I funamboli della musica
di Simona Maria Frigerio
Il John Cage Party è un esperimento a metà strada tra l’happening (di cui conserva la spontaneità che maschera il rigore dell’esecuzione) e la festa musicale (cercando il rapporto e la partecipazione attiva del pubblico).
A fare da scenografia ai funambolismi espressivi di Cage, uno schermo mostra, in apertura, un video di Roberto Masotti dedicato al celebre de-compositore e intitolato Looking for Cage, mentre, durante lo spettacolo, si proiettano le fotografie che Masotti ha scattato nel corso degli anni al musicista e amico, rimontate con intento artistico.
Prima di raccontare a parole lo spettacolo musicale (missione quasi impossibile: ossimoro senza speranza), bisogna precisare che per rendere Cage comprensibile al pubblico, Carlo Boccadoro e Filippo Del Corno spiegano sempre, con sagace ironia e scherzosa professionalità, passaggi e spartiti, intervistando gli ospiti della serata e rendendo fruibile, e addirittura godibile, ogni pagina del compositore.
Un lungo percorso quello proposto ieri sera dall’Ensemble di Sentieri selvaggi al Teatro dell’Elfo di Milano, che ha spaziato dalle composizioni degli anni 30 e 40, tentativi di rap e musica minimalista in tempi non sospetti; ai duetti in stile dodecafonico rivisto e corretto; alle composizioni che mettono in dubbio il concetto stesso di musica, come la partitura per pianoforte giocattolo e 4 minuti e 33, ossia Angelo Miotto che fa partire il cronometro e per 4 minuti e 33 secondi resta immobile a fissarlo nel silenzio più assoluto – perché Cage rivendicava di comporre non musica, bensì una cornice per circondare il silenzio. Curioso vedere il pubblico in sala e ascoltarne le reazioni, da chi si sporge cercando di vedere qualcosa che non c’è a chi socchiude gli occhi, da chi forbitamente afferma sottovoce: «La mancanza di musica è musica in se stessa» a chi, come me, pensa che a volte Cage ha preso bellamente in giro il pubblico, anche se con garbo e ironia. Del resto, se ne erano già accorti gli spettatori del Lirico negli anni 70 quando, come hanno raccontato alcuni degli ospiti della serata, cominciarono a lanciare sul palcoscenico rotoli di carta igienica per mostrare tutto il proprio disappunto nei confronti del compositore. Chi di polemica ferisce, di polemica…
Ma chi era John Cage? Difficile rispondere. I musicisti di Sentieri selvaggi lo definiscono il “più adorabile anarchico tra i compositori del nostro tempo”. Patrizio Fariselli ne ha rivendicato la capacità di mettere in discussione il fare musica, in un periodo storico in cui i giovani volevano e sapevano mettere in discussione tutti i modi di produrre arte, confrontandosi con la pittura, il cinema, la rappresentazione teatrale in maniera nuova, sperimentale, fieramente avversa a un passato al quale sentivano di non dovere nulla. Anni in cui la ribellione adolescenziale del singolo si trasformava in movimento collettivo di emancipazione e produzione di nuova arte e sapere. Per quanto mi riguarda, nella mia ignoranza e parzialità di critico, non credo che Cage fosse proprio questo perché in lui rimaneva un rigore nel dettare i termini dell’esecuzione che lasciava spazio alla libertà del musicista ma descrivendone rigidamente i limiti. Per fare un esempio, Saturnino, celebre bassista, ha eseguito un pezzo per il quale ha scelto lui stesso le note musicali in maniera free, ma i tempi, il ritmo, addirittura il modo in cui ha dovuto usare lo strumento erano dettati severamente dallo spartito di Cage. Spartiti che, è bene sapere, oltre a non rifarsi alla tradizione ma essere libere interpretazioni del mezzo, erano essi stessi piccole opere d’arte, come Carlo Boccadoro ha dimostrato, presentando al pubblico lo spartito di Aria, una fusione di linee e colori che danno precise indicazioni al cantante – in questo caso, un bravissimo Sandro Naglia, giovane tenore che finalmente si distacca dall’immagine statica e priva di capacità espressive alla Pavarotti (con tutto il rispetto per la voce dell’artista modenese). Mettere in dubbio tutto e riaffermarne la validità, questo sembra a volte il dettato di John Cage: de-costruttore, mirabolante inventore di nuovi modi di fare musica che, nel momento stesso in cui de-costruisce lo spartito creando una forma nuova, ne riafferma il diritto all’esistenza. Un cantore del silenzio che crea neologismi e spartiti verbali, privi di senso ma che nel frammento racchiudono impressioni di verità. E, a volte, con l’innocenza del fanciullo che si diverte con il pubblico di adulti che lo guarda a bocca aperta, un bambino che irride sé e chi lo circonda, credendo di poterlo definire.
Tra gli ospiti della serata, alcuni dei quali hanno contribuito con la propria arte e altri anche con i ricordi personali dell’amico Cage, oltre ai già citati Saturnino, al pianista storico degli Area, Patrizio Fariselli, e a Sandro Naglia, anche un ispirato e divertente Eugenio Finardi, che ha dato prova di capacità interpretative oltre che di talento ritmico nella sua versione della conferenza sul ‘nothingness’, firmata da John Cage e con il contrappunto musicale di Carlo Boccadoro. Decisamente il pezzo più riuscito della serata che, grazie al talento di entrambi gli esecutori e alla genialità di fondere musica e parole di Cage in maniera nuova ma rigorosa, ha creato un momento di teatro in musica che avrebbe sicuramente gradito lo stesso Cage.
Un ultimo appunto sulla scenografia. Come ha lamentato lo stesso Elio De Capitani nella serata dedicata alla Festa del Teatro, si sono dovuti sacrificare l’invenzione e la partecipazione del pubblico sull’altare della sicurezza. In uno spettacolo che vorrebbe essere un party, questo è grave. Gli spettatori seduti in file parallele di fronte al palcoscenico non hanno goduto la festività dell’incontro e si sono sciolti solamente nel gran finale, stentando persino a ridere alle battute di Boccadoro che, con il pianoforte giocattolo e la sua innata simpatia, ha cercato con Filippo Del Corno di sciogliere la rigidità dei convitati a questa festa musicale. Sarà che lo spettatore della musica “colta” è più sussiegoso del rockettaro da concerto, sarà che proprio lo stare seduti su una poltrona di fronte a un palcoscenico mette in soggezione perché si ricrea la cosiddetta quarta parete che divide chi fa da chi guarda lo spettacolo, sarà che siamo lontani da quegli anni in cui Luca Ronconi coinvolgeva le masse con il suo Orlando Furioso e gli spettatori rivendicavano il diritto di lanciare rotoli di carta igienica per partecipare attivamente dimostrando in tutta libertà l’approvazione e il disappunto. Forse siamo semplicemente troppo abituati a rimanere passivi di fronte ai litigi sterili della tv, consapevoli di non essere mai noi i protagonisti se non per quei quindici minuti in cui ci viene chiesto di piangere sulle nostre sciagure da alcuni dei miei colleghi che non sanno distinguere tra fare informazione e fare spettacolo. In ogni caso, una diversa idea di scenografia avrebbe contribuito a rendere l’atmosfera più rilassata e festosa.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dell’Elfo
via Ciro Menotti, 11 – Milano
John Cage Party
Festa musicale a cura di Carlo Boccadoro
musiche di John Cage
video-concept e fotografie di Roberto Masotti
Ensemble Sentieri selvaggi:
Paola Fre, flauto e voce
Mirco Ghirardini, clarinetto e voce
Carlo Boccadoro, pianoforte, pianoforte giocattolo, foglie e rami, percussioni domestiche e voce
Andrea Dulbecco, percussioni domestiche e voce
Filippo Del Corno, pianoforte
Angelo Miotto, cronometro
con la partecipazione di Saturnino, Patrizio Fariselli, Eugenio Finardi e Sandro Naglia
venerdì, 25 agosto 2023 (la recensione riguarda lo spettacolo andato in scena il 30 aprile 2009, in originale in Anche i critici nel loro piccolo…)
In copertina: John Cage. Da Wikipedia. Foto di Rob Bogaerts / Anefo – Fotocollectie Anefo. Nationaal Archief, Den Haag, nummertoegang 2.24.01.05, bestanddeelnummer 934-2728., CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=40939081