“Ma una sirena non ha lacrime / e proprio per questo soffre molto di più”*
di Myriam Martufi
Da quando, nel 2019, ne era stata annunciata l’uscita, il live action de La Sirenetta aveva suscitato grandi aspettative, ma anche grandi polemiche. Attualmente in proiezione nelle sale cinematografiche, Disney tenta di dare nuova vita a storie vecchie, cavalcando l’onda lunga delle rivisitazioni dei grandi classici, nella speranza che abbiano ancora qualcosa da dire. È passato un po’ di tempo da quando la memorabile sirena dai capelli rossi e gli occhioni azzurri nuotava nelle profondità del mare alla ricerca del vero amore. Da quel momento tanto è cambiato, forse tutto. Ma sarà necessario tuffarsi in profondità ed entrare nell’abisso per scoprire di che cosa si tratta.
Il film fa certamente dei passi avanti rispetto al cartone del 1989, grazie alla maggiore tridimensionalità e spessore acquisiti dai personaggi. Ariel infatti non è più ossessionata dalla bellezza del principe, ma è anche una figlia e una donna che, cresciuta all’ombra dei desideri del padre tritone, vuole ora trovare una voce che le appartenga davvero. Ed è per questo che, nella scena iconica all’interno della caverna delle meraviglie, in cui Ariel esprime il desiderio di far parte del mondo degli umani, il suo canto ingenuo e al tempo stesso straziante, non è più uno strumento utilizzato dalla sirena per attrarre a sé un uomo, quanto un modo per far venire alla luce la propria identità, finalmente scissa da come gli altri la avrebbero desiderata, e non lasciare che affondi mai più. Dall’altro lato, anche il principe Eric sveste i panni di mero oggetto del desiderio, per diventare soltanto un ragazzo desideroso di trovare la sua vera strada lontano dalla famiglia d’origine. Entrambi si immergeranno in un’avventura amorosa che li vedrà, per la prima volta, sullo stesso piano, e non mancherà – a scanso di spoiler – il lieto fine.
Tuttavia, come nelle migliori storie, l’eroina alla fine del suo viaggio sarà tanto più luminosa quanto più cupa sarà l’ombra che dovrà affrontare. E nel caso di Ariel, per scorgerne l’ombra bisogna riscoprire la penna di chi l’ha generata, ossia lo scrittore danese Hans Christian Andersen. Quando le luci si spengono nella sala, è proprio a lui che vengono dedicate le primissime scene del film. Flutti marini si gonfiano e frangono, trasformandosi in spuma il cui vapore si libra nel cielo. Ed è in quel momento che viene ricordata la prima Sirenetta, protagonista della fiaba di Andersen del 1837, che a differenza della sua gemella disneyana, non conoscerà un destino altrettanto fortunato. Rifiutata dal principe che sposerà un’altra donna, finirà per trasformarsi in una figlia dell’aria, e sarà costretta a vivere per sempre senza di lui.
C’è un filo comune tra le due versioni, un denominatore che si ritrova nella profonda sofferenza di Ariel, che immagina l’esistenza di un altrove a cui sente di appartenere davvero. Avverte il bisogno di far parte di questo mondo come un vero e proprio richiamo, e vuole camminare per le sue strade, anche se non le ha mai viste, perché sa che lì saranno accettate quelle parti di lei che è stata costretta finora a nascondere. La voce di Ariel è in realtà la voce di Andersen, a cui la società dell’800 impedì di dichiarare l’ amore per una persona del suo stesso sesso. Innamorato di Edvard Collins, figlio del suo mecenate, Andersen si sentirà sempre un pesce fuor d’acqua, costretto a nascondere i suoi sentimenti per timore dei pregiudizi altrui e, proprio come la sua creatura di carta, sarà rifiutato dall’amato, che finirà per sposare una donna.
La storia della sirenetta, più di tante altre, racchiude in sé il tema della diversità, e richiede un’attenzione particolare per scorgere – come il luccichìo di una perla sul fondo dell’oceano – il dolore profondo di chi è costretto a fingere di essere qualcosa di diverso da sé, per paura di non essere accettato. Al netto di ciò diventa inutile ogni polemica, come quella sull’attrice, Halle Bailey, scelta per impersonare Ariel nel live action, e criticata per il colore della sua pelle, che a dire dei detrattori, mancherebbe di accuratezza storica. Ecco, quand’anche la voce di Halle Bailey non bastasse a zittirli, nonostante riempia la sala risvegliando l’anima bambina di ogni spettatore e spettatrice, si potrebbe forse concludere che, se proprio volessimo essere storicamente accurati e rispettare la natura queer della favola, non c’è dubbio che la sirenetta, più che essere bianca, avrebbe dovuto essere un uomo.
* Hans Christian Andersen
venerdì, 9 giugno 2023
In copertina: Il poster del live action (particolare)