Il fine giustifica i mezzi? Sì, se si stratta di Israele
di La Redazione di InTheNet
“Non scandalizza nessuno il fatto che per arrestare una persona anche solo sospetta Israele non esiti ad ucciderne 7 intorno a lei”, così denuncia l’Ambasciata di Palestina in Italia.
19 giugno 2023, campo profughi di Jenin. L’attacco è cominciato: siamo in zona di guerra. 120 veicoli militari penetrano in città, granate stordenti e lacrimogeni, un elicottero Apache spara razzi sulla popolazione – un Apache come quei 2 elicotteri AH-64 statunitensi che la mattina del 12 luglio 2007 spararono contro alcuni iracheni, di cui parecchi civili e disarmati (tra i quali due corrispondenti di Reuters). Era New Baghdad, e il video che avrebbe messo sotto accusa gli States era Collateral Murder (il vero capo d’accusa, oggi, contro Julian Assange).
WikiLeaks da allora è stata praticamente silenziata e così la stampa mainstream può obliare o tacere sui 91 feriti, di cui 22 gravi, oltre ai 7 morti, esito dell’attacco israeliano su Jenin. L’opinione pubblica – occidentale e israeliana – dorme sonni tranquilli. Tanto è vero che il massacro si ripete, nel campo profughi, nella notte del 2 luglio. Nuovo attacco da parte delle forze armate israeliane con “raid aerei senza precedenti negli ultimi venti anni, seguiti dall’ingresso di mezzi militari, soldati, e ruspe dell’esercito che hanno distrutto tutto ciò che si trovavano davanti, comprese case, ambulatori e diverse strade del campo, per impedire il movimento di auto e ambulanze, e ostacolare così i soccorsi” (secondo un copione ormai rodato). L’Ambasciata palestinese in Italia ci informa che l’esito di tale crimine di guerra è la morte di 8 persone e il ferimento di 50, di cui 10 molto gravi.
Ma se si tace sui ‘danni collaterali’, occorre non informare nemmeno riguardo alle comunicazioni del Programma Alimentare Mondiale (il PAM) che, a partire da giugno 2023, avrebbe sospeso gli aiuti alimentari per 200 mila palestinesi “a causa di una grave carenza di finanziamenti”. Ossia, il 60% delle persone che l’agenzia delle Nazioni Unite assisteva nello Stato di Palestina. Il risultato sarà, soprattutto se i pochi aiuti restanti fossero azzerati – come denuncia sempre l’Ambasciata dello Stato di Palestina in Italia – che: “a Gaza – dove il tasso di disoccupazione si attesta al 45,3% e dove avere un lavoro spesso non offre una protezione sufficiente contro la povertà, considerando che l’88% dei dipendenti viene pagato meno del salario minimo legale stabilito dall’Autorità Nazionale Palestinese (pari a 500 dollari al mese) – molte famiglie verranno ridotte alla fame”.
In fondo la pulizia etnica è qualcosa di più subdolo di quanto si pensi. Basta silenziare l’informazione e posizionarsi dal lato giusto dello scacchiere mondiale per agire impunemente per 75 anni.
Come risponde l’Onu?
L’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il 5 luglio, definisce i succitati attacchi israeliani via terra e aria al campo profughi di Jenin, “prima facie” come un “crimine di guerra” [(1), t.d.g.)]. Il che, tradotto senza latinismi, significa che gli esperti dell’Onu, chiamati a dare un proprio parere, affermano che ʻa prima vista’ bombardare e invadere un campo profughi sia da criminali.
Nello stesso documento si legge altresì che le operazioni delle forze armate israeliane nei Territori Occupati, che hanno causato “l’uccisione e il ferimento grave della popolazione occupata, la distruzione delle abitazioni e infrastrutture, la dislocazione arbitraria di migliaia, equivalgono a un egregio numero di violazioni delle leggi e degli standard internazionali”. Si ricorda, inoltre, che gli israeliani avrebbero reiterato la pratica di impedire ai soccorsi di raggiungere le vittime, bloccando le ambulanze. E infine gli esperti hanno affermato che: “Gli attacchi costituiscono una punizione collettiva della popolazione palestinese, che è stata etichettata come ʻminaccia alla sicurezza collettiva’ […] dalle autorità israeliane”.
Il rapporto ricorda che: “I palestinesi nei Territori Occupati sono persone sotto la protezione delle leggi internazionali, alle quali sono garantiti tutti i diritti umani inclusa la presunzione di innocenza”. Di conseguenza “non possono essere trattati come una minaccia collettiva alla sicurezza dal Potere occupante, ancor più quando lo stesso procede con l’annessione delle terre palestinesi e il trasferimento e l’espropriazione dei residenti palestinesi”. Il tutto, ovviamente, in maniera arbitraria.
Gli esperti hanno parlato di violenza strutturale israeliana e di come “l’impunità di cui Israele ha goduto riguardo ai suoi atti di violenza”, per decenni, abbia “alimentato e intensifichi il ripetersi ciclico degli stessi”. Secondo gli esperti dell’Onu, Israele deve rispondere in base alle leggi internazionali dell’occupazione illegale dei Territori Palestinesi e della violenza attuata per garantire tale abuso.
La conlusione è decisamente più esplicita della premessa: “L’occupazione israeliana illegale deve cessare. Non può essere corretta e non ha margini migliorabili in quanto sbagliata nella sua essenza”.
Assisteremo ad azioni conseguenti? Come una no-fly zone e l’intervento ʻpacificatore’ della Nato su mandato Onu?
(1) https://www.ohchr.org/en/press-releases/2023/07/israeli-air-strikes-and-ground-operations-jenin-may-constitute-war-crime-un The experts: Francesca Albanese, Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian Territory occupied since 1967; Paula Gaviria Betancur, Special Rapporteur on the human rights of internally displaced persons, Reem Alsalem, Special Rapporteur on violence against women and girls
venerdì, 14 luglio 2023
In copertina: Foto di Hosny Salah da Pixabay