La natura di una madre
di Myriam Martufi
C’è un vento fresco oggi, a Siracusa. È un dolce conforto dopo il caldo crudele del giorno, che le pietre del teatro greco scolpito nella roccia del colle Temenite, hanno assorbito come acqua per le piante. Le rondini disegnano cerchi sempre più stretti nel cielo del tramonto, e intorno a me migliaia di persone sedute sugli spalti assistono, con il fiato sospeso, alla resa dei conti tra Medea e il suo sposo Giasone. I due amanti si guardano ostili dai lati opposti di un lungo tavolo, così che la distanza fisica premonisca la stessa distanza delle direzioni che le loro vite stanno per prendere.
Mentre la luce del sole comincia pian piano a ritirarsi e le ombre emergono dalla loro tana diurna, la cavea si riempie con la voce tonante di Medea, interpretata in scena da Laura Marinoni. “Oh Zeus, perché dell’oro che sia falso accordasti agli uomini chiari indizi, mentre non è impresso nel corpo dalla nascita nessun segno con cui si possa riconoscere un uomo quando è un bastardo?”. Il pubblico (soprattutto quello femminile) esplode con uno scroscio di applausi liberatorio. La semidèa infatti, diretta discendente del dio Sole e nipote della maga Circe, ha appena scoperto che il suo sposo ha deciso di venir meno ai giuramenti nuziali e di prendere in moglie un’altra donna. Ma Giasone, interpretato da Alessandro Averone, non è solo il marito di Medea e il padre dei suoi due figli; è anche l’uomo che lei ha reso un eroe, aiutandolo con le sue pozioni in una delle imprese più ardue del mondo antico: la conquista del vello d’oro. È per lui che ha abbandonato la Colchide, terra straniera e natìa ai confini del mondo conosciuto, ed è lo stesso uomo che ora le mette davanti la prospettiva di un abbandono definitivo. La scelta delle nozze con Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto, è per Giasone un inesorabile fatto compiuto, frutto di una precisa strategia adottata per acquisire stirpe reale, in un gioco politico in cui ancora una volta i corpi delle donne fungono da pedine più importanti (anche se pur sempre pedine).
Il sole è ormai sotto la linea dell’orizzonte e la vendetta di Medea sta per compiersi. Avviene così la trasformazione da dea a demone: prima uccide Glauce, futura sposa, offrendole in dono dei regali intrisi di maleficio, e infine decide di punire Giasone nell’unico modo possibile, uccidendo i figli avuti con lui. La figura di Medea viene così consegnata alla storia come famigerata infanticida, che sradica la sua natura materna, mentre si libra in alto, fuggendo ad Atene sul carro del sole. È l’antitesi della madre che ama i suoi figli incondizionatamente, e si sacrifica a costo della vita pur di garantirne la sopravvivenza.
Eppure, non esiste ombra, neanche quella più oscura, che non sia priva di sfumature, se solo ci si sofferma a osservare da vicino. La scelta tragica di Medea non è il frutto di un raptus di follia, ma il risultato di un ragionamento premeditato e sofferto. La donna sa benissimo che, una volta abbandonata da Giasone, si ritroverà esule in una terra straniera, senza nessuno a cui rivolgersi, e i suoi figli subiranno la fine di figli bastardi, senza luogo da chiamare casa.
La Medea di Euripide è l’incarnazione di un incubo, ma non è solo questo. È anche una donna consapevole della propria condizione, che per la prima volta nella letteratura antica si sottrae al ruolo di passività fino a quel momento destinato ai personaggi femminili. Di fronte al tradimento dell’unico uomo che ha amato e per il quale ha sacrificato tutto, sceglie di non suicidarsi. Non vuole essere una vittima. Non vuole più subire. Si appropria di una possibilità che finora era riservata solo agli uomini: la possibilità di fare del male.
È una rappresentazione del mito che parla ai viventi, quella a cura della regia di Federico Tiezzi, in cui i personaggi principali indossano maschere animalesche, che simboleggiano come Medea li vede davvero. Ecco così che la corte di Creonte è un’orda di coccodrilli sul punto di fagocitarla, mentre i figli candidi coniglietti; saranno loro a scontare il destino peggiore. Lei è invece un piumato dalle sfumature bluastre, pronto a svettare sui suoi nemici.
Il vento ha definitivamente cessato di soffiare sul teatro greco di Siracusa, ma la storia di Medea durerà per sempre, a ricordarci che in un sistema patriarcale che stritola i corpi femminili, la vendetta di una donna, anche la più mostruosa, porta con sé un prezzo altissimo da pagare: quello di distruggere una parte di sé.
venerdì, 23 giugno 2023
In copertina: Medea, regia di Federico Tiezzi