A Bologna un convegno sulla disabilità psicosociale
di La Redazione di InTheNet
Venerdì 5 maggio 2023, Cappella Farnese in piazza Maggiore a Bologna. Alle 14.00 cominciano ad arrivare alla spicciolata relatori e pubblico. L’ingresso è libero, anzi la cittadinanza è invitata a partecipare a quello che vuole essere non solamente la proposta di una serie di relazioni di legali, docenti, psichiatri e operatori di settore, ma anche un dibattito aperto in cui siano protagoniste le esperienze personali dei presenti e si apra un dialogo fra tutti gli intervenuti a questo incontro sulla salute mentale e sulle persone disabili psicosociali.
Dei tanti interventi, ci soffermeremo sul primo in quanto l’avvocato Michele Capano ha riassunto succintamente la storia della cosiddetta Legge Basaglia, ha descritto quali siano i limiti alla sua applicazione nel presente e quali strade si potrebbero percorrere per eradicare definitivamente un sistema che ghettizza e non cura, che emargina e non integra, che tuttora rinchiude e non dà risposte ai pazienti né alle loro famiglie.
Capano, presidente dell’associazione Diritti alla Follia, ha esordito partendo dal libro del professor Ivan Cavicchi (anche lui tra i relatori), Oltre la 180, un libro in cui il docente, che insegna presso l’Università Tor Vergata di Roma, spiega come “il progetto di Basaglia è in realtà incompiuto e come la psichiatria sia ancora in larga parte da riformare” (1).
La premessa indispensabile è che, prima della L. 180/78 – fortemente voluta in un momento storico in cui si portavano avanti molte lotte civili, che avrebbero permesso la stesura del nuovo diritto di famiglia come l’approvazione della Legge sull’interruzione volontaria di gravidanza – la differenza tra un paziente psichiatrico e quasi ogni altro tipo di paziente era che il primo, spesso, subiva la ‘cura’ – equiparata a una vera e propria costrizione (anche fisica) – mentre il secondo la condivideva o, almeno, la auspicava. In ogni caso, prima della 180 vi era sempre un certo livello di coercizione che rimarrà, purtroppo, anche dopo l’approvazione della Legge. Erroneamente appellata Basaglia, la 180/78 ebbe in realtà come estensore lo psichiatra e politico democristiano Bruno Orsini e mantenne nel suo impianto norme coercitive quali il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Fu emanata, probabilmente, per scongiurare quel referendum che puntava “sulla liberazione dell’individuo e sul suo inserimento nel circuito sociale” così da eradicare la marginalizzazione e, ancor peggio, l’istituzionalizzazione manicomiale.
Capano viene poi all’attualità e denuncia come in quest’anno di ‘grazia’ 2013, in Italia, vi siano più internati – ovvero persone “che hanno una quotidianità reclusa, segregata, istituzionalizzata perfettamente comparabile a quella manicomiale senza i grandi numeri del manicomio” – di quanti ve ne fossero prima del 1978, sebbene quest’ultimo dato non sia facile da reperire (e si ipotizzino 20/30 mila persone ricoverate nella massima espansione dei manicomi in Italia). Ecco quindi che la Legge 180 è stata, in realtà, una ‘controriforma’, frutto di una mediazione propria dell’allora Democrazia Cristiana, ma anche di chiusure – denuncia Capano – all’interno della stessa classe psichiatrica del nostro Paese, che avrebbe continuato a favorire la “segregazione, così come l’esercizio del potere nei confronti di alcuni individui”, condannati all’isolamento “sulla base di quel disagio, di quella diversità”.
Cosa fare quindi? In primis, secondo Capano, occorre coinvolgere i destinatari di qualsiasi ‘cura’ e fa un raffronto efficace quando afferma che ogni “dibattito sulla riforma della giustizia avviene sempre tra gli operatori, tra gli avvocati e i magistrati, non coinvolgendo coloro che sono i destinatari” dell’amministrazione della giustizia, così come accade nei dibattiti tra gli operatori del mondo della salute mentale che escludono i destinatari del loro operato.
Chi difende, oggi, i diritti fondamentali di queste persone? La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata in Italia nel 2009) parla di portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali (2), i quali hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla società, ossia di godere di tutti i diritti riconosciuti agli altri cittadini. La disabilità psicosociale resta, però, in gran parte esclusa da tali diritti in quanto è sotto gli occhi di tutti che non solamente esistono persone “che sono segregate come ai tempi del manicomio” ma che “non possono nemmeno interloquire” con coloro che decidono tali azioni coercitive. Il “ricovero coatto esiste ancora” (con il TSO), mentre la Legge sull’amministrazione di sostegno (ricorda sempre Capano), “viene quotidianamente utilizzata per realizzare quel ricovero coatto e quella possibilità di somministrazione farmacologica senza alcun consenso dell’individuo”. Capano ricorda ancora che “abbiamo trattamenti sanitari obbligatori che durano decenni, altro che 7 giorni!”.
Il Giudice stabilisce, grazie all’attuale Legge sull’amministrazione di sostegno (3), chi è “titolato a prestare il consenso al posto dell’individuo”. I “meccanismi che permettono la sostituzione di un individuo a un altro”, secondo Capana, sono estranei al diritto internazionale e difatti l’associazione Diritti alla Follia (4) sta lottando perché l’individuo torni detentore del diritto di scelta sulla propria esistenza. Non sarà un caso che anche il Comitato delle Nazioni Unite preposto al monitoraggio dell’applicazione della Convenzione succitata, “nelle sue ‘Osservazioni conclusive al primo Rapporto sull’Italia’ (30 luglio 2016) ha raccomandato al nostro Paese di svolgere una adeguata attività formativa, in relazione ai rivoluzionari principi della Convenzione, a beneficio del personale giudiziario”. Il primo passo sarebbe, quindi, rendere consapevoli gli amministratori di sostegno che anche i disabili psicosociali devono poter fruire dei medesimi diritti degli altri cittadini.
L‘integrità di una persona, anche se ‘diversa’, in un mondo in cui le differenze dovrebbero essere non solamente rispettate ma valorizzate, passa ancora una volta dalla consapevolezza che nessuno Stato, nemmeno per un presunto bene supremo, può segregare, costringere, ostracizzare, violare la mente, il corpo e/o la psiche di un essere umano. Un amministratore di sostegno non è l’AD di un’azienda e non si può pensare di sostituire la cura (nel senso etimologico di interessamento e impegno) con il controllo.
(1) La presentazione del libro di Castelvecchi Editore: http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/oltre-la-180/
(2) Legge 3 marzo 2009, n. 18: https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2009-03-14&atto.codiceRedazionale=009G0027¤tPage=1
(3) Legge sull’amministrazione di sostegno:
(4) L’analisi di Diritti alla Follia: https://dirittiallafollia.it/2021/06/05/la-realta-dellamministrazione-di-sostegno-in-italia/
venerdì, 19 maggio 2023
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