Storie di ordinaria follia
di Luciano Uggè (e Simona M. Frigerio)
Si racconta che a monte delle Cascate Vittoria, prima che lo Zambesi precipiti come ‘fumo tonante’, il fiume sia disseminato, tra placide acque, di isole sempreverdi. In uno di questi angoli paradisiaci convivono in un gruppo pacifico e coeso quegli elefanti maschi – giovani o vecchi – che a barriti e femmine, lotte per la supremazia sul branco o sull’harem, preferiscono una vita da ‘uomo tranquillo’.
Anche la cosiddetta civiltà umana, almeno nel corso del Novecento, aveva scelto di creare isolotti di pace in cui le armi tacessero – il mondo delle arti, della cultura, dello sport. Ma come disse il poeta e scrittore brasiliano Carlos Drummond De Andrade: «Perdere è un modo di apprendere. E vincere, un modo di dimenticare quel che si è appreso».
Qualche giorno fa, a Milano, quando l’atleta ucraina Olga Kharlan, ben poco sportivamente ha rifiutato di stringere la mano all’avversaria russa, Anna Smirnova, al termine di un incontro che la vedeva oltretutto vittoriosa, l’aforisma di De Andrade si è rivelato in tutta la sua giustezza. Frustrata dalla squalifica comminata come da regolamento, la Kharlan nella sua incapacità di comprendere cosa significhi essere sportivi, ha addirittura chiesto di cambiare le regole: «È impossibile costringere qualcuno a fare la pace stringendo la mano, mai. Le regole devono cambiare perché il mondo sta cambiando». Al che verrebbe da rispondere che l’atleta, non la sportiva, se vuole fare la guerra, dovrebbe essere accontentata e richiamata in patria per mettere i suoi muscoli al servizio dell’Ucraina andando al fronte a dare sfogo alla propria bellicosità.
Ma tutto è bene quel che finisce ‘bene’ e Kharlan è stata ovviamente accontentata. D’ora in poi gli sportivi libici, afghani, iraqueni, serbi, iraniani, yemeniti, somali, vietnamiti, nord coreani, siriani, forse presto nigeriani, boliviani, cubani, venezuelani, palestinesi e del Donbass potranno rifiutarsi di stringere la mano a quelli statunitensi, israeliani o di quei Paesi europei che hanno sostenuto lo sceriffo a Stelle e Strisce, militarmente o con le sanzioni unilaterali, per oltre trent’anni – e viceversa. Beati i tempi in cui ci si opponeva al boicottaggio delle Olimpiadi perché lo sport doveva essere mezzo di riconciliazione e dialogo. Beati i tempi in cui si metteva in scena Arthur Miller o si leggeva William Faulkner anche se gli States ci avevano costretti a calpestare la nostra Costituzione per aderire a missioni di ‘pace’ in punta di ‘fioretto’.
Se c’è una cosa che i Paesi Nato stanno dimostrando è la loro influenza in ogni settore e Paese (basti pensare al Sudafrica, Stato sovrano, che ha dovuto piegarsi ai diktat europei e, invece di ritirarsi dallo Statuto di Roma, è stato tolto dall’imbarazzo grazie alla lungimiranza del Presidente Putin, che si è offerto di partecipare ai Brics in videoconferenza). La Federazione internazionale di scherma (Fie) che abolisce la stretta di mano obbligatoria (come comunicato da Der Spiegel) ha dimostrato, se qualcuno ne dubitasse, come le regole, le facciamo noi – a nostro uso e consumo – e come sia facile per l’Occidente piegarle ai propri capricci, rinnegando quegli stessi valori che lo sport – ma da spot pubblicitario – strombazza solo per vendere scarpe da tennis e canotte griffate.
Come recita un vecchio proverbio, però: “Chi sale più in alto di quanto deve, cade più in basso di quanto crede” e non sempre potremo essere noi, sulla terrazza, a offrire brioche.
venerdì, 4 agosto 2023
In copertina: Foto di Genielutz da Pixabay