L’ironia graffiante di Sol Picó trionfa a Corte
di Simona Maria Frigerio
Torino. Gran Finale per Teatro a Corte con One – Hit Wonders della geniale Sol Picó. Uno spettacolo ironico e irriverente, sagace e poetico, intelligente come la sua ideatrice, in grado di divertire e far riflettere. Una lunga cavalcata nella carriera di una danzatrice, regista, coreografa e performer tra le più interessanti della scena spagnola. Sol Picó ha deciso, a questo punto della sua vita, di fare un bilancio degli oltre vent’anni di brillanti successi – evitando la solita, stantia autobiografia preconfezionata da qualche ghost writer, per scriverne una danzata.
Sol sale in aereo e il fil rouge del viaggio (reale e metaforico), nel passato e verso il futuro, nell’olimpo della fama e nei cieli solcati dalle rotte turistiche, ci accompagna per un’intera, intensa ora di a solo – tra i più famosi della sua carriera.
Si parte da Bésame el cactus, spettacolo del 2000, che mette in scena le difficoltà e gli ostacoli (letterali e figurati) che deve superare una ballerina agli inizi. Per farlo, Sol è costretta a danzare bendata tra una selva di piante grasse che rischiano, a ogni passo, di trafiggerla con le loro spine. Splendida prova di destrezza, metafora calzante, che va in frantumi quando la protagonista capisce che la danza classica non è la sua strada, sentendo il bisogno di andare oltre il battement tendu o il grand jeté. Da questo momento Sol, tra voli onirici e scambi pungenti di battute con la vicina di posto (immaginaria), affronta problemi sempre più seri che coinvolgono, oltre a lei, qualsiasi artista e persino lo stesso pubblico. Per farlo attinge a una molteplicità di linguaggi, tra i quali spicca la pantomima ma senza ricorrere mai a media altri da quelli propri del teatro: il corpo e la voce, i costumi e i pochi oggetti di scena, le luci, una macchina teatrale ridotta al minimo ma massimamente funzionale.
Uno tra i momenti più gustosi e, al contempo, profondi è quando Picó coinvolge tre membri del pubblico perché la aiutino a inscenare il fallimento. Il risultato, una pantomima a dir poco esilarante, è anche un potente mezzo di confronto tra l’artista che, a ogni nuovo spettacolo, deve superare le proprie paure di un eventuale insuccesso, e lo spettatore che, sebbene non debba salire sul palco, prova gli stessi timori nella propria vita di tutti i giorni.
Sol Picó contestualizza il suo viale del tramonto con intelligenti stoccate alla società del benessere e ai falsi miti dell’eterna giovinezza: “Tutto cade, anche il pil”. Riuscendo a costruire un confronto serrato tra la propria esperienza di donna e di artista, che non si pone nell’empireo degli idoli, e il mondo che la e ci circonda. In tre lingue (castigliano, catalano e italiano), Sol tocca temi devastanti con estrema autoironia e profondità, dalla crisi economica all’invecchiamento di un corpo che deve essere teso e preciso come un arco per danzare a questi livelli, o per reggere le sfide di un’esistenza sempre più precaria.
E il finale, quella danza appassionata a pugno chiuso, a rivendicare la propria voglia di continuare a combattere, a creare, a vivere di e con la danza, è un’estrema prova di bravura, è un canto del cigno che ha la potenza di andare oltre la contingenza e di ergersi a rivendicazione collettiva, a rivalsa contro il tempo e i tempi nei quali ci dibattiamo. Le sue qualità tecniche sono eccellenti, il controllo di ogni muscolo, ogni gesto, di quelle mani talmente espressive da scrivere quasi un discorso a se stante, dimostrano che Sol è ancora ben lontana dal fine carriera. Ma le capacità espressive, l’emozione che è in grado di suscitare nel pubblico e l’ottima regia dimostrano che Picó ha raggiunto una maturità piena come donna e come artista.
Parafrasando alcune battute del suo splendido finale, a noi non resta che augurarle che questo suo lento atterraggio sia il più indolore possibile e che il suo tramonto ci illumini ancora a lungo perché c’è davvero bisogno del suo calore.
Un post scriptum va a Teatro a Corte. Lo spettacolo di Sol Picó a conclusione del Festival sembra riconfermare alcune intuizioni alle quali si era giunti. Nel weekend della danza sono stati presentati spettacoli diversi, che spesso attingono a discipline che, con la danza, forse hanno delle affinità ma nulla più – dalla ginnastica all’equilibrismo acrobatico. Lo spettacolo di Sol, al contrario, è danza contemporanea e non solo (con basi tecniche eccellenti), pantomima e recitazione. Il corpo della performer nudo (metaforicamente parlando) di fronte al suo pubblico, che si rispecchia in quel gesto espressivo, in quel passo pensato, in quel volto sofferente o acceso da una luce interiore.
Al contrario, al Festival, nel weekend dedicato alla danza, si sono visti molti video, da quelli di denuncia a quelli amatoriali fino al 3D. Le arti performative però hanno bisogno del corpo vivo e vibrante del performer/danzatore. Vedere il teatro in tv può essere momento pedagogico importante, documento testimoniale di valore, ma non è la stessa cosa che essere a teatro e sentire, effettivamente, l’odore del palcoscenico, toccare quasi con mano la goccia di sudore, scusare l’errore e ridere con complicità e gratitudine quando il performer recupera con professionalità. La frase risulterà démodé ma il cinema va visto sul grande schermo, la danza e la prosa dal vivo in teatro. E Sol Picó, lo ha dimostrato perfettamente.
venerdì, 26 maggio 2023 (la recensione riguarda lo spettacolo andato in scena a Teatro a Corte, sabato 1° agosto 2015, presso il Teatro Astra di Torino alle ore 21.00, in originale in Anche i critici nel loro piccolo…)
In copertina: Sol Pico @Rojobarcelona (una tra le fotografie utilizzate nel 2015 per pubblicizzare lo spettacolo)