«Con i miei versi non cerco altro che rincontrare me stesso»
di Simona Maria Frigerio
Esce per El Doctor Sax, Poesia e Pazzia, un piccolo volume dedicato a Leopoldo María Panero, con il quale inauguriamo questo spazio di Universi da esplorare dedicato ai progetti, alle opere creative, agli spettacoli teatrali o ai film, alle mostre e a qualsivoglia tipo di pubblicazione, che vogliano coniugare tematiche sociali e civili con le arti e la letteratura. Non in maniera forzosa bensì come se le prime fossero l’humus naturale dal quale fioriscono le seconde – indissolubilmente legate dalla comune radice umana.
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Ma veniamo al volume. Panero è stato narratore e saggista, oltre che poeta. Nato a Madrid nel 1948 e morto a Gran Canaria del 2014, ha scelto di trascorrere gran parte della propria esistenza in una istituzione totale, dopo essere stato più volte ricoverato (a partire dagli anni 70) in un ospedale psichiatrico. Se per Alda Merini il manicomio era un: “grande poema di amore e di morte”; per Panero, leggiamo fin dalle prime pagine, che: “con la pazzia, come con la verità, non si può discutere”.
Questo volume, tradotto in italiano da Noemi Neri, si concentra sulle opere composte durante il ricovero nel Manicomio di Mondragón e ciò che colpisce è l’affinità con il titolo di un intenso film di Isabel Coixet, La vita segreta delle parole. Non a caso Panero scrive: “C’è qualcosa che la mitologia delle cose serie (la politica, la psichiatria, la scienza) ha dimenticato: quell’istante, quel momento discontinuo in cui il linguaggio è parlato, toccato da un’emozione o, come si dice psicoanaliticamente, un affetto”. Panero continua spiegando che la fragilità del linguaggio risiede nel fatto che “il senso che esprime si perde nella lotta tra coscienze”, ossia nel confronto dialogante con l’altro da sé. Ecco perché ci è tornato in mente quel vecchio film in cui due esseri umani feriti e mutilati – nel corpo e nell’anima – cercavano disperatamente, attraverso la parola, di incontrarsi, di ritrovare quel punto in cui si supera la “lotta tra coscienze” e si recupera il senso – l’affetto.
La prima parte del libro (dopo l’interessante prefazione di Wences Ventura) è dedicata, di conseguenza, non alle poesie di Panero bensì all’altro da sé, ossia a poesie, testi, disegni e riflessioni degli ospiti del manicomio di Mondragón.
Panero sceglie frammenti di cruda realtà e intenso lirismo, frasi slabbrate di un tempo rinchiuso. Il fil rouge che lega e libera narrazioni e poesie, schizzi e aforismi sfugge, come deve, alla narrazione lineare: non ci troviamo di fronte a un concept album, bensì a un affetto autentico, poiché: “Poesia della follia vuol dire poesia oscura, dura, impermeabile al segno, alla ragione…” in quanto partorita da chi è definito ‘nevrotico’ e, quest’ultimo, “come dice Otto Rank, è una creazione artistica, un’opera d’arte, l’emergere di un nuovo tipo di uomo, costruito con pezzi inservibili per tutto tranne che per la poesia”. E qui Panero, citando Rank, ci rimanda al pensiero eretico di Basaglia, a quel manicomio senza folli e a quella follia senza muri, letti di contenzione, psicofarmaci ed elettroshock, che sarebbe un universo/mondo in grado di accettare davvero la diversità, non omologandola, non patinandola, non edulcorandola, ma rispettandola nella propria alterità e unicità. Questa parte si chiude con uno stringato Diario del manicomio de Mondragón, scritto dal poeta, dove si respira l’impudente impudicizia di Jean Genet in quelle note ‘assassine’ che vanno a ritroso nel tempo.
«Tutta la mia stanza piena di fumo, mozziconi ovunque, il letto disfatto: domani mi obbligheranno a rifarlo di nuovo».
«Le campane della chiesa suonano a morto.
Di notte.
Il mio cadavere sul letto: risusciterò ancora, crivellato di pallottole?»
La seconda parte, suddivisa in due sezioni, raccoglie propriamente le poesie di Panero dal Manicomio di Mondragón, con citazioni di Mallarmé. E indubitabilmente il poeta francese, maestro del Simbolismo, del puro suono e dell’Ermetismo riverbera nelle follie pindaricamente affettuose di Panero, nella sontuosa A chiunque mi legga, o in questi versi della pagina successiva:
«Gli angeli cavalcano in groppa a una tartaruga
E il destino degli uomini è di lanciare pietre
Alla rosa
Domani morirà un altro matto:
Del sangue dei suoi occhi nessuno se non la tomba
Domani saprà niente».
Ma vi è anche la cicatrice dell’esperienza del manicomio, che incide l’anima e scarnifica la trama sottile della parola fino a ridurla a filo di seta che intesse emozioni lancinanti. Sempre dalla stessa poesia:
«Nell’oscuro giardino del manicomio
I Matti maledicono gli uomini
I Topi affiorano alla Cloaca Superiore
Cercando il Bacio dei Dementi».
E più oltre:
«Lo strizzacervelli conosce il sapore della mia urina
Io il gusto delle sue mani che mi solcano le guance
Ciò prova che il destino dei topi
È simile al destino degli uomini».
Cosa raffigurano i «pesci morti sui gradini»? E la «sirena annegata nella mano»? In Il pazzo che chiamano re forse i rimandi cristologici affiorano a tratti come quel Dio che, senza il Lamed Wufkin, si liquefa in “puro nulla”.
I rispecchiamenti, le dediche, gli omaggi, i temi ispiratori: in Panero non vi è solo il manicomio o la malattia, bensì una profonda erudizione che, attraverso il manicomio e la malattia, ma anche la riflessione e l’autoanalisi (conseguenti ma non ovvie, visto il luogo di elezione dell’esistenza del poeta), affila le sue armi per trasformarsi in parola incarnata, ossia in parola che ha un peso anche quando il simbolo può sfuggire all’analisi perché è a livello liminale che penetra e agisce.
Come non risentire nella voce di Panero:
«L’odore del trionfo appesta la mia anima putrefatta
La cavalcata del mio corpo in rovina
Dove le mie mani per mostrare la vittoria
Si aggrappano alla poesia e cadono»
l’eco di quella del maudit par excellence?
«alla svolta d’un sentiero un’infame carogna
su un giaciglio cosparso di sassi,
le gambe all’aria, come una donna impudica,
ardente e trasudante veleni,
spalancava in modo cinico e disinvolto
il ventre pieno d’esalazioni» (1).
Torna poi al tema della fragilità del linguaggio o, meglio, all’impossibilità del dialogo, Panero con Gli immortali, quando canta:
«Nella lotta tra coscienze qualcosa cadde al suolo
E lo strepito dei cristalli rallegrò la riunione».
Mentre, quando cita Hegel: “Ogni coscienza cerca la morte dell’altra”, noi riascoltiamo la voce di Jeanne Moreau quando canta: “Each man kills the thing he loves” o i Joy Division con la loro “Love will tear us apart”. Nel succedersi dei versi, del resto, è un eterno ritorno al medesimo tema, al medesimo strappo, lacerazione, ferita o sfregio: il dolore ci accomuna, fuori e dentro il manicomio, ma solamente il ‘folle’, forse, sa riconoscerne la profondità e sublimarla in poesia:
«Ascolta di notte come si strappa la seta»,
«una ferita nel muro
e un graffio sulla fronte»,
«Non c’è maggior corona di
spine dei ricordi
che si inchiodano nella carne».
Colto e interessante il breve saggio (o poema in prosa) in cui Panero fonde prosa poetica e analisi, intitolato Riguardo al caso Dreyfus senza Zola o La causalità diabolica. Qui il poeta analizza la follia con rimandi colti e poi affianca il proprio caso a quello di Alfred Dreyfus, la persecuzione giudiziaria subita dall’ufficiale francese a fine Ottocento con la propria – reale o immaginaria – e, in ogni caso, sentita come effetto “a palla di neve: si inizia con una piccola ingiustizia e si continua con un’altra e un’altra ancora fino ad arrivare all’ingiustizia più grande, la morte”. Una kafkiana reinterpretazione della propria situazione che chiude con la prosa poetica degli ultimi due capoversi, che non possiamo trattenerci dal citare per intero:
«Quel dio che tutti odiano per una castità che ha trasformato lo spagnolo in un mulo e in una cattiva bestia. Sembra che tutta la Spagna abbia accolto amorevolmente la morte tra le braccia, preferendola al sesso e alla vita.
Che le dia alla fine il suo ultimo bacio nella celebre prateria del primo maggio».
Prima della sezione finale, un collage fotografico con alcune frasi che paiono ricostruire un diario intimo dell’infanzia con squarci sulla giovinezza del poeta e che apre al protagonista dell’ultima parte del volume. In chiusura, infatti, possiamo leggere Trattato della desolazione (ultima intervista a Michi Panero) di Federico Utrera. Michi Panero – all’anagrafe José Moisés Víctor Santiago Panero Blanc – era il fratello minore del poeta, Leopoldo María, e nell’intervista emerge un quadro urticante della famiglia Panero – ricordiamo che il padre di entrambi era un poeta famoso, considerato fiore all’occhiello del regime franchista, la madre una scrittrice e il terzo fratello, Juan Luis, come racconta Michi, “avrebbe voluto essere Francis Scott Fitzgerald o Ernest Hemingway e mio fratello Leopoldo desiderava essere Antonin Artaud […] I miei fratelli vivono due prototipi letterali ed è molto complicato, perché per essere Artaud devi morire in un manicomio e per essere Hemingway ti devi sparare. Leopoldo ci sta riuscendo, Juan Luis ne dubito”.
Arguta e irriverente la contestualizzazione della vita e il ritratto indiretto di Leopoldo anche in altri passaggi, come quando emerge che la generazione del poeta è stata falcidiata dall’Aids: “Un giorno mi tirò fuori l’agenda delle persone da chiamare a Madrid e, più che un’agenda, sembrava un necrologio”; ma anche la sua caparbietà fin da bambino (che si scontrava persino contro l’autorità paterna). E ancora, una dichiarazione di profondo rispetto verso la poesia del fratello: “La lettura la lascio a Leopoldo, lo lascio giocare con la letteratura, con quell’incoscienza che ti dà la follia, tra virgolette. Però io Leopoldo l’ho visto piangere e soffrire molto a Las Palmas. E questo non è per niente giusto. Perfino nella vita letteraria è molto meschino. Leopoldo non occupa il posto che merita semplicemente perché sta in manicomio: è come se punissero Hölderlin o Lautrémont”.
Un volume ricco di spunti, di sfaccettature, che ha il pregio di raccontare in maniera trasversale anche l’uomo e, attraverso l’uomo, non solo l’istituzione totale ma soprattutto coloro che vi furono ricoverati – ospitati o costretti.
Da leggere e rileggere, assaporando ogni parola, perché anche nella più scabra vi stilla affetto.
Poesia e pazzia
Leopoldo María Panero
prefazione Wences Ventura
traduzione Noemi Neri
copertina Riccardo Cecchetti
design copertina Pamela Vargas
© 2023, El Doctor Sax
168 pagine
(1) Charles Baudelaire, Una carogna, Tratto dalla raccolta I fiori del male (https://poetz.it/poesie/una-carogna/)
venerdì, 31 marzo 2023
In copertina: Particolare della copertina del volume edito da El Doctor Sax