Due magnifici novantenni e una ‘debuttante’
di Luciano Uggè (per Eva Jospin, collaborazione di Simona Frigerio)
Galleria Continua, a San Gimignano, riallestisce gli spazi dell’ex cinema, di piazza della Cisterna e dell’Arco dei Becci con tre personali, di cui due retrospettive dedicate a Michelangelo Pistoletto e a Carlos Cruz-Diez – Maestri indiscussi del Novecento.
Ma prima di raccontarvi la Op & Kinetic Art dell’artista venezuelano di nascita e francese di adozione, e i 90 anni di arte/vita di uno tra gli artefici dell’Arte Povera, è doveroso iniziare dalla ‘new entry’, ossia Eva Jospin – le cui opere si caratterizzano tutte per un uso più o meno pregnante di cartone, filo da ricamo e gesso.
Vedute è il titolo della prima personale di Eva Jospin presso Galleria Continua. Una ‘selva’ in cui Jospin dice di essersi persa – come nell’incipit dantesco – 15 anni fa, la tematica intorno cui ruota la produzione in mostra. Ma se il cartone è il materiale naturalmente elettivo per ritrarre, in un altorilievo molto suggestivo, un intrico di rami spogli e alti fusti (Forêt, 2023, cartone e legno), sono i ricami e i calchi in gesso che dovrebbero trasfondere le nostre suggestioni anche verso orizzonti più ampi.
Il trittico, in particolare (Stratification, 2023, resina acrilica e gesso), quasi un boccioniano Stati d’animo, pare spostare il baricentro semantico dalla grotta di stalattiti a un’antropomorfizzazione crescente che suggerisce vaghe ombre e figure umane della medesima (in)consistenza della grotta che le ospita. Eppure è la stessa Jospin, intervistata, a negarlo. Secondo lei ogniqualvolta l’essere umano ravvede delle forme, subito le riconduce alla figura umana mentre la sua ricerca è propriamente e puramente incentrata sulla grotta e la sua mineralità. Ma qui, quella stessa ricerca pare cristallizzarsi invece di librarsi.
Jospin racconta, inoltre, che ciò che le interessa è la ‘stratificazione’ e per rendere la sua selva, che non vuole essere semplicemente una rappresentazione fotografica, il ricamo (altro medium prediletto) le serve per coniugare il bisogno di tridimensionalità con una fascinazione verso la rappresentazione della foresta tipica dell’arazzo. Così, «partendo dai disegni» – come spiega durante la vernice – che lei tratteggia con una successione di sottili linee orizzontali, ricama il suo ‘arazzo’ utilizzando il filo come se fosse un lapis, che però le dovrebbe permettere di restituire (si veda Galleria, 2023, ricamo in filo di seta su tela di seta e cornice in cartone) sia il colore e la materialità dell’arazzo sia questa sua minuziosa visione ‘stratificata’ della selva, fortemente orizzontale. Una sedimentazione ideale del divenire – nel tempo e nello spazio.
I risultati, al momento, sono ancora ambivalenti. Mentre il cartone è pienamente padroneggiato, i calchi e il ricamo paiono non creare una corresponsione o affinità elettiva tra materia trattata concettualmente e materia utilizzata praticamente. Manca qualcosa o, al contrario, vi è sovrabbondanza di aspirazione.
Passiamo a Carlos Cruz-Diez, per il quale potremmo utilizzare come sottotitolo alla bella personale di Galleria Continua, ‘tra armonia e matematica’.
Giochi di luce e ottici: Cruz-Diez regala al pubblico un tuffo nelle sollecitazioni artistiche degli anni 60 con un qualcosa in più, oltre al piacere del to play, una multisensorialità spesso voluttuosa e tattile.
Ma analizziamo insieme alcune tra le sue istanze e opere, grazie anche al fatto che sono presenti in mostra vari documenti dell’archivio personale dell’artista, il quale svela la volontà di inventare un nuovo linguaggio in cui sia il colore il vero protagonista della sua sublimazione espressiva, o come scriveva lui stesso: “il colore non ha bisogno della forma per manifestarsi”. Eppure persino nelle sue stampe la forma torna prepotentemente alla ribalta sebbene cangiante a seconda della prospettiva dalla quale la osserviamo. Una forma illusionisticamente tridimensionale, prospettica, profondamente suadente – che respinge o attrae a seconda dell’opera ma anche della scelta della tonalità utilizzata perché se il rosso ha sempre una qualità tattile vellutata e accogliente, gli azzurri paiono riportare le geometrie in primo piano, frammentando la nostra prospettiva in una sovrapposizione lineare irriducibile e dinamica.
Non solo. Particolarmente in Physichromie 1843 (2013, chromography su alluminio con inserti di plastica), nella saletta di destra sul retro del palco, i colori cangianti accentuano la consistenza materica quasi ci si trovasse di fronte – qui sì – a un opulento arazzo seicentesco. Il rosso fiammeggiante, rubensiano, domina con la sua morbidezza calda e avvolgente, mentre le tonalità fredde che emergono, se l’occhio del visitatore sposta la propria prospettiva, mettono in mostra un’opera capace di assumere qualità metalliche e che accentuano le sue geometrie regolari.
Sensoriale, in una parola, la ricerca di Cruz-Diez che indaga la singolarità, unicità e caducità della percezione umana.
Ma andiamo oltre. Nel 1974 debuttava l’installazione oggi al centro dello spazio par excellence di Galleria Continua a San Gimignano. Il figlio di Diaz racconta che, nonostante la tecnologia delle proiezioni si sia evoluta, Environnement Chromointerferent rispetta in toto l’idea originaria del padre, comprese le bluse bianche che possono indossare i visitatori per entrare nell’opera e parteciparvi attivamente – subendo il fascino del cangiante letteralmente ‘sulla loro pelle’ e immergendosi in un gioco/percorso sensoriale (le affinità con Pistoletto riguardo alla partecipazione dello spettatore sono esplicite e figlie di un humus storico-culturale che ha permesso la nascita di alcuni tra i Movimenti artistici più interessanti del Secondo Dopoguerra).
‘Playing’ con Environnement Chromointerferent permette, ad adulti e bambini, di assaporare la semplicità apparente di Cruz-Diez che richiama direttamente quella di Chopin: dietro a una restituzione coloristica e spaziale di inusitata leggerezza, si nasconde un profondo studio sulla restituzione plurisensoriale attraverso il ‘semplice’ accostamento dei colori. Musicale.
E ad attrarre è anche quel magnetismo esercitato da un centro, come nell’opera Induction du Jaune N° 221 Fabiana (2018, acrilico su alluminio, a destra delle scale). O verso un divenire (si veda Induction Chromatique à double fréquence Phillips 1, 2018, chromography su plastica), verso un punto all’orizzonte cui tende l’immagine quasi vettoriale, che restituisce una velocità impressa senza utilizzare nessuna delle tecniche o rifarsi ai Movimenti (quali il Futurismo) che si sono confrontati, nel corso del Novecento, con la stessa necessità di esprimere il movimento attraverso la staticità della tela.
Ma il movimento, spesso volutamente fluido, è ottenuto da Cruz-Diez non solamente grazie all’uso della diagonale ma, a livello materico, di sottili lamine di plastica inserite nelle opere.
Pannelli multicolorati con lamine in rilievo che, a seconda dell’inclinazione dello sguardo dell’osservatore, offrono moltitudini di cromatismi e forme geometriche che si alternano tra pieni e vuoti. Il rosso – onnipresente e vitalistico – trascolora in una fantasmagorica alternanza di tonalità più tenui e fredde. Esemplari, in questo senso, le opere che compongono il trittico intitolato Portfolio Couleur Additive Perseus (2017, serigrafia su carta), quasi a misurare la distanza tra noi – matericamente informi – e quelle figurazioni non figurative di incredibile perfezione.
Uscendo nel patio-giardino di Continua, si può ammirare Environnement de Transchromie Circulaire (1965-2017, vetro colorato su struttura in acciaio inox), che pare un diaframma tra dentro e fuori, realtà e illusione ottica, percezione e sublimazione. Un’installazione che dialoga con l’esterno modificandone i colori e la prospettiva ma anche un luogo di incontro, che unisce e, per i bambini presenti, può diventare spazio di gioco, caleidoscopio attraverso il quale intravedere un mondo più colorato – forse più buono.
E sempre all’esterno, dato che Cruz-Diez è stato un artista attivo anche nel campo dell’arte urbana, Continua ha pensato di proporre, nell’antica piazza delle Erbe (accanto al Duomo), un’opera effimera che inonda di colori uno scorcio storico della città turrita. Un’opera che, al tramonto, si trasforma nell’avanscena per Bandao, il gruppo di percussionisti coreografati da Michelangelo Pistoletto, che fanno danzare sui ritmi brasiliani tutto il pubblico presente – composto anche da ignari passanti.
L’arte diventa incontro – tra due Maestri del Novecento, ma anche tra artisti e pubblico e tra installazione contemporanea e architettura storica che la ospita – dando vita a un cortocircuito frizzante, compartecipato da adulti e bambini.
E passiamo quindi a Michelangelo Pistoletto, che a Continua ha festeggiato i suoi 90 anni e al quale la Galleria dedicherà quest’anno ben otto personali tematiche in altrettanti sedi, sparse quasi in ogni angolo del globo.
La retrospettiva ospitata nello spazio di piazza della Cisterna parte dagli anni Sessanta con Sacerdote (1957, olio su tela): figura volutamente grezza e materica inserita all’interno di una forma geometrica quasi fosse una statua, che evidenzia il lungo percorso di ricerca stilistica del Maestro – il quale, nel tempo e nell’oggettivazione, ha preteso una sempre più accentuata perfezione tecnica.
Nella sala adiacente, possiamo rintracciare la circolarità di un’esistenza – quella del Maestro – in quattro opere (1960/61), unitamente alla linearità dei suoi studi sulla figura umana e sui materiali da utilizzare per restituirla in un brevissimo arco di tempo.
Partiamo da Autoritratto Oro (1960, olio, acrilico e oro su tela) con la figura che sembra quasi un’apparizione, una manifestazione epifanica all’interno di un mondo dorato; per passare ad Autoritratto Argento (1960, acrilico, olio e argento su tavola), ove si apprezza il passo successivo nella ricerca di uno sfondo (che sfocerà nell’acciaio inox dei Quadri specchianti), dai quali far emergere la figura, la cui impersonalità rimanda all’autoritratto dell’uomo ‘qualunque’. Abbiamo poi Il Presente – Uomo di Fronte (1961, acrilico e vernice plastica su tela), che nasce nel periodo in cui il visitatore, l’osservatore esterno, inizia a riflettersi e a entrare come protagonista nell’opera. E infine, con Uomo Grigio di Schiena (1961, acrilico e olio su alluminio lucidato applicato su tela), l’esperienza più propriamente pittorica di Pistoletto passa il testimone ai Quadri specchianti – ai quali Continua dedica il salone principale.
Lo specchio come memoria temporanea, che è in grado di cogliere l’attimo irripetibile. Al suo interno, strutture e figure di un processo in divenire – che è completato e realizzato solo laddove vi sia la presenza del visitatore/spettatore. Perché l’arte, senza l’essere umano, non sarebbe che roccia al vento. Noi siamo di fronte e, allo stesso tempo, dentro quell’opera, completiamo e interpretiamo il messaggio, dialoghiamo con l’idea cardine nata nella mente del Maestro e poi consegnata a un’umanità che può afferrarla, farla propria, comparteciparla o, al contrario, rifiutarla – ma non può passare oltre senza rispecchiarvisi (metaforicamente ma anche letteralmente).
Scala (1964, fotografia applicata su lastra di acciaio inox lucidata a specchio) è un invito a continuare quel lavoro in progress che durerà tutta una vita. La Gabbia (1969, velina di tessuto su lastra di acciaio inox lucidata a specchio) può essere considerata l’emblema di un periodo storico che, nella rottura delle tradizioni e dei comportamenti quasi atavici, si apriva a una modernità contraddittoria ma sicuramente più consapevole. Le molte gabbie che ci circondavano, ancora negli anni 60 del Novecento, stavano per essere aperte a istanze rivoluzionarie e certo non si poteva pensare, allora, che il capitalismo e il consumismo, ma anche l’attuale visione geopolitica occidentale, ne avrebbero erette ben altre per vanificare le lotte di un’intera generazione. La Tigre in Gabbia (1974, serigrafia su lastra di acciaio inox lucidata a specchio) appare quasi profetica – e, del resto, l’arte quando è autentica necessità non può mai essere autoreferenziale, bensì specchio del presente o vaticinio iconografico del futuro.
Via via ripercorriamo sprazzi di vita vissuta o fugaci sguardi – caduti su un ragazzo che si dondola sull’altalena o su un oggetto, magari un riflettore. E quasi senza accorgercene arriviamo a QR Code Possession – Autoritratto (2022, serigrafia su lastra di acciaio inox lucidata a specchio). Michelangelo Pistoletto diventa egli stesso protagonista, fissandoci dal quadro ‘codificato’ attraverso una tecnologia che oggi pare eternizzarci ma che, domani, potrebbe trasformarci in esseri incomprensibili, quando la nostra capacità di lettura venisse meno, quando la stessa tecnologia che ha partorito la possibilità di rinchiuderci in un codice si impigliasse nelle mani del tempo, diventando desueta. E allora cosa rimarrebbe dell’uomo? La memoria di un individuo in che modo è tatuata sul suo corpo? Attraverso un codice o attraverso quella piega vicino al labbro, quella ruga accanto all’occhio che scavano un solco e rimandano a un momento particolarmente (in)felice?
Al termine del percorso, e dopo la performance dei Bandao, incontriamo Pistoletto e ricordiamo insieme un’altra personale a lui dedicata, Codice Inverso, del 2001 – la bella mostra diffusa per Città di Castello. Allora, in un video, dichiarò di essere Dio. Gli domandiamo cosa pensa di essere ora. E lui, con quell’icasticità un po’ alla Woody Allen, risponde sornione: «Non mi sono mai degradato così tanto!».
Le mostre proseguono:
fino a domenica 10 settembre 2023
tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00
Galleria Continua
San Gimignano
piazza della Cisterna
Michelangelo Pistoletto
I Quadri Specchianti
via del Castello, 11
Carlos Cruz-Diez
L’euforia del colore
Arco dei Becci
Eva Jospin
Vedute
venerdì, 16 giugno 2023
In copertina: Carlos Cruz-Diez, Environnement Chromointerferent 1974-2018, (detail), video, variable dimensions. Special project GALLERIA CONTINUA & ARDIAN. © Carlos Cruz-Diez / Bridgeman Images, 2023. Photo Lorenzo Fiaschi
Nel pezzo: Michelangelo Pistoletto, Qr Code Possession – Autoritratto 2022, silkscreen on super mirror stainless steel, 210 x 125 cm. Courtesy The Artist and Galleria Continua, San Gimignano. Foto di Ela Bialkowska, OKNO Studio