L’11 luglio è scomparso Milan Kundera, un ricordo di chi non lo ha conosciuto
di Lorena Martufi
Lo lessi per la prima volta al mare, tanti anni fa, affascinata dal titolo che mi attraeva irresistibilmente, come una calamita. E fu per me un’ancora, un rifugio dal mondo, una casa per la mia anima che aveva sempre sollevato i pesi dell’esistenza, non riuscendo ad affrancarsi mai completamente da essi. Era la possibilità di navigare dentro all’infinito senza naufragare, di viaggiare nell’universo letterario e metafisico senza avere l’urgenza di trovarsi né definirsi, neanche sollevarsi, ma riuscendo a stare a terra con tutti e due i piedi, legittimandosi pure se sbagliati, se incompleti e insostenibili.
Come Tomas, Tereza, Franz, Sabina, i protagonisti dalle vite normali de L’insostenibile leggerezza dell’essere, meravigliosamente veri, perché ‘incasinati’, ambigui e complessi, i quali ci hanno insegnato che no, la pesantezza non è poi così terribile, ma che è la leggerezza a essere davvero insostenibile. Un quartetto amoroso che viaggia veloce su un tempo dannatamente rettilineo, in un’unica direzione, programmata da coincidenze che determinano gli eventi, in direzione opposta a quella della felicità, giungendo alla fine a un’unica, amara, consapevolezza, che è un monito per tutta la vita. Es muss sein. L’elegante teoria dell’Eterno ritorno di Nietzsche si riavvolge come in un nastro svelando l’ultima terribile verità alla fine del romanzo: leggerezza e pesantezza non sono contrari, ma la stessa faccia di un’unica medaglia e tutto ciò che scegliamo come leggero non tarda, prima o poi, a rivelare il suo insostenibile peso sotto la gravità che ci sostiene.
Tale è l’umano, il dipinto di Max Ernst su Le Pleiades, copertina al libro di Kundera, tragicamente nudo, sospeso tra due forze, l’alto e il basso, lo spirituale e il carnale, l’ideale e il reale, il metafisico e il fisico. Al centro una bellissima figura femminile, che infila il braccio in un frammento roccioso, sollevato alla sua altezza, come un asteroide. Il significato dell’opera è tutto dentro ai versi surrealisti sul dipinto: “La pubertà che s’avvicina non ha ancora elevato la grazia tenue delle nostre pleiadi / lo sguardo dei nostri occhi pieni d’ombra è diretto verso il pavimento che è sul punto di cadere / La gravitazione delle ondulazioni non esiste ancora”. Un sogno, un’allucinazione, un orgasmo. Di certo la visione estetica di Ernst è simile a quella letteraria di Milan Kundera. Pilastro della letteratura mondiale, scomparso l’11 luglio 2023, dopo un’esistenza dedicata alla lotta, all’insegnamento universitario, alla letteratura, partecipe della Primavera di Praga, attivista politico iscritto al Partito Comunista, autore i cui libri furono censurati in Cecoslovacchia, suo Paese d’origine, fino a fargli perdere la cittadinanza. Gli fu conferita quella francese, grazie al Presidente Mitterrand, che cita in un altro suo romanzo, L’immortalità, come l’unico uomo di Stato europeo dei nostri tempi che abbia coltivato l’idea dell’immortalità, intesa come la intendeva Goethe, non quella dell’anima, bensì quella di coloro che restano vivi nella memoria dei posteri dopo essere morti. Kundera sosteneva che ce ne fossero di tre tipi: la piccola immortalità, il ricordo di un uomo nel pensiero di coloro che l’hanno conosciuto personalmente; la grande immortalità, il ricordo di un uomo nel pensiero di quelli che non lo hanno conosciuto personalmente; l’immortalità ridicola, quella dell’uomo che desidera essere immortale.
Sorrido e allo stesso tempo mi commuovo al pensiero di una particolare coincidenza, che è allo stesso tempo una conferma, aver ritrovato per caso, nel giorno della sua scomparsa, questo suo libro tra le mani, e aver riletto, tra tutte, quella in cui Kundera confessa una cosa che aveva a cuore: la paura, più della morte, dell’immortalità ridicola, se se ne fosse andato con un peso in mano, come era successo al suo scrittore adorato, Robert Musil, un mattino presto.
venerdì, 21 luglio 2023
In copertina: Particolare della copertina del libro L’immortalità di Milan Kundera, Adelphi Edizioni