La retorica del potere e la grancassa dei mass media
di La Redazione di InTheNet
In questi giorni ci è tornato in mente un passaggio di La fabbrica del consenso, quando Herman e Chomsky raccontavano della disparità di trattamento “riservato dai mass media al caso di Jerzy Polieluszko, prete polacco massacrato dalla polizia del suo Paese nell’ottobre del 1984” (esisteva ancora il Muro di Berlino) e “ai numerosi episodi di uccisione di preti all’interno della sfera di influenza americana”. Leggendo le cronache ucraine, ci è parso immediatamente evidente – viste le reticenze dei media nostrani – quanto poco conti essere un prete ortodosso oggi e come sia facile, dopo anni in cui siamo stati bombardati per ogni religioso cattolico perseguitato in un Paese islamico o in Africa, sorvolare sulla cacciata dei monaci dalla Lavra di Kiev-Pechersk. Tale monastero, fondato nel 1051 e patrimonio mondiale dell’Unesco, dovrebbe passare nelle mani della chiesa scismatica ucraina nonostante le proteste della stessa popolazione ucraina di fede ortodossa e lingua russa. Ma non parliamo di pulizia etnica, è colpa dei monaci – accusati, secondo le fonti stampa, di essere ‘spie di Mosca’.
Sulla stessa scia scompaiono le violenze della polizia francese contro i manifestanti che si oppongono a una riforma del settore pensionistico che vedrebbe l’età pensionabile salire da 62 a 64 anni (in Italia siamo a quota 67/72 ma nessuno vi si è opposto, tanto meno i sindacati). Tali violenze, in realtà, non potrebbero nemmeno essere documentate, vista la legge passata quasi sotto silenzio in Europa (complice il Covid), denominata sulla ‘sicurezza globale’ e che prevede, tra l’altro, 5 anni di reclusione e fino a 75 mila euro di multa per chi provochi/invochi l’identificazione di un gendarme, di un ufficiale di polizia, di un doganiere o dei loro parenti, “con il chiaro scopo di causare danni fisici o psicologici”. In pratica, non è possibile denunciare pubblicamente un poliziotto che stia picchiando un manifestante. Inoltre, grazie alla legge sulla ‘sicurezza globale’ le forze dell’ordine francese sono autorizzate a portare con sé le proprie armi da fuoco anche quando non sono in servizio – conformandosi alle sentenze della nostra Corte di Cassazione che ha più volte ribadito, negli anni, come “un poliziotto può portare la pistola quando formalmente non è in servizio per il semplice fatto che, per la legge, le forze dell’ordine sono sempre in servizio”. Tutt’altro discorso se le manifestazioni avvengono ad esempio in Iran o nella Repubblica Popolare Cinese, dove la copertura dei nostri media negli ultimi mesi è andata dalla difesa delle donne che protestavano contro la polizia morale a quella dei cinesi che non volevano più sottostare al lockdown – nonostante, fino a qualche giorno prima, gli stessi giornalisti avessero plaudito a qualsiasi forma di repressione e vessazione contro i cosiddetti no-vax nostrani (ricordiamo lo sgombero del sit-in dei portuali di Trieste e di Stefano Puzzer).
Altro esempio di schizofrenia quello riservato a Finlandia e Bielorussia. Mentre la prima entra ufficialmente nella Nato, abbandonando la sua politica di neutralità, la Bielorussia ha annunciato che schiererà armi nucleari tattiche russe. Inutile dire che i media occidentali sono entrati in fibrillazione partendo da un assioma che non è stato per nulla comprovato (anzi, smentito dagli ultimi trent’anni di guerre in ogni angolo del globo), ossia che la Nato è un’alleanza difensiva che agisce per il bene dell’umanità, imponendo regole giuste e verità certificate; mentre i russi sono ‘cattivi’ e mirano alla conquista dell’intera Europa (un tempo la propaganda anticomunista infiorettava con “i cosacchi che avrebbero abbeverato i cavalli nelle fontane di San Pietro”). Ciliegina sulla torta, come ha ricordato anche Michele Santoro, silenzio tombale sui proiettili a uranio impoverito che il Regno Unito ha deciso di fornire all’Ucraina e che inquineranno falde idriche e terreni, regalandoci grano e cereali tossici (a noi europei, soprattutto, e alla nostra ma anche alla futura generazione). È proprio vero che “nessuna buona azione resta impunita”.
Tanto rumore per nulla?
Dividere il mondo in ‘buoni’ e ‘cattivi’ è ovviamente utile al potere per giustificare alleanze, prese di posizione, scelte impopolari, guerre camuffate da missioni di ‘pace’, ma soprattutto la compressione dei diritti sociali e perfino delle libertà costituzionali (di sciopero, manifestazione, parola e critica) e per sollecitare la pancia della popolazione e incentivarla a sostenere la posizione assunta dal potere.
In questi anni abbiamo visto la medesima narrazione essere riproposta e reiterata nella più completa acquiescenza di parlamenti sempre meno fedeli alla Costituzione italiana e sempre più proni ai voleri d’Oltreoceano. Un ennesimo caso è quello del Donbass – popolazione scomparsa dalla storia e dalla geografia europee – sostituita da una visione Russia v/Ucraina che non ammette compromessi.
Eppure alcuni comportamenti degli ucraini sono difficilmente giustificabili. Oltre a non tenere in considerazione l’inquinamento del Donbass con l’uranio impoverito, in questi mesi (ma alcuni comportamenti si erano già verificati negli otto anni precedenti di guerra in Donbass), l’esercito e le milizie ucraine hanno piazzato su edifici civili (come ospedali, scuole e palazzi) i propri lanciarazzi. E qui sorge un dubbio: l’intento era di incolpare i russi per aver bombardato edifici dove continuavano a vivere, magari negli scantinati, i civili? Non solo, pensiamo all’affaire dell’ospedale di Mariupol che, secondo la testimone Mariana Vyscemyrska, non può essere stato bombardato dai russi in quanto lei non avrebbe sentito alcun rumore di aerei prima delle esplosioni (e precisiamo che la donna non è mai stata rapita da Mosca, come affermato dai nostri media). Gli ucraini avrebbero, quindi, distrutto un proprio ospedale? Passiamo a Bucha. Le sue fosse comuni e i suoi corpi di civili freddati e lasciati a marcire in mezzo alla strada erano veri o una messinscena per la stampa occidentale? Chi può aver ideato una narrazione tanto crudele e deviante? E ancora, come mai l’Ucraina si è ritirata dai negoziati in Turchia quando si era praticamente arrivati a un accordo con la Russia?
Un articolo pubblicato da Kit Klarenberg e Tom Secker su The Grey Zone dà qualche spiegazione sul comportamento ucraino facendo un parallelo con quanto accaduto in Bosnia e il ruolo giocato, allora come oggi, dagli Stati Uniti (1).
Premessa dovuta ai lettori sulla fonte giornalistica. The Grey Zone è un online di inchieste fondato e diretto da Max Blumenthal, figlio di Sidney Stone Blumenthal (anch’egli giornalista ma noto soprattutto quale consigliere dell’ex presidente Bill Clinton). Max ha collaborato negli anni con The Nation, The Huffington Post, Al Jazeera English, The New York Times e The Los Angeles Times – ma anche con Sputnik e RT. Ha ricevuto un Online News Association’s Independent Feature Award per la sua inchiesta sui femminicidi a Ciudad Juárez, in Messico, commessi per favorire gli interessi delle aziende straniere al confine con gli Us – ricordiamo che in quella zona le società statunitensi ottengono enormi guadagni grazie alle maquiladoras, dove lavorano con stipendi miseri le donne messicane, mentre i prodotti attraversano il confine senza pagare dazi doganali, ovvero come se fossero fabbricati negli States. Un suo libro, Republican Gomorrah: Inside the Movement that Shattered the Party (2009), è diventato un autentico bestseller nel quale Blumenthal ha riletto gli studi dello psicologo e filosofo Erich Fromm (autore, tra l’altro, di Anatomia della distruttività umana) per spiegare i meccanismi che sottendono alla personalità di coloro che rinunciano alle proprie libertà, identificandosi con leader e poteri forti. Un curriculum di tutto rispetto, quindi, che, però, non lo ha salvato dal ‘discredito’ dei ‘colleghi’ per le sue posizioni decisamente controcorrente riguardo alla Siria, al Venezuela, alla Repubblica Popolare Cinese e alla Russia. In pratica, da esempio fulgido di giornalismo d’inchiesta, oggi è etichettato come un ‘teorico della cospirazione’ – ovviamente da Wikipedia.
Torniamo a The Grey Zone e all’articolo intitolato: Declassified intelligence files expose inconvenient truths of Bosnian war (2) e vediamo come, grazie ai documenti dei peacekeeper canadesi, riusciamo a spiegare i comportamenti e le azioni del Governo ucraino, oggi – attraverso “le operazioni segrete, gli invii illegali di armi, il trasferimento di combattenti jihadisti, le potenziali operazione false flag e le atrocità messe in scena”.
Dell’inchiesta molto accurata e che riporta brani originali dei documenti desecretati, riportiamo solo quei passaggi che si ricollegano alle domande che ci siamo posti negli ultimi mesi. Per tutto il resto, rimandiamo all’articolo originale.
Il preambolo fa riferimento alla narrazione occidentale del sogno della ‘grande Serbia’ covato da Slobodan Milošević che avrebbe previsto il genocidio etnico dei musulmani e il diniego di “impegnarsi in negoziati di pace costruttivi”. Una narrativa che si sta ripetendo nell’assoluta incoscienza delle popolazioni europee e con la connivenza dei nostri poteri politici e mediatici, “legittimata dal Tribunale Penale Internazionale creato dalle Nazioni Unite sulla ex Jugoslavia al termine del conflitto”. Una narrazione “assiomatica e insindacabile nella coscienza occidentale fin da allora” e che “ha permesso ai falchi della guerra della Nato di giustificare i diversi interventi militari degli anni successivi”.
La contro-informazione di The Grey Zone parte dai telegrammi inviati dalle truppe di peacekeeping canadesi (parte della forza di interposizione dell’Onu, l’Unprofor), in Bosnia, alla Difesa Nazionale di Ottawa, declassificati nel 2022. Dagli stessi emerge che i nostri ‘alleati’, gli Us hanno deliberatamente sabotato i trattati di pace negoziati dalla Comunità Europea all’inizio del 1992 e che prevedevano che la Bosnia sarebbe diventata una confederazione suddivisa in tre regioni su base etnica. Purtroppo “il 28 marzo 1992, l’ambasciatore statunitense in Yougoslavia, Warren Zimmerman, si incontrò con il Presidente bosniaco Alija Izetbegovic, musulmano bosniaco, al quale offrì il riconoscimento di Washington del Paese come Stato indipendente. Promise inoltre incondizionato supporto nella successiva inevitabile guerra, se la proposta della Comunità fosse stata rifiutata. Alcune ore dopo, Izetbegovic scese sul piede di guerra, e gli scontri esplosero quasi immediatamente”. A questo punto cominciamo a comprendere il fallimento dei tentativi di pace di Ankara del 2022. Le ipotesi dei colleghi sono che Washington temesse il ruolo diplomatico di Bruxelles ma dai documenti apparirebbe che gli Us volessero molto più prosaicamente la distruzione della Serbia. Il 7 settembre 1993 i canadesi avrebbero scritto che i serbi erano stati “i più ottemperanti rispetto ai termini del cessate il fuoco” mentre “Izetbegovic basa la propria posizione negoziale sull’immagine popolare dei serbi bosniaci come bad guys”.
Nei telegrammi si parla anche di attacchi aerei che Izetbegovic credeva sarebbero stati lanciati contro i serbi, mentre questi ultimi cercavano solamente di difendersi e rispondere alle provocazioni dei musulmani che, nel frattempo (con una escalation che rammenta l’Afghanistan e molti altri Paesi attaccati e occupati dagli States e dalla Nato), arrivavano in Bosnia da ogni parte del mondo grazie a voli segreti che violavano, come il traffico di armi, l’embargo.
Le operazioni false flag documentate dai canadesi nel 1994 prevedevano che: “I musulmani posizionassero la loro artiglieria in prossimità degli edifici dell’Onu e ad aeree sensibili, quali ospedali, nella speranza che la risposta dell’artiglieria serba colpisse tali siti sotto lo sguardo dei media occidentali”.
Le messinscene orchestrate sono persino peggiori. I musulmani pare si travestissero da membri delle forze Onu e guidassero veicoli apparentemente delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda il massacro di Markale – il bombardamento del mercato del 5 febbraio 1994, durante l’assedio di Sarajevo, che provocò 68 morti e 144 feriti – sebbene attribuito ai serbi bosniaci, i documenti testimoniano i dubbi dei canadesi: “incluso il fatto che i giornalisti fossero portati sulla scena così velocemente” e si rilevasse “la presenza visibile dell’esercito musulmano nell’area”. Sempre dai telegrammi desecretati: “Sappiamo che i musulmani hanno sparato sui propri civili e sull’aeroporto, in passato, così da guadagnare l’attenzione dei media”. E ancora: “Le forze musulmane al di fuori di Sarajevo hanno, in passato, seppellito esplosivi nelle loro posizioni che hanno poi detonato sotto lo sguardo dei media, sostenendo fossero bombardamenti serbi. Tutto ciò è stato usato come pretesto dai musulmani per lanciare contrattacchi contro i serbi”. E tornano alla mente l’ospedale di Mariupol così come il missile sulla stazione di Kramatorsk.
Qui ci fermiamo. Noi, come i colleghi di The Grey Zone. È troppo doloroso per un europeo ricordare cosa accade all’ex Jugoslavia: i bombardamenti su Belgrado del ’99 non sarebbero mai stati possibili senza la narrazione portata avanti per anni sulle atrocità dei serbi bosniaci. Se l’Accordo di Lisbona – sebbene sancisse una divisione etnica all’interno di uno Stato federale – non fosse stato minato dagli States forse oggi la narrazione – ma, soprattutto, la realtà – dell’ex Jugoslavia sarebbe diversa. Pulizia etnica, bombardamenti con l’uranio impoverito, massacri di civili, distruzione di infrastrutture. Quel che resta è un Paese che, a distanza di trentun anni da quel tentativo diplomatico targato Europa, stenta a riprendersi: uno Stato ridotto a piccole Repubbliche imbelli, impoverite, nelle mani di una Ue famelica, incapaci ormai di riconquistare quel ruolo, anche sulla scena internazionale, che Tito era stato in grado di conquistarsi. Troppo facile rileggere la medesima narrazione sostituendo a Serbia, Russia, e a Bosnia musulmana, Ucraina. Il ruolo degli States non cambia. E l’Europa è ancora meno capace di comprendere cosa stia realmente accadendo e quale partita si stia giocando.
Ma adesso che sappiamo, di fronte a documenti desecretati, la verità: dove sono i colleghi giornalisti? Aveva ragione Mark Twain quando diceva: “Il giornalista è colui che distingue il vero dal falso… e pubblica il falso”?
(1) L’articolo completo in inglese, pubblicato il 30 dicembre 2022: https://thegrayzone.com/2022/12/30/declassified-intelligence-files-bosnian-war/
(2) Il documenti dell’intelligence desecretati rivelano verità scomode sulla guerra in Bosnia (t.d.g., come per tutte le citazioni nel pezzo)
venerdì, 14 aprile 2023
In copertina: Il ponte di Mostar, foto di Michał da Pixabay (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay)