Bombardamenti su Gaza e omicidi ‘mirati’
di La Redazione di InTheNet
Mentre a Mosca si siedono allo stesso tavolo delle trattative il ministro degli esteri siriano, turco e iraniano. Mentre la Siria è accolta nuovamente nella Lega Araba e si sancisce la vittoria del Presidente Assad contro le interferenze – dirette e indirette – degli Stati Uniti. Mentre in Cina, Iran e Arabia Saudita ripristinano le loro relazioni diplomatiche e vanno verso il superamento delle ostilità e una pacificazione dello Yemen. Mentre l’Africa si sta liberando del giogo del post-colonialismo europeo – soprattutto ma non esclusivamente francese. La Palestina resta in una situazione di occupazione territoriale ed esodo forzato che si protrae ormai da oltre 75 anni.
Facciamo un passo indietro per chi non fosse ferrato in storia. La Nakba (ossia, catastrofe) è il termine con il quale si definisce l’esodo forzato di 700 mila arabi palestinesi, i quali furono costretti ad abbandonare le proprie case e le proprie terre, occupate da Israele – proclamato Stato indipendente da David Ben Gurion il 14 maggio 1948. I territori di cui si impossessò Israele erano quelli che il colonialismo britannico aveva ottenuto grazie all’Accordo (segreto) Sykes-Picot – a scapito delle popolazioni arabe locali – nel lontano 1916, dopo aver sconfitto l’Impero Ottomano (con l’aiuto di quelle stesse popolazioni arabe).
Quando la Presidente della Commissione Europa, Ursula von der Leyen (1), con sorriso squisito e in un impeccabile inglese decanta che “75 anni fa un sogno è stato realizzato con il Giorno dell’Indipendenza di Israele”, non rammenta che il regime colonialista in quel territorio era imposto da un Paese europeo, il Regno Unito, e che gli oppressi che avevano combattuto contro gli ottomani per l’indipendenza – al fianco del ben noto Lawrence d’Arabia – erano anche quegli arabi palestinesi che dagli israeliani, proprio 75 anni fa, venivano scacciati brutalmente dai propri villaggi (2).
Le Nazioni Unite, in questi decenni più volte hanno varato risoluzioni contro lo Stato di Israele rivelatesi carta straccia. “La risoluzione 194 del 1948 sancisce il diritto di ritorno dei profughi. Fu applicata solo in minima parte. Dopo la guerra del 1967, con la risoluzione 242 del 22.11.1967 l’ONU ingiunse a Israele di ritirarsi dai territori conquistati militarmente (conquistare territori altrui con la forza è contrario alla carta dell’ONU ma Israele ignorò e ignora tuttora tale risoluzione, come ha ignorato tutte le risoluzioni successive)” (3).
Nel frattempo la pratica degli assassini mirati [tanto cara all’ex Presidente Obama, come ha denunciato Daniel Hale (4), e allo Stato di Israele] miete nuove vittime. Khader Adnan, uno tra i leader della Jihad detenuto in Israele muore a seguito di uno sciopero della fame. La Jihad accusa Israele di aver favorito l’esito infausto della protesta. Alcuni razzi sono lanciati su Israele senza perdite umane. La risposta del Governo di Netanyahu, apparsa all’inizio moderata, si trasforma in feroce. La destra israeliana plaude. Il 9 maggio, un raid israeliano uccide tre leader della Jihad che stavano salutando i familiari prima di un viaggio al Cairo e in altri Paesi, per incontri politici (5), e altre 10 persone, di cui 5 donne e 4 bambini. Una ventina i feriti, tra cui 7 donne e 3 bambini. Gli omicidi ‘mirati’ continuano a mietere ‘danni collaterali’. Quello che è vietato (o dovrebbe esserlo) sia al privato cittadino sia a uno Stato, ossia l’assassinio, è ormai pratica consolidata di alcuni Stati i quali sanno che rimarranno impunti [dagli States a Israele, passando per l’Ucraina – viste le ultime dichiarazioni del capo dell’intelligence di Kiev, Budanov, (6)]. Tali atti terroristici non susciteranno mai quell’indignazione popolare, nel nostro assonnato Occidente, che potrebbe sparigliare le carte sul tavolo della politica internazionale.
A riprova, Israele, l’11 maggio, uccide con nuovi raid almeno 27 palestinesi e ne ferisce una settantina. L’Onu si dimostra, come sempre, inutile. Dopo che il 5 aprile scorso il Segretario generale Antonio Guterres si definiva “scioccato” per le violenze delle forze di sicurezza israeliane nella Moschea di Al-Aqsa (7), mercoledì 10 maggio, al Palazzo di Vetro, “il Consiglio di Sicurezza ha tenuto una riunione richiesta dagli Emirati Arabi Uniti. Si è trattata dell’ennesima riunione d’emergenza a porte chiuse tra i Quindici da quando è tornato al governo israeliano Benjamin Netanyahu. Mentre gli ambasciatori sfilavano per raggiungerla, ‘off the record’ si spargeva lo scetticismo che dall’ONU possa arrivare la soluzione al conflitto più ‘antico’ che si trascina in queste sale dal 1947 (l’anno della prima risoluzione, la 181)” (8).
Il 13 maggio è entrata in vigore la tregua tra Israele e i miliziani della Jihad islamica, mediata dall’Egitto, ma pare che gli scontri a fuoco siano proseguiti. Le ultime notizie davano una trentina di morti e 150 feriti nella Striscia di Gaza a causa dei raid israeliani.
Due Stati su un unico territorio: pare un miraggio. Quella soluzione, nel 1947, non fu accettata dai palestinesi su consiglio dei Paesi arabi – non tenendo conto della cattiva coscienza europea, del senso di colpa per l’Olocausto, del potere economico e politico degli ebrei negli States. Oggi le cose potrebbero, però, avere sviluppi diversi. Una ritrovata armonia tra i Paesi arabi; la consapevolezza, forse, di essere stati utilizzati dallo ‘Zio Sam’ secondo il principio del divide et impera; il momento propizio per spostare l’ago della bilancia del potere dall’egemonia a Stelle e Strisce a un multipolarismo più rispettoso delle istanze delle minoranze e dei popoli (non dimentichiamo, ad esempio, i Sahrawi); e l’oggettiva crisi del capitalismo con appannamento dell’immagine dell’Occidente: potrebbero essere tutti elementi per riprendere in mano quella trattativa che dovrà garantire il diritto del popolo palestinese di vivere dignitosamente in uno Stato indipendente.
“Non potranno ucciderci tutti”: queste le parole dell’Ambasciata dello Stato di Palestina in Italia, commentando i fatti del 9 maggio. Forse solo un ritrovato panarabismo potrà consentire a una speranza di trasformarsi finalmente in realtà.
(1) https://twitter.com/euinisrael/status/1651088583644594177?s=48&t=aNlYf1JGn_5ymwyP-S3cqQ
(2) https://ilmanifesto.it/ilan-pappe-dal-1948-a-sheikh-jarrah-londa-lunga-della-nabka
(3) https://www.assopace.org/index.php/pubblicazioni-assopace/documenti/104-focus-palestina/169-palestina-le-risoluzioni-del-consiglio-di-sicurezza-e-dell-assemblea-generale-dell-onu
(4) https://www.inthenet.eu/2023/03/31/lo-strano-caso-di-daniel-hale/
(5) https://english.almayadeen.net/news/politics/pij-martyrs-planned-to-travel-to-cairo-for-talks-before-assa
(6) https://www.corriere.it/esteri/23_maggio_08/ucraina-cambiata-strategia-comunicazione-kiev-ora-minaccia-colpire-russi-ovunque-ef55ff1a-eda5-11ed-ba41-36c5c16312cc.shtml
(7) https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2023/04/05/guterres-scioccato-per-le-violenze-di-israele-ad-al-aqsa_35b7115d-c356-4ce5-a894-fc6fc20e0752.html
(8)
venerdì, 19 maggio 2023
In copertina: Foto di Hosny Salah da Pixabay (gratis da usare sotto la Licenza per i contenuti)