Droni: armi fumanti per Assassini ‘Nat…i’
di La Redazione di InTheNet (traduzioni di Simona Maria Frigerio)
Dall’inizio della guerra in Donbass, si è preso a parlare di droni. Per molti, gli innocui mezzi telecomandati che volano su spiagge o permettono riprese aeree a buon mercato per documentari e filmini fatti in casa, si sono trasformati in oggetti volanti ‘non identificati’. Ma i droni erano già stati ampiamente utilizzati e, sfogliando L’Antidiplomatico, abbiamo scoperto la storia di un whistleblower meno noto di Chelsea Manning o Edward Snowden, che sta scontando una pena di 45 mesi nelle amene galere dei democratici States e, proprio il 31 marzo 2021, si dichiarò colpevole di fronte alla Corte per aver fornito informazioni segrete alla stampa.
La storia inizia nel 2015, quando Jeremy Scahill denuncia, su The Intercept (1), la politica degli assassini ‘mirati’ del Presidente Obama – quello insignito del Premio Nobel per la Pace, giusto per intenderci.
Grazie ai documenti forniti da una fonte interna (sulla quale torneremo), emerge l’importanza dei droni come arma prediletta dal primo Presidente afroamericano della storia Us, Barack Obama – in qualità di Comandante in capo delle Forze Armate e Aeree – “utilizzati sia dall’esercito sia dalla Cia per scovare e uccidere le persone che la sua amministrazione considerava – attraverso procedimenti segreti, senza accusa né processo – passabili di esecuzione”.
I ‘targeted killing’ (ossia le uccisioni mirate – che potremmo tradurre più propriamente con omicidi di Stato?) al di fuori delle zone di guerra sarebbero iniziati intorno al 2003, sempre secondo The Intercept, ma sarebbe del 2013 la definizione della Casa Bianca delle procedure che permetterebbero simili condanne a morte senza processo, intese a fermare qualsiasi “continua, imminente minaccia ai cittadini statunitensi”.
I documenti a riprova della pratica interessano il periodo 2011/2013 e comprendono indicazioni di obiettivi anche in Somalia e Yemen. Ma è soprattutto riguardo alle operazioni condotte in Afghanistan che l’amministrazione Obama avrebbe “occultato il numero reale dei morti civili negli attacchi dei droni, inserendo le persone non identificate uccise nella categoria dei nemici”, sebbene non fossero “gli obiettivi dichiarati”. I documenti relativi all’Operazione Haymaker, in particolare (da notare l’uso del termine, coniato dagli statunitensi per contraddistinguere azioni militari ben prima del Donbass), “mostrano che tra gennaio 2012 e febbraio 2013, le ‘operazioni speciali’ statunitensi con attacchi aerei hanno ucciso oltre 200 persone, delle quali solo 35 erano gli obiettivi dichiarati. In un periodo di 5 mesi, secondo i documenti, quasi il 90% degli assassinati non erano gli obiettivi previsti”.
Infine è resa nota la pratica di geolocalizzare gli obiettivi da colpire semplicemente per mezzo della scheda telefonica o dei metadati di un computer – il che renderebbe ancora meno certo che l’ucciso sia l’obiettivo (dato che un cellulare può essere trasferito o usato da altri) e, peggio ancora, che intorno allo stesso non vi siano civili, minori, persone che nulla hanno a che fare con la presunta minaccia per gli interessi statunitensi rappresentata dall’obiettivo.
C’è chi dice no
A maggio 2019, nonostante i colleghi di The Intercept abbiano garantito alla loro fonte l’anonimato, Daniel Everette Hale è identificato, arrestato e accusato di aver fornito i documenti relativi al programma di assassini mirati che il giornale aveva titolato The Drone Papers. Il 31 marzo 2021, Hale si dichiara colpevole ed è giudicato secondo le norme non certo garantiste dell’Espionage Act, e condannato, il 27 luglio dello stesso anno, a 45 mesi di prigione presso l’USP Marion (penitenziario di media sicurezza), in Illinois. Hale, però, è recluso nell’Unità Communications Management. Le CMU sono ben note negli States per monitorare e ridurre al minimo le comunicazioni e le visite dei detenuti. Dal sito dedicato al caso Hale apprendiamo che le stesse sono state “pesantemente criticate per le violazioni kafkiane” dei diritti dei detenuti. Dal Council on American-Islamic Relations (2) apprendiamo, inoltre, che in queste Unità, all’interno delle prigioni federali statunitensi, ai reclusi è vietato qualsiasi contatto fisico con familiari e amici in visita e le comunicazioni telefoniche sono severamente limitate. Le CMU ospitano soprattutto statunitensi musulmani – con il sospetto di una grave discriminazione politica e/o religiosa verso alcune comunità. E sono accusate di violare le normative procedurali valide per le altre strutture detentive. In pratica, chi finisce in una CMU ci resta e non valgono appelli o richieste di chiarimento sul perché si sia stati reclusi in tale unità. Chissà se Alexei Navalny o Matteo Messina Denaro gradirebbero tale trattamento. Di certo Hale non può reiterare il ‘delitto’ né appartiene a un’associazione a delinquere a scopo mafioso, né può sovvertire l’ordine democratico statunitense – impermeabile persino di fronte a una sequela di omicidi di Stato impuniti.
Come apprendiamo da https://standwithdanielhale.org/, Hale aveva prestato servizio militare dal 2009 al 2013, partecipando al programma sui droni statunitense e “lavorando sia con la National Security Agency sia nella Joint Special Operations Task Force presso la base aerea di Bagram in Afghanistan”. Dopo aver lasciato l’esercito, Hale non si è tirato indietro e ha espresso pubblicamente le sue opinioni contro gli omicidi mirati e la politica estera statunitense. Ha preso parte al documentario National Bird (3), che racconta la storia e i danni psicologici riportati da alcuni militari che hanno partecipato al programma di ‘targeted killing’. Hale ha ammesso di avere egli stesso “aiutato a selezionare gli obiettivi basandosi su criteri fallaci e attaccando civili innocenti e non armati”.
Dalla lettera di Hale: come un assassinio sia mascherato da videogioco (4)
“La prima volta che sono stato testimone di un attacco con i droni ero arrivato in Afghanistan da pochi giorni. Quel mattino presto, prima dell’alba, un gruppo di uomini si era riunito sui monti nella provincia di Patika, intorno a un falò, recando armi e miscelando tè. Che fossero armati non era considerato fuori dall’ordinario nel posto dove ero cresciuto, ancor meno nei territori tribali virtualmente senza legge, al di fuori del controllo delle autorità afghane. Eccetto che tra di essi si trovava un uomo sospettato di essere membro dei talebani, rintracciato da un cellulare che aveva in tasca. Per quanto riguardava gli altri, essere armati, in età di leva, e seduti in presenza di un asserito nemico combattente era prova sufficiente per sospettarli tanto quanto. Nonostante si fossero riuniti pacificamente e che non rappresentassero minaccia alcuna, il destino si compiva per quegli uomini che stavano bevendo il loro tè. Potei solo guardare, mentre sedevo di fronte al monitor di un computer, quando un improvviso, terrificante turbine di missili Hellfire si schiantavano al suolo, spappolando pezzi di viscere color porpora sul lato mattutino della montagna”.
Hale, come ogni fonte interna a un Governo che pretenda di essere democratico, che denuncia nefandezze, pratiche illegali, omicidi e violenze di quel Governo, è un cittadino che permette ai noialtri di renderci conto di ciò che il potere nasconde così da consentirci, in maggiore coscienza, di esercitare il nostro diritto di critica, opposizione, confronto, polemica e, in ultima istanza, voto. 24 associazioni per i diritti civili e umani, lo scorso dicembre, hanno chiesto all’amministrazione Biden di commutare la pena di Hale. Dubitiamo che l’ex vice-presidente di Obama – che tali crimini ha perpetrato e per i quali non sarà mai né giudicato né condannato – che considera Julian Assange un ‘terrorista high-tech’ possa dimostrarsi più ‘benevolo’ con un cittadino statunitense che ha saputo essere, prima di tutto, un essere umano.
(1) L’articolo originale in inglese con i relativi documenti: https://theintercept.com/drone-papers/the-assassination-complex/
(2) Qui si può approfondire il discorso sulle CMU: https://www.cair.com/government_affairs/federal-prison-communications-management-units/
(3) Il trailer del documentario National Bird: https://m.imdb.com/video/vi3907958297/?ref_=tt_vi_i_1
(4) Per leggere la lettera scritta da Daniele Hale al giudice, prima della sentenza, e la dichiarazione post condanna, si può consultare: https://standwithdanielhale.org/
venerdì, 31 marzo 2023
In copertina: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/36/Daniel_Everette_Hale.jpg