Asia Occidentale: il nuovo alfiere sullo scacchiere geopolitico
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
Mentre il sistema bancario occidentale scricchiola, nuovi soggetti non solamente acquistano peso geopolitico ma dimostrano come le scelte di Stati Uniti, Uk e Unione Europea ci stiano portando inevitabilmente al tracollo.
Abbiamo da poco pubblicato un pezzo in cui analizzavamo le peggiori prospettive possibili per l’Italia (1), e registriamo come le stesse si stiano tutte ampiamente realizzando. Innanzi tutto, la Banca Centrale Europea ha deciso un nuovo rialzo dei tassi di interesse – ufficialmente per smorzare l’inflazione, realmente per cercare di attirare capitali dall’estero (sempre più in fuga peggio delle famose galline!). Pessima scelta che aggrava la posizione di aziende e famiglie indebitate per far fronte, le prime, all’aumento delle spese energetiche e le seconde soprattutto coi mutui, visto anche che la bolla immobiliare non ha mai smesso di gonfiarsi e nelle principali città italiane il divario tra costo degli immobili (anche in locazione) e salario reale si è ulteriormente inasprito (2). Secondo, anche con un tasso più elevato sarà sempre più difficile attirare investitori stranieri proprio per colpa delle sanzioni europee: chiunque, in qualsiasi momento, potrebbe vedere i propri capitali congelati per il capriccio di Us, Uk o Ue. E di capriccio occorre parlare di fronte a sanzioni che colpiscono membri del Parlamento (come la Duma) per aver esercitato il proprio inalienabile diritto di voto all’interno di uno Stato sovrano, o che colpiscono uno Stato – nonostante i danni di un terremoto – ma non il Paese che quello Stato bombarda, pur non essendo ufficialmente in guerra con lo stesso (tradotto: Siria e Israele). Terzo, i sauditi hanno metaforicamente dato un bello schiaffo a Credit Suisse (salvata in corner, ma non si sa per quanto, grazie a un prestito di 54 miliardi di dollari della Banca Centrale Svizzera). La mossa saudita è sicuramente in linea con quel nuovo ordine multipolare, il quale non solamente ha perso fiducia nelle nostre cosiddette democrazie e le loro regole (valide solo per gli altri: vedasi le rivolte francesi contro la riforma delle pensioni che mostrano l’assoluta mancanza di rispetto da parte del potere per la volontà popolare), ma che mira altresì a una sostituzione di euro e dollaro come valute per le transazioni internazionali e a nuovi circuiti bancari e finanziari ai quali ‘dare credito’ (in ogni senso). Sulla stessa scia l’idea della popolosa Indonesia di emettere carte di credito nazionali per sostituire quelle dei circuiti occidentali…
In questo quadro, l’Accordo tra Iran e Arabia Saudita, siglato grazie alla mediazione della Repubblica Popolare Cinese, è un segnale altrettanto importante. Non solamente perché dimostra il ruolo crescente a livello geopolitico di quest’ultima ma perché si spera porti a una de-escalation della guerra in Yemen, dove l’Arabia Saudita ha portato avanti un conflitto violento e sanguinoso contro i ribelli Houthi, spalleggiati dall’Iran, favorendo gli interessi statunitensi nella regione. La politica del divide et impera statunitense comincia a mostrare i suoi limiti e a rivelare la debolezza di un Paese che, pur essendo la maggiore potenza militare al mondo, non ha né le capacità diplomatiche (non colloquiando con entrambi i contendenti è impossibile mediare una pace) né la volontà politica di uno Stato davvero democratico di mettere fine ai conflitti e favorire il benessere della collettività. Gli States si mostrano sempre più predatori neocolonialisti in cerca di risorse e aree di interesse. Ma nel momento che i Paesi che si prestano al loro gioco cambiano strategia, il colosso ha un tallone d’Achille: alla lunga può sostenere solo guerre per procura. Se anche in Siria si riuscisse a giungere a una mediazione con la Turchia, la posizione statunitense diventerebbe chiaramente quella di un Paese invasore in uno Stato sovrano. Nuovi scenari potrebbero evolvere anche in Libia, se le milizie di Tripoli perdessero il sostegno dell’Onu, prima ancora di quello dell’Europa (Italia in testa che, se con una mano finanzia chi schiavizza centinaia di migliaia di africani, con l’altra propone pene draconiane per l’ultimo anello della catena di un sistema paradigmaticamente mafioso, ossia gli scafisti).
Passare dal termine Medio Oriente, coniato per delimitare i Paesi dell’Impero britannico sulla rotta per le Indie, ad Asia Occidentale non è solo togliere a livello semantico il diritto agli europei (e agli statunitensi) di definire l’altro da sé, ma significa spostare l’ago della bilancia geopolitica verso quel continente che diventerà sempre più, nel corso del XXI° secolo, il motore economico del mondo – dalla Turchia passando per la penisola arabica, scavallando gli Urali fino al Golfo del Bengala e al Mar della Cina. Un continente affacciato sul Nuovo Mondo e sull’Africa con maggior appeal di questo bolso e arrogante Occidente. Sempre che quest’ultimo non riesca a innescare altre rivoluzioni ‘colorate’ o ‘primavere’ varie dalla Georgia e dalla Moldavia fino in India: appartenere al gruppo dei non allineati tra i due blocchi (sino-russo e Nato) appare sempre più arduo.
(1) https://www.inthenet.eu/2023/03/03/come-in-thailandia-prezzi-da-2019/
(2) https://www.inthenet.eu/2022/10/21/anche-se-trovi-lavoro-non-trovi-casa/
venerdì, 7 aprile 2023
In copertina: Foto di Hands off my tags! Michael Gaida da Pixabay (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay)