Dalla Libia al Niger: la parabola discendente del neocolonialismo francofono
di/traduzioni di Simona Maria Frigerio
Quando, a febbraio 2018, il presidente francese Emmanuel Macron dichiarava che l’intervento militare in Libia era stato un “grave errore” in quanto l’azione militare “non rientrava in una chiara tabella di marcia politica e diplomatica”, molti si chiesero se fosse una sincera ammissione di colpa che coinvolgeva, oltre alla Francia, il Regno Unito (in primis); un tentativo di riconquistare una posizione egemonica sempre desiderata in quel Paese (1) – pensiamo anche al mistero tuttora irrisolto di Ustica e del caccia libico (2 e 3); o ancora, un tentativo di ripulirsi le mani mentre proseguivano le manovre neocoloniali del Paese d’Oltralpe in Sahel; o infine, se la domanda era pura retorica in quanto la questione era un’altra: chi darebbe all’Occidente il diritto di ergersi a paladino?
Oggi, dopo che la Francia è stata costretta a lasciare il Mali e il Burkina Faso, è il Niger che pare proclamare – sebbene con un colpo di Stato – la propria indipendenza dagli asset neocoloniali e ciò che renderebbe questa rivolta autentica (e distante dalle cosiddette rivoluzioni arancioni) sarebbero tre fattori. Il primo, che pare essere sostenuta da associazioni della società civile e sindacati [vedasi il Movimento M62, (4)]; il secondo, che proclama l’indipendenza da un Paese occidentale (leggasi la Francia) apparentemente senza essere mossa (dietro le quinte) da un altro; e terzo, che rivendichi il diritto alla gestione delle risorse naturali nazionali – denunciando, quindi, le azioni francesi in Niger come esempi di sfruttamento e neocolonialismo e la presenza militare non a scopo di protezione delle popolazioni locali dalla Jihad bensì degli interessi d’Oltralpe in uno Stato sovrano.
Areva s’en va?
Ma perché perdere il Niger sarebbe un così grave colpo per l’economia francese? Perché, come spiegano Naïké Desquesnes e Aude Vidal in una inchiesta approfondita (5): “A Arlit, nel nord del Niger, non è l’industria chimica a fare il bello e il cattivo tempo, ma quella nucleare francese, che qui sfrutta immense miniere d’uranio dalla fine degli anni 60 grazie a degli accordi coloniali che le assicurano i prezzi migliori“. Ma non solo, perché l’inchiesta denuncia altresì che già in quegli anni, “i minatori francesi beneficiavano di misure di controllo ed erano seguiti a livello medico, mentre i loro colleghi africani, che non erano considerati come lavoratori del settore nucleare, non avevano a disposizione alcuna protezione, informazione o cure mediche”. L’estrazione dell’uranio in Niger si sarebbe quindi trasformata in un “disastro ecologico e sanitario messo a tacere in nome degli interessi economici e diplomatici della Francia”.
Il nome della multinazionale francese interessata all’estrazione dell’uranio era Areva – attualmente Orano. Ne ha scritto approfonditamente Raphaël Granvaud, in Areva en Afrique. Une face cachée du nucléaire français (Marseille, Agone, Survie, series: «Dossiers Noirs», 2012) – libro che consigliamo caldamente. Ed è Granvaud che scrive: “Il controllo dell’uranio, del petrolio e di altre risorse, è stato tra le ragioni per il mantenimento di un dispositivo di dominazione economica, politica e militare della Francia sulle antiche colonie, all’indomani della loro indipendenza”.
Sempre l’inchiesta di Naïké Desquesnes e Aude Vidal precisa alcuni termini di questa dominazione – da cui emerge come, questo golpe, si differenzi dal passato: “Nel 1974, Hamani Diori, l’allora Capo di Stato, è vittima di un golpe poco tempo dopo aver osato chiedere un aumento del prezzo di vendita dell’uranio”. E naturalmente la Francia non si è fermata lì.
Oggi, però, c’è un ulteriore fattore che preoccupa i cugini d’Oltralpe: la Francia pensava – a differenza della Germania, dell’Italia o degli altri Paesi europei che si sarebbero grandemente giovati del gas russo a buon mercato trasportato dal Nord Stream 2 – di poter contare sulle proprie centrali nucleari per mantenere competitive le proprie produzioni industriali. Se, però, il Niger decidesse di rinegoziare la vendita dell’uranio anche la Francia rischierebbe, dopo la Germania, una deindustrializzazione forzata e una conseguente crisi economica che finirebbe per avere ricadute anche nel resto dell’Unione Europea.
La verità è che la UE si sta giocando il futuro per compiacere gli interessi statunitensi, ma i suoi cittadini non capiscono quali sono i meccanismi che finora ci hanno permesso di vivere al di sopra delle nostre effettive possibilità – neocolonialismo, sfruttamento delle risorse umane e minerarie, potere politico su Stati sovrani esercitato attraverso la forza militare della Nato e la presenza diretta di eserciti europei (o statunitensi) al di fuori dei nostri confini.
A differenza di quanto paventato da alcuni opinionisti nostrani sui media mainstream, non crediamo di doverci preoccupare di un aumento dei migranti in caso il golpe fosse convalidato, magari, da nuove elezioni, perché se le risorse minerarie del Niger tornassero a essere gestite e a creare benessere per la popolazione di quel Paese, i migranti economici di domani saremmo noi – in un’Europa ormai votata all’implosione finale. Sempre che l’Ecowas non agisca militarmente in difesa degli interessi occidentali invece che africani…
Rifiuti tossici e inquinamento: l’altro piatto della bilancia
Uno tra i pochi casi nigerini di inquinamento, di cui si è parlato in Occidente, è stato denunciato anche da L’Indipendente qualche mese fa (6). La canadese Global Atomic Corporation mira(va) all’uranio del Niger: “Quello di Dasa si prospetta sarà uno dei più grandi depositi di uranio – un metallo tossico e radioattivo – mai esistiti nello Stato del Niger” e, per estrarlo, “è nata SOMIDA (Société des mines de Dasa), una società controllata per il 20% dal Governo del Niger e per il restante 80% dalla stessa Global Atomic”. Per una volta, però, la popolazione del Niger (Paese ricchissimo di materie prime in cui il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà) “è insorta, chiedendo verifiche, studi ambientali, garanzie, analisi radiologiche specifiche su acqua e suolo per evitare di esporre a gravi contaminazioni gli allevatori e i loro animali”. Nonostante una prima vittoria della popolazione locale, l’appello è andato a favore della società canadese che ha asserito di aver rispettato le normative vigenti. Ma se queste ultime fossero deficitarie?
Nel frattempo, anche molte testate blasonate hanno denunciato la situazione dei rifiuti tossici disseminati in Niger, di cui la Francia non si è mai fatta carico. Su l’Express (7) si può leggere come ben “20 milioni di tonnellate di rifiuti tossici siano immagazzinati all’aperto da” Orano, “in precedenza, Areva”, che ha “gestito una miniera di uranio nel Sahara per 40 anni”. Ovviamente, chiuso il sito, la multinazionale non si è preoccupata del materiale radioattivo abbandonato all’aria aperta e che, a causa anche dei forti venti presenti in zona, sono dispersi nell’ambiente. Nessuno parrebbe aver informato la signorina Greta Thunberg di questa realtà.
Mentre il Europa ci indottrinano sul bisogno di cambiare autovettura per acquistarne una elettrica, così da invertire il cambiamento climatico con una diminuzione della CO2, nessuno ha informato gli illustri ambientalisti detentori della verità unica che sarebbe forse più produttivo premere perché gli Stati si facciano carico di trasporti pubblici efficienti ed economici per diminuire tout-court la circolazione dei mezzi privati; e, secondo, che se l’elettricità è generata da centrali nucleari – che, ovviamente, impiegano sostanze inquinanti come l’uranio (gestito con la cautela fin qui dimostrata dalla Francia) – forse stiamo solo prendendoci in giro.
(1) L’articolo sulle ammissioni di Macron:
(2) Uno tra gli ultimi articoli sul caso Ustica e il Mig libico: https://www.corrieredellacalabria.it/2021/06/29/le-bugie-del-mig-libico-caduto-in-sila/
(3) La Francia dietro all’affaire Ustica?: https://espresso.repubblica.it/mondo/2022/11/15/news/caso_mattei_ustica_francia-374063150/l
(4) Il Movimento M62: https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/08/07/niger-cose-il-movimento-m62-che-lotta-contro-la-francia-e-sostiene-la-nuova-giunta-0163035
(5) L’uranium de la Françafrique Voyage au pays des dunes et des becquerels. Di Naïké Desquesnes e Aude Vidal. In Z: Revue itinérante d’enquête et de critique sociale 2020/1 (N° 13), da pagina 188 a 195, https://www.cairn.info/revue-z-2020-1-page-188.htm#no2
(6) L’articolo di Gloria Ferrari del 4 marzo 2023: https://www.lindipendente.online/2023/03/04/la-battaglia-dei-cittadini-del-niger-contro-lestrazione-di-uranio/
(7) L’articolo di Tom Watling e Catherine Meyer-Funnell: https://www.express.co.uk/news/world/1725309/Niger-uranium-mine-radioactive-waste-French-company
venerdì, 11 agosto 2023
In copertina: Niger, particolare di una foto di David Mark da Pixabay