Stereotipi etnici e violenza di genere
di Simona Maria Frigerio
Sono anni che le serie gialle, trasmesse sulle reti in chiaro, propongono quella giustizia intrisa di violenza e vendetta che piace tanto agli statunitensi – dove se sbagli sei marchiato come un vitello per il resto della vita e la punizione è l’unico scopo del carcere, meglio se appesantito da quelle stesse violazioni perseguite esercitate sul corpo e sulla mente dei reclusi che, una volta detenuti, perdono qualsiasi connotazione umana.
Finora, però, parevano rimaste indenni, o solo parzialmente toccate, le serie europee – si pensi a Hamburg Distretto 21 con il suo taglio sociologico e i risvolti psicologici o a Il giovane ispettore Morse che affronta le contraddizioni socio-culturali della fine degli anni 60 del Novecento con molto garbo.
Fa eccezione, al contrario, Soko Kitzbuhel – serie più volte riproposta in varie fasce e finalmente sospesa -che, sebbene ambientata nella località sciistica e, quindi, di per sé bucolica – con tocchi subliminali quasi pubblicitari: dalle verdi montagne all’ottima cucina, dai vini pregiati all’hospitality di lusso – mostra nel personaggio di Nina Pokorny (presente dalla 14a Stagione, essendo una serie fiume durata vent’anni) e nelle trame un campionario di luoghi comuni, stereotipi etnici e violenze di genere da fare invidia alle peggiori puntate di Law & Order.
Non contiamo le puntate in cui il colpevole è straniero. Il polacco è truffatore, il russo magari mafioso, l’italiano anche. Ma il meglio arriva quando il mandante di una serie di omicidi (copiati dal Killer dello Zodiaco o dal Mostro di Firenze), il cui esecutore sembra il Ronald Niedermann di La ragazza che giocava con il fuoco, è un paraplegico che è rimasto disabile a causa di un incidente automobilistico in cui la moglie era al volante e che, uscitane indenne, lascia anche il marito. Nina Pokorny in un impeto di femminismo da baraccone dice all’uomo (più o meno): “scommetto che sei pure impotente ed è per questo che lei ti ha lasciata”.
Ora, aldilà della trama gialla scopiazzata e del fatto che il disabile è effettivamente il mandante degli omicidi, come si può tirar fuori – all’ora di cena, quando la famiglia media italiana è di fronte alla tivù – una frase simile? Non è una questione di sensibilità bensì di assoluta mancanza di civiltà. Pensiamo a uomini, donne e anche minori paraplegici che possono aver visto non un paraplegico assassino (la disabilità non rende migliori) ma una donna (tra l’altro l’eroina co-protagonista della serie) che rivendica il fatto che un’altra abbandoni il partner perché ‘impotente’. Pensiamo se la frase l’avesse pronunciata un maschio contro una donna ‘frigida’ perché rimasta disabile da un incidente causato dal marito, che poi l’ha abbandonata.
Ormai basta un complimento, a un maschio, per finire licenziato, per molestie, negli States. Il #MeToo ha mietuto più danni che conquiste. “L‘eterna vittima di un sopruso”(1) continua a essere vittima nella realtà ma, a volte, si trasforma in carnefice, utilizzando i medesimi stereotipi e il medesimo linguaggio violento del machismo. Senza nemmeno rendersi conto che la differenza di genere rivendicata per anni dalle femministe si basava sull‘inclusione, sul rispetto, su un‘affettività accogliente.
Di donne con l‘elmetto, il carro armato e la pistola, che scopiazzano il peggio del maschilismo imperante, possiamo anche farne a meno.
(1) Da Francesco Guccini, Quattro stracci
venerdì, 14 luglio 2023
In copertina: La locandina della serie