La Regina della Notte di Albina Shagimuratova illumina la Scala
di Simona Maria Frigerio
Dimenticatevi i costumi sgargianti di Papageno e Papagena e le scenografie imponenti che, per tanti anni, hanno caratterizzato Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart. Perché William Kentridge, nella doppia veste di regista e scenografo – coadiuvato da Sabine Theunissen e dalla costumista, Greta Goiris – sembra essere partito da altri presupposti: l’idea di un’ambientazione fine Ottocento ad hoc, che gli permettesse di giocare a livello metateatrale con il sotto-testo del libretto di Emanuel Schikaneder. In parole semplici, ha eletto a fulcro della scena, essenzialmente, un solo oggetto: un apparecchio fotografico antico che serve a giustificare poeticamente la scelta di eliminare le pesanti architetture alle quali siamo abituati, per sostituirle con le sue ormai mitiche proiezioni – in grado di ricreare universi poetici, che rimandano all’infanzia e al gioco, oltre che alle interpretazioni concettuali che vorrebbero Die Zauberflöte quasi un inno alla massoneria (dato che, non si deve dimenticare, sia Mozart che il librettista appartenevano alla stessa).
E così, se Tamino ringrazia il proprio flauto perché rende felici anche le belve feroci, ecco che sul fondale compare il disegno fin de siècle di un rinoceronte che fa le piroette, ma se si parla di prove, saggezza e ‘discrezione’, compaiono dal nulla i simboli massonici – dal triangolo all’occhio fino al compasso e alla squadra – e, ancora, le allegorie di luce invadono l’intero palcoscenico quando, nel finale, Pamina e Tamino, salgono su una serie di pedane e si dirigono verso i raggi del sole, simbolo del bene supremo.
Una lettura oltremodo interessante che sottolinea soprattutto i temi esoterici connessi con l’iniziazione dei franc maçon ma rimanda anche alla magia del cinema – con spezzoni in bianco e nero – ai primi esperimenti con immagini in movimento, ai disegni infantili, al teatro d’ombre, alle lanterne magiche, oltre che all’immaginario romantico e al Rovinismo – la corrente artistica che, tra Settecento e Ottocento, ebbe tanta fortuna in Germania e Inghilterra.
Per il resto, il libretto di Schikaneder è sessista in maniera feroce e persino razzista in alcune sue parti, non è un caso che a un certo punto – nelle parole del moro – si ritrovino echi delle rivendicazioni di Shylock e che il personaggio negativo sia una donna, la Regina della Notte – alla quale però Mozart, nella sua grandezza, dona la più bella aria dell’intera opera e, sul palcoscenico della Scala, Albina Shagimuratova fa ammutolire il pubblico quando intona: “Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen/Tod und Verzweiflung flammet um mich her!” (“La vendetta dell’inferno ribolle nel mio cuore, / Morte e disperazione m’infiamman tutt’intorno!”, nella traduzione di Marco Beghelli). Per lei l’applauso più lungo e caloroso sia a scena aperta che nel finale. E sempre in sintonia con gli esperimenti teatrali che uniscono linguaggio alto e basso, Mozart tesse una trama musicale tra le più aderenti ed espressive, coniugando opera buffa e seria a godibili intermezzi (rifacendosi ai tradizionali singspiel – in cui i numeri musicali si alternano alle parti recitate).
Nel complesso uno spettacolo riuscito dove l’importanza di Kentridge artista dà un’impronta che resterà nella storia di quest’opera. La sua regia attorale è però la parte che meno convince con gli interpreti sempre in posizione frontale rispetto alla platea, sia durante le arie che nei duetti. Scelta che non risparmia nemmeno il coro (se si esclude la forma piramidale che assume in alcuni pezzi d’insieme). Anche la gestualità è piuttosto tradizionale e poco espressiva e le incongruenze si fanno notare, ad esempio, quando Pamina canta: “Guarda, Tamino! queste lacrime/Scorrere, caro, solo per te”, fissando il pubblico, mentre Tamino le volta le spalle e fissa il fondale.
Spettacolo da vedere più volte per apprezzarne i diversi piani espressivi: dal bel canto – nel vero senso della parola – di Shagimuratova alle suggestioni poetiche di Kentridge.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro alla Scala
Piazza della Scala – Milano
Die Zauberflöte
(Nuovo allestimento – durata spettacolo 3 ore)
di Wolfgang Amadeus Mozart
libretto di Emanuel Schikaneder
direttore Roland Böer
regia William Kentridge
collaboratore del regista Luc de Wit
scene William Kentridge e Sabine Theunissen
costumi Greta Goiris
luci Jennifer Tipton
video editor Catherine Meyburgh
operatrice video Kim Gunning
produzione Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, Teatro di San Carlo di Napoli, Opéra di Lille, Théâtre di Caen
Personaggi e interpreti:
Sarastro: Günther Groissböck
Tamino: Saimir Pirgu (20, 24, 30 marzo – 3 aprile)
Steve Davislim (22, 26 marzo – 1 aprile)
Oratore – Primo sacerdote: Detlef Roth
Secondo sacerdote: Roman Sadnik
Regina della Notte: Albina Shagimuratova
Pamina: Genia Kühmeier
Prima damigella: Aga Mikolaj
Seconda damigella: Heike Grötzinger
Terza damigella: Maria Radner
Papagena: Ailish Tynan
Papageno: Alex Esposito
Monostato: Peter Bronder
Primo fanciullo: Roman Sadnik
venerdì, 4 agosto 2023 (la recensione riguarda lo spettacolo andato in scena il 20 marzo 2011, in originale in Anche i critici nel loro piccolo…)
In copertina: Il logo del Teatro alla Scala