parco Archeologico di Sibari, da qualche tempo arricchito dalla presenza di un futuristico eppure artigianale punto ristoro e servizi, con l’intento di connettere passato e presente, con progetti di ricerca o di produzione di opere originali ispirate da temi d’elezione: zona di contatto, la dolce vita, favole di uomini e animali, ecologia delle rovine, archeologia come esplorazione individuale. Tutto con un unico obiettivo: ripensare il territorio attraverso la sua storia, rendendo antiche le rovine luoghi di incontro e portando nel cuore di territori periferici la sperimentazione urgente e attuale dell’arte contemporanea.
venerdì, 8 settembre 2023
In copertina: Sybaris, foto di Lorena Martufi (particolare)