Da Tunisi a Parigi: il multipolarismo riparte dalle lotte anticapitalistiche?
di Luciano Uggè (ex delegato sindacale Fiom)
Due Paesi proprio in queste settimane stanno subendo le pressioni del capitale declinato negli interessi guerrafondai statunitensi e in quelli finanziari del Fondo Monetario Internazionale – la Francia in piazza contro i diktat di Emmanuel Macron e la Tunisia che resiste all’ennesima richiesta di tagli e sacrifici dell’FMI.
Partiamo dalla CGT, sindacato dei lavoratori francesi che, a differenza dei confederali italiani, ha scelto di contrapporsi al Governo con 2 milioni di persone in sciopero (e in piazza), “sostenute dal 93% della popolazione”, per rivendicare un secco “no al pensionamento a 64 anni”. Ieri, 13 aprile, nuova giornata di mobilitazione nazionale alla vigilia delle decisioni del Consiglio costituzionale (con una flessione nelle presenze in piazza dovuta anche all’attesa del verdetto*).
Il sindacato francese, dal 19 gennaio di quest’anno, porta avanti una battaglia che i sindacati confederali italiani – adagiatisi nella concertazione – non saprebbero come organizzare né come giustificare agli occhi dei loro tesserati.
Sindacati, come la CGiL, che ormai contano – per legittimarsi – sul tesseramento dei pensionati (e non dei lavoratori) e sullo smistamento delle pratiche dei Caaf. Sindacati che hanno portato avanti lotte come quella della previdenza complementare – che ha ‘scippato’ i lavoratori del pubblico impiego aderenti anche del TFR – e del fondo sanitario integrativo aziendale che, ancora una volta, discrimina (facilitandoli) i lavoratori a tempo indeterminato che appartengono ad aziende aderenti al fondo a scapito degli altri cittadini italiani – ivi compresi quei pensionati che sono tuttora iscritti in massa alla CGiL e che sono le vere vittime delle liste d’attesa lunghe mesi o anni.
Ai francesi Macron pare rispondere: “Ma è la guerra, che ce lo chiede” il sacrificio delle pensioni. Un Macron sempre più opaco, di ritorno da un infruttuoso (o fallimentare?) viaggio nella Repubblica Popolare Cinese, accompagnato da una Ursula von ver Leyen privata persino del tappeto rosso (1) – la quale, magari, come ai tempi del ridicolo sofa-gate e della sedia vuota lasciata dalla deputata Lorenzin, potrà essere ricompensata da altra stuoia stesa per lei al Parlamento italiano.
La Tunisia: ‘vittima’ del FMI?
Sull’altra sponda del Mediterraneo, sotto attacco anche mediatico in quanto porto di partenza dei migranti che arriverebbero sulle coste italiane con una tempistica correlata (si pensasse male) più alle necessità del Fondo Monetario Internazionale che alla realtà dei fatti, la Tunisia si rifiuta di accettare l’ennesimo diktat dell’Occidente finanziario. Ciò che la stampa occidentale non racconta è che il Paese Nordafricano sarebbe tuttora in crisi nonostante i tre programmi “di cui due di aggiustamento strutturale, e otto anni sotto l’influenza del FMI” (2).
Dubbi sulla formula? Nessuno. E nel frattempo l’FMI rincara,congelando il prestito di 1,9 miliardi di dollari promesso a fronte del diniego ad accettare ulteriori politiche di austerità, compreso il taglio ai servizi pubblici e ai sussidi alimentari ed energetici. La risposta del Presidente Kaïs Saïed è stata chiara: «Siamo un Paese sovrano, non accettiamo alcun diktat».
Ma come si è arrivati allo scontro? L’Observatoire Tunisien de l’Economie il 17 febbraio 2023 pubblicava la prima parte di uno studio intitolato Sortir du FMI. Partie 1: Diversifier,in cui si spiega che il primo passo che dovrebbe fare la Tunisia, per liberarsi dal giogo del Fondo Monetario Internazionale, è diversificare il parco dei creditori. Il problema, in sintesi (ma vi rimandiamo al documento in francese che alleghiamo per la spiegazione articolata di ogni passaggio) è che, da una parte, vi sono i creditori occidentali che rispondono a logiche di dominio e, dall’altro, le agenzie di rating, che rispettano e garantiscono le medesime logiche (fallaci, come ha dimostrato il recente fallimento della Moody’s triple A, Silicon Valley Bank). Gli Accordi Swap Bilaterali (BSA) e quelli Regionali (RFA) possono essere un’alternativa valida ma, al momento, “l’Africa è il solo continente che non ha attivato RFA. In effetti, il protocollo che porterebbe alla creazione del Fondo Monetario Africano è stato adottato nel giugno 2014” ma solamente 12 dei “55 Paesi dell’Union Africaine”(2) lo avrebbero firmato e nessuno tra i grandi Stati del continente.
Interessante nel documento l’analisi della divisione del mondo, a livello creditizio, in tre zone – dove solamente i Paesi appartenenti al cosiddetto Occidente avrebbero accesso a finanziamenti praticamente illimitati senza dover limitare la propria sovranità nazionale (tagliando diritti e servizi pubblici).
Eppure, dopo ciò che è successo alla Grecia (e non solo) sappiamo che ormai gli Stati che la BCE e la FED – ossia le banche centrali, europea e statunitense – possono lasciare nelle mani del Fondo Monetario Internazionale e della sua politica di tagli allo stato sociale e alla spesa pubblica, e privatizzazioni di ogni servizio alla collettività e di tutte le ricchezze infrastrutturali del Paese, non sono più solo quelli del sud del mondo.
La soluzione, proposta nel documento, non è nuova: vedremo se questa volta sarà messa in pratica. Ossia rifarsi al pensiero di Samir Amin, ovvero al ‘delink’.
Chi era Samir Amin?
Samir Amin, politologo e attivista egiziano naturalizzato francese, autore di libri di ‘capitale’ importanza come Lo sviluppo ineguale; Il capitalismo nell’era della globalizzazione; Il virus liberale. La guerra permanente e l’americanizzazione del mondo; La crisi. Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?; e Per un mondo multipolare, per anni ha rivendicato che ciascun Paese debba svilupparsi assecondando le priorità interne e decidendo con quali Stati e su quali basi sviluppare relazioni economiche bi o multilaterali (partendo da quelle regionali).
“L’asse Parigi-Berlino-Mosca-Beijing, supportato dal rafforzamento di relazioni amicali” con “il ricostituito fronte Afro-Asiatico, così come dalla solidarietà con le lotte delle popolazioni latino-americane” potrebbe mettere fine ai “disegni criminali degli Stati Uniti, che sarebbero costretti ad accettare la coesistenza” in un sistema di “nazioni determinate a difendere i propri interessi”(3).
Amin preconizzava, quindi, un mondo multipolare con un controllo della riproduzione della forza lavoro connessa con uno sviluppo dell’agricoltura ai fini della sussistenza delle popolazioni, anche con un contenimento dei prezzi (contrastando le monocolture per l’export delle multinazionali); istituzioni finanziarie nazionali indipendenti che garantiscano investimenti diretti all’interno dei vari Paesi; il controllo del mercato interno riservato alla produzione nazionale; il controllo delle risorse naturali (quelle che l’Occidente tenta di rapinare in tutto il mondo); e il controllo delle tecnologie (l’indipendenza che l’Occidente paventa e che vuole combattere imponendo la digitalizzazione Made in Us al resto del mondo).
Ma Samir Amin è stato altresì critico nei confronti dei Forum mondiali, che aveva egli stesso contribuito a fondare. Innanzi tutto perché vi aveva visto prevalere “le potenti Ong occidentali. Com’egli diceva, una concezione edulcorata della lotta al neoliberismo, consona a un capitalismo che si degna di: 1. dare una ‘verniciata di verde’ (greenwashing), con il cosiddetto sviluppo sostenibile; 2. concedere la ‘lotta alla povertà’, come mitigazione delle gravi sperequazioni e ineguaglianze diffuse; 3. promuovere la governance, il ‘buon governo’ degli organismi sovranazionali, questi ultimi senza alcuna legittimazione democratica e responsabili di molti squilibri a livello planetario” (4).
Tornando al delinking, ossia alla Teoria dello Sganciamento a cui si rifarebbe il documento dell’Observatoire Tunisien de l’Economie, esso prevederebbe innanzi tutto il rifiuto della logica dello sviluppo capitalistico, la ricerca di un modello di sviluppo adatto alle proprie specificità come Paese (storia, cultura, ambiente, eccetera), in un quadro geopolitico multipolare dove Russia, Cina, India ma anche Africa, Asia e America Latina siano partner – affinché, aggiungeremmo noi: ‘un altro mondo sia ancora possibile’.
Francesi e tunisini: due popoli in lotta con i medesimi obiettivi – dignità, diritti, uguaglianza, servizi pubblici, garanzie sociali. Forse inconsapevolmente, le masse si stanno riavvicinando in un mondo dove il capitalismo egemonico Made in Us scricchiola sempre più.
(1) L’articolo di Politico: https://www.politico.eu/article/china-divide-rule-eu-france-unity-ursula-von-der-leyen-emmanuel-macron-xi-jinping/ (t.d.g. Simona M. Frigerio)
(2)
(t.d.g. Simona M. Frigerio)
(3) Si veda l’articolo completo in inglese: https://www.marx21.it/en/articles/samir-amin-a-marxist-theoretician/ (t.d.g. Simona M. Frigerio)
(4) per l’analisi completa: https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/saggi/563-samir-amin-per-una-critica-dell-eurocentrismo
Per un miglior approfondimento, alleghiamo altresì Samir Amin, A Note on the Concept of Delinking, reperibile in rete:
*Aggiornamento del 14 aprile 2023, ore 21.00: il Consiglio costituzionale francese ha dato ragione al Presidente Macron e all’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, respingendo altresì la richiesta di 250 parlamentari dell’opposizione di indire un referendum sulla medesima riforma. Come in Italia, rispetto all’obbligo vaccinale, potere giudiziario e politico coincidono.
venerdì, 14 aprile 2023
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