La differenza tra il Washington Post e il canale Telegram di Andrea Lucidi
articolo e traduzioni di Simona Maria Frigerio
Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere il WP, come a volte leggo il NYT, per tastare il polso della stampa mainstream d’Oltreoceano. L’articolo si intitolava Biden shows growing appetite to cross Putin’s red lines (1) ed era firmato da John Hudson e Dan Lamothe.
La prima cosa che ho notato è che un semplice pezzo con frasi riportate è stato scritto da ben due giornalisti: il primo competente nei settori ‘diplomazia’ e Dipartimento di Stato, il secondo esperto delle Forze Armate. Beati i tempi in cui un Seymour Hersh sapeva fare un’inchiesta che partiva dalla situazione sul campo, passava per i desiderata della politica, contava su fonti anonime e finiva per analizzare la situazione geostrategica mondiale.
Dopodiché comincio a spulciare – ammetto – anche un po’ cavillosamente il pezzo a quattro mani dato che spero che i due colleghi dell’establishment massmediatico statunitense rispondano a una domanda che mi assilla da tempo: “Ma qualcuno crede davvero che la Russia possa perdere in Donbass e, nel caso, che il Presidente Putin permetterebbe la dissoluzione dello Stato e la svendita dei beni della sua popolazione rinunciando a usare ogni mezzo, ossia ogni arma, in suo possesso?”
A tal proposito i colleghi rispondono: “Nonostante gli avvertimenti che armare l’Ucraina avrebbe portato a una guerra mondiale, il Presidente Biden continua a spostare i limiti posti dai leader russi – una strategia che comporta rischi e ricompense”. Sul rischio concordiamo, ma sul ‘premio’ meno – eccetto che non intendano (ma non è esplicitato) la deindustrializzazione dell’Europa, l’implosione dell’Euro e forse della Ue, e la definitiva dipendenza energetica europea dal costoso e inquinante gas di scisto statunitense.
Seguono alcune frasi che sciorinano l’elenco delle armi fornite (o promesse) direttamente dagli States e dall’Europa. Si parte dagli F-16, considerati una ulteriore linea rossa, che però l’esperto delle Forze Armate non specifica che sono fondi di magazzino, ormai obsoleti, che alcuni Paesi europei avrebbero comunque dovuto dismettere e che saranno sostituiti probabilmente da caccia di ultima generazione (ordinativi per i quali l’industria degli armamenti Made in Us ringrazia). Tali F-16 saranno al massimo 150/200 e saranno consegnati in un arco di tempo che, secondo vari osservatori, vanno dai sei mesi ai due anni. Al che ci si domanda: qualcuno pensa che la guerra durerà tanto o che la Russia dopo quanto accaduto si fiderà a lasciare che l’Ucraina si riarmi e aderisca alla NATO?
Segue il resto della nota della spesa: “Missili Javelin e Stinger, lanciarazzi HIMARS, sistemi avanzati di difesa antimissili, droni, elicotteri, carri armati M1 Abrams e, presto, jet da combattimento di quarta generazione”. Sui jet di quarta generazione nulla sappiamo e ci fidiamo delle news di corridoio dell’esperto ma sui Patriot, ad esempio, qualcosa sappiamo: ossia che la Russia li sta distruggendo o gravemente compromettendo. Sappiamo altresì che nessun jet può decollare se non c’è un aeroporto militare dal quale partire e che qualsiasi mezzo da combattimento ha bisogno di manutenzione e pezzi di ricambio (ma se saltano ponti e strade diventa difficile approvvigionarsi). Comunque l’esperto delle Forze Armate ci pare che se sa tutto sui piani del Pentagono, forse deficiti di qualche informazione – assolutamente pubblica – del Ministero della Difesa russo che, forse, gli fornirebbe un’idea più precisa di quanto accade in Donbass.
Proseguiamo. “Una ragione chiave per ignorare le minacce di Putin, affermano le autorità statunitensi, è la dinamica che si è instaurata dall’inizio del conflitto: il Presidente russo non ha dato seguito alle sue promesse di punire l’Occidente per aver fornito armi all’Ucraina. Il suo bluff ha dato ai leader statunitensi ed europei l’idea di poter continuare su questa strada senza gravi conseguenze – ma fino a che punto rimane una delle incertezze più pericolose del conflitto”. Ora non comprendiamo se i colleghi avrebbero voluto che il Presidente Putin bombardasse qualche base NATO in giro per l’Europa così da scatenare la Terza Guerra Mondiale – mantenendo quella che loro considerano la ‘promessa’ – oppure se non si sono accorti che, fino a un certo punto, i russi ad esempio non avevano attaccato la rete elettrica ucraina e che al contrario, adesso, l’Ucraina dai satelliti (secondo altre fonti stampa) sarebbe sempre più al buio. Così come se domani si pensasse di far partire gli F-16 dalla Polonia o da altri aeroporti europei (come si divertono a ipotizzare sempre più Oltreoceano) questo non vorrebbe dire essere i più ‘furbi’ del quartiere bensì incendiare l’Europa intera. La poca comprensione di quanto accada realmente sul campo è sottolineata anche dalla frase di poco successiva: “La Russia ha svalutato talmente le sue linee rosse così tante volte dicendo che certe cose sarebbero state considerate inaccettabili, senza poi far niente quando ciò accade”…: frase sibillina e incompiuta, che avrebbe scritto o pronunciato un certo Maxim Samorukov, esperto della situazione russa presso il Carnegie Endowment for International Peace – un Istituto con sede a Berlino presieduto da Penny Pritzker (miliardaria ed ex Segretario del Commercio statunitense sotto l’amministrazione Obama), il cui board è composto da manager statunitensi, francesi e inglesi ricchissimi e di altissimo livello, che fanno affari nei campi più diversi, dalle assicurazioni alla medicina fino al petrolio. Queste sarebbero le fonti ben informate dei miei illustri colleghi?
Ovviamente per fare un buon articolo mainstream occorre scegliere sapientemente gli aggettivi. E così leggiamo: “Via via che la guerra si è ‘trascinata’ (dragged on), gli avvertimenti di Putin (mai il titolo) e dei suoi ‘subordinati’ (non ministri o generali) sono diventati solo più ‘roboanti’ (bombastic), minacciando l’olocausto nucleare se la Russia fosse stata sconfitta sul campo di battaglia”. E qui viene, secondo loro, sciorinata la prova di quanto affermato: “Martedì, droni hanno colpito ricchi quartieri moscoviti in quello che la politica russa ha definito il peggior attacco sulla capitale dalla Seconda Guerra mondiale”. Ora, non sappiamo a quali politici si riferiscano perché in questo caso non riportano la fonte ma è ovvio che se Mosca non ha più subito alcun attacco dal Secondo dopoguerra, e non ci risulta, questo non può che essere stato il peggior attacco – in quanto l’unico. Ma specifichiamo anche altre due cose che i colleghi, forse, dimenticano. Per aver colpito altri due grattacieli, ma negli States, un intero Paese (che non c’entrava nulla con la distruzione delle Torri Gemelle) è stato bombardato e occupato per vent’anni. Posso dire di essermi sentita sollevata dal fatto che il Presidente Putin si sia dimostrato più lungimirante dell’ex Presidente Bush jr. Il secondo fatto è che i droni sono stati intercettati dal sistema di difesa antiaerea ma alcuni frammenti sono caduti su un paio di grattacieli. Per fortuna il ‘peggior attacco sulla capitale dalla Seconda Guerra mondiale’ non è stato quella strage di civili che, probabilmente, l’Ucraina avrebbe voluto perpetrare – anche se i colleghi ci informano che Kyiv ha negato di essere coinvolta. Al che ci si domanda perché i russi siano così autolesionisti da far esplodere un gasdotto, tentare di distruggere il Cremlino e poi optare per l’uccisione di qualche migliaio di ignari passanti. A me parrebbe che sia stato, al contrario, l’ennesimo tentativo di sorpassare la linea rossa e allargare il conflitto all’intera Europa (come continua a dire di volere il Presidente Zelensky).
Ciliegina sulla torta la chiusa: “Ma Kyiv appare contenta che i civili russi stiano sperimentando le paure che gli ucraini hanno provato per oltre un anno mentre le loro città sono state sottoposte agli attacchi senza tregua con droni e missili russi”. Qui i colleghi si contraddicono sia con quanto scritto in precedenza sia con quanto scriveranno oltre (ma forse questo è uno dei problemi dello scrivere a quattro mani). In precedenza affermavano che la guerra si stesse ‘trascinando’ e che gli avvertimenti del Presidente Putin fossero sempre più ‘roboanti’. Ora si dice che Kyiv è stata colpita senza tregua: delle due l’una. Secondo punto. Colpire centri dell’intelligence, fabbriche di armamenti, aeroporti soprattutto militari, depositi di armi e munizioni, strade e ponti che servono per il rifornimento al fronte di uomini e mezzi è guerra – tenendo anche conto che la contraerea (colpendo missili, razzi e droni) può provocare la caduta di frammenti anche in zone residenziali. Nessuna di questi azioni potrò mai sottoscrivere, essendo un’italiana rispettosa dell’articolo 11 della Costituzione, ma la guerra è questa. Altra cosa è dirigere razzi e missili su una zona residenziale, far saltare un gasdotto, attentare alla vita del Presidente o colpire una diga di una centrale idroelettrica, come Nova Kakhovka. Questi sono atti di terrorismo (da chiunque siano perpetrati). E dato che in questi mesi più volte abbiamo visto l’Ucraina colpire, poi negare di essere coinvolta, poi rivelare che – al contrario – era stata lei, e dato che dubitiamo che i russi siano tanto autolesionisti da causare un deficit idrico in Crimea e già il 21 ottobre del 2022 avvertivano l’Onu dei piani di Kyiv rispetto alla diga, vi chiediamo: a chi si dovrebbe credere? Non è possibile che per dirottare l’attenzione massmediatica e creare un nuovo ‘caso’ – dato che in tre giorni di controffensiva Kyiv ha perso 3750 soldati – un nuovo disastro sia stata l’unica soluzione per prendere nuovamente tempo e riorganizzare truppe e mezzi?
https://digitallibrary.un.org/record/3992285
Ma non è finita qui. Perché tornando ai colleghi del WP, come scrivevo, gli stessi si contraddicono anche rispetto al prosieguo del pezzo. Leggiamo: “Una spiegazione possibile per la riluttanza di Putin a colpire l’Occidente è l’assottigliamento dell’esercito russo, secondo le autorità statunitensi” (non si sa quali), e più oltre: “Non sembrerebbe nel loro interesse arrivare a un confronto diretto con la NATO ora”. Ci chiediamo: sarebbe nostro, l’interesse? Nel 2022 Jens Stoltenberg prometteva che la Nato response force sarebbe stata portata oltre la soglia delle 300 mila unità, di cui 100.000 in Europa. Vinceremmo la guerra con tali forze? E infine: “Il Generale Mark A. Milley, Capo dello Stato Maggiore Congiunto, ha stimato in una recente intervista con il Foreign Affairs che la Russia ha subito finora 250.000 tra morti e feriti dall’inizio dell’invasione su vasta scala – perdite impressionanti per qualsiasi conflitto. Putin li ha rimpiazzati sul campo – Milley ha continuato – ma con riservisti che sono ‘malamente comandati, non ben addestrati, poveramente equipaggiati, non ben supportati’”. E ci risiamo con le pale, con le quali la Wagner avrebbe conquistato Artyomovsk… I colleghi probabilmente non leggono le dichiarazioni ufficiali del Ministero della Difesa russo e sono talmente poco preveggenti da essere smentiti, solo pochi giorni dopo, da un Generale come Gerasimov che, il 4 giugno, respinge (con quei riservisti ‘mal comandati e peggio addestrati’) un’offensiva ucraina su larga scala in direzione sud Donetsk. Il giorno dopo nuovo tentativo ucraino a Novodarovka e Lavadnoye. Secondo fonti russe il bilancio è gravissimo: si registrano 1500 perdite di vite umane da parte di Kyiv, oltre a 28 di quei carri armati che perseveriamo a inviare perché la carneficina continui.
La chiusa dà informazioni sui leader ucraini e il Presidente Zelensky che avrebbero “espresso costernazione pubblicamente. Hanno percepito tentennamenti e ritardi – come dichiarato – che hanno prolungato lo spargimento di sangue impedendo alla capacità ucraina di soverchiare militarmente la Russia e arrivare alla fine della guerra”. Al che ci si domanda come mai ci sia bisogno di tali roboanti armi da guerra contro dei riservisti ‘mal addestrati, mal equipaggiati e comandati perfino peggio’. Tutta la narrazione ha un che di farraginoso.
I colleghi poi tornano sui territori rioccupati da Kyiv ormai quasi un anno fa, dimenticando tutti quelli persi negli ultimi mesi, e la difficoltà ormai evidente dell’Ucraina di lanciare e proseguire con la controffensiva di ‘primavera’ – all’alba dell’estate.
La chiusura è affidata al direttore del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino, Alexander Gabuev, che mi dà finalmente la risposta che attendevo dalla prima riga: “Certe linee rosse esistono… ma siccome non abbiamo modo di sapere per certo cosa sono, lì c’è il rischio”.
L’unica mia certezza, già esplicitata al riguardo, è che il Presidente Putin è il più europeista degli europei e, invece di agire come farebbe magari uno statunitense, sta cercando di salvare gli europei, oltre che il popolo russo, dalla completa débâcle. Le sanzioni si sono ritorte contro l’Europa, è il G7 a essere sempre più isolato a livello internazionale e non è detto che il cambiamento climatico come spettro apocalittico basti a far accettare alla popolazione europea un’economia di guerra con quanto ne conseguirà – recessione, povertà, taglio della spesa sociale e dei servizi pubblici, grilli e cavallette al posto del manzo.
Ma qui siamo a un altro livello. Al pourparler da salotto, sorretto da voci di corridoio e dichiarazioni per la stampa, che forse ci dà il polso di quanto questa guerra sia lontana dagli statunitensi, per i quali il popolo del Donbass è scomparso dalla narrazione come le centinaia di migliaia di morti o feriti tra i soldati ucraini mandati al macello per soddisfare la curiosità di una élite che, Oltreoceano (ma anche vicino a casa), si pone capziose domande quali: “Fino a quando possiamo tirare la corda con i russi prima che usino un’arma nucleare?”
Il caso Andrea Lucidi
Fare giornalismo da salotto è un’attività piacevole – diciamocelo. Ci fa sentire informati, importanti, intelligenti perfino. Chiacchieriamo, ci confrontiamo, siamo invitati qui e là, ‘facciamo cose e vediamo gente’, sproloquiamo con garbo e gusto – magari a qualche ‘aperi-party’. Possiamo elucubrare e trasformare le persone uccise in un mercato in ‘danni collaterali’: lo abbiamo imparato trentadue anni fa con la missione di ‘pace’ in Iraq e da allora la guerra è diventata per noi giornalisti meglio di un videogioco. Un passatempo da gestire seduti davanti a un computer, al telefono con qualche funzionario amico, nei corridoi del potere, traducendo la velina con parole ‘nostre’, o al massimo chiamando l’ultimo sparuto corrispondente spesso free-lance, che risiede a centinaia di chilometri dal fronte (oppure a 862, ossia a Kyiv quando si vuol raccontare Mosca).
Ma quando si è sul campo e si conoscono le persone perché si è stati ospiti a casa loro prima della guerra; quando si telefona, magari dal 2014, a intervalli più o meno regolari per sapere come stanno, questi cittadini del Donbass che in guerra ci sono da ben nove anni; quando si vedono i corpi martoriati e si sente l’odore di carne bruciata di un morto in un incendio seguito a un’esplosione; allora le cose cambiano un po’. Si prova rabbia, si prova dolore, si torna empaticamente in contatto con gli altri da sé – e i ‘danni collaterali’ riassumono i connotati di persone.
Andrea Lucidi è stato intervistato da InTheNet qualche mese fa (2) perché volevamo avere il polso della situazione da una persona che vive in Russia e che era sul campo, ma che aveva anche conosciuto il Donbass prima del 2022 e, essendo italiano, potesse raccontarci con un occhio esterno ma affettuoso persone e luoghi di un Paese dimenticato.
Lucidi, come ogni reporter che vive in prima persona la guerra, non è imparziale come il collega che a Washington raccoglie dichiarazioni di seconda mano e legge affermazioni di ‘esperti’ seduti alla scrivania di istituti che si trovano a migliaia di chilometri dal fronte. Lui percorre le stesse strade, va negli stessi mercati, entra nelle stesse case di chi vive la guerra in Donbass da 9 anni.
E questi giornalisti, quelli come lui, che raccontano ciò che vedono e provano sono i più ‘pericolosi’ per coloro che non ammettono dubbi circa la narrativa che deve prevalere.
Lo abbiamo imparato con il Covid come l’informazione dovesse conformarsi al pensiero unico; adesso lo stiamo vedendo con il cambiamento climatico che nessuno può mettere in dubbio sia dovuto alle attività umane – al nostro frenetico consumismo, che per mezzo secolo ci è stato inculcato per ripagare il Piano Marshall (con sudditanza e acquisto spasmodico di beni inutili e stranieri). E adesso quello stesso giornalismo non può che reiterare, altrettanto spasmodicamente, la versione dell’aggressore (la Russia) e dell’aggredito (l’Ucraina), cancellando dall’equazione il Donbass.
E così Andrea Lucidi, che scrive tutti i giorni sul suo canale Telegram quello che vive e vede in Donbass, è finito sul sito Mirotvoretz in quanto – come spiega lui stesso – “colpevole di diffusione di propaganda russa, supporto dell’invasione dell’Ucraina e udite udite, ‘partecipazione ai crimini russi contro il governo di Kiev ed il popolo ucraino’”.
La lista di proscrizione, creata nel 2014, e sostenuta anche da Anton Gerashenko (3), consigliere ed ex viceministro presso il Ministero degli Affari Interni dell’Ucraina, comprende giornalisti, attivisti, scrittori, persino artisti e – tra gli italiani – vi era stato inserito anche Andrea Rocchelli (4), come ci ricorda Lucidi: “ucciso dall’esercito di Kiev nel 2014, la cui foto è ancora presente in questo database con sopra scritto ‘liquidato’”.
Sappiamo che in molti Paesi i giornalisti rischiano la vita ogni giorno. In Messico, ad esempio, a causa dei Cartelli e delle organizzazioni paramilitari, nel 2022 ne sono stati assassinati 86 (l’anno precedente, secondo l’Unesco, ‘solo’ 55). Però non si pubblicano liste di proscrizione con nomi, cognomi ed eventualmente indirizzi. E vi risulta che chi uccide i giornalisti sia ufficialmente alleato e armato dall’Occidente? I nazionalisti ucraini non stanno mettendo a dura prova la nostra capacità di giudizio? Continuare a sostenere chi tenta di uccidere il Presidente di un altro Stato (5), o compie atti terroristici per assassinare giornalisti come Daria Dugina (6), può essere alleato di chi si fregia di rispettare le cosiddette ‘regole’? Capire e far capire chi ci sta di fronte e rimettere al centro l’autodeterminazione del popolo del Donbass (7) è la linea rossa, ossia invalicabile, dell’Occidente? E noi giornalisti fino a quando potremo considerarci tali se non difendiamo la libertà di parola e critica, smettendola di etichettare come fake news tutto ciò che non ci aggrada e tentando di silenziare, o approvando con il nostro silenzio chi ‘elimina’ anche fisicamente il dissenso? Perché questi sono compiti che si assumono le dittature non le democrazie.
(1) Biden mostra un crescente appetito per oltrepassare le linee rosse di Putin: https://www.washingtonpost.com/national-security/2023/06/01/ukraine-f-16s-biden-russia-escalation/
(2) Intervista ad Andrea Lucidi da Mosca: https://www.inthenet.eu/2023/02/24/un-anno-dopo-il-donbass-come-cancellare-un-popolo-dalla-narrazione/
(3) Estratto da un’intervista a Anton Gerashchenko
(4) Le ultime notizie sul caso Rocchelli: https://espresso.repubblica.it/opinioni/2023/04/12/news/omicidio_andy_rocchelli-395303643/
(5) Gli ucraini probabilmente dietro l’attacco al Cremlino, affermano le autorità statunitensi: https://www.nytimes.com/2023/05/24/us/politics/ukraine-kremlin-drone-attack.html
(6) Gli States avallano la mano ucraina nell’omicidio di Daria Dugina: https://www.reuters.com/world/europe/us-believes-ukrainians-behind-killing-dugina-russia-nyt-says-2022-10-06/
(7) Il Piano di Pace dell’Indonesia che prevede un nuovo referendum, sotto l’egida delle Nazioni Unite, per rimette al popolo del Donbass la decisione del proprio futuro. Il Piano è già stato rifiutato da Kyiv: https://www.reuters.com/world/indonesia-proposes-demilitarised-zone-un-referendum-ukraine-peace-plan-2023-06-03/
venerdì, 9 giugno 2023
In copertina: Il Campidoglio, foto di Jacqui da Pixabay; nel pezzo: il Cremlino, foto di Adam Bortnowski (entrambe da Pixabay, gratis sotto la Licenza per i contenuti). Nel pezzo anche uno screenshot della foto di Andrea Lucidi sul sito Mirotvoretz