Intervista, da Mosca, ad Andrea Lucidi
di Simona Maria Frigerio
Contattiamo Andrea Lucidi mentre si trova nella capitale russa, dopo il recente viaggio in Donbass. Originario della provincia di Roma, Lucidi ha studiato storia contemporanea all’Università di Pisa, a Bologna e a Bielefeld, in Germania, e attualmente collabora con il Canale Telegram Donbass Italia e ne ha fondato uno proprio, Andrea Lucidi.
Da febbraio 2022, come reporter, si è dedicato a documentare il conflitto in Donbass, perché le persone – a Lugansk come a Donetsk – chiedono a lui ma anche a tutti noi giornalisti “di far capire all’Occidente che loro esistono! La popolazione del Donbass pretende di essere vista”.
La prima domanda appare dovuta: perché una scelta tanto radicale?
Andrea Lucidi: «Come studente di storia contemporanea mi sono occupato dei volontari non tedeschi nelle Waffen-SS (1) e del collaborazionismo in area sovietica. Dopo un periodo trascorso come ricercatore presso l’Università di San Pietroburgo, per ragioni economiche ho cercato un lavoro nel settore privato, l’ho trovato – anche se non aveva attinenza con quanto facevo allora – e, senza accorgermene, sono trascorsi tre anni. Di quando in quando scrivevo qualche articolo soprattutto su quanto stava accadendo in Donbass dato che, durante il periodo universitario, mi ero interessato della propaganda dei nazionalisti e dei nazisti della Azov perché identica a quella portata avanti dai nazionalisti ucraini, durante la Seconda guerra mondiale, per arruolare i volontari nelle Waffen-SS. A febbraio 2022, però, per me è cambiato tutto perché ho visto il mondo dell’informazione che non si era mai occupato di Donbass, iniziare a parlarne e a scriverne con leggerezza anche se, prima di quella data, non sapeva nemmeno indicare dove fosse il Donbass sulla cartina! La mia molla interiore è stato scoprire che molti colleghi negavano spudoratamente i legami con gli ambienti neonazisti, sia degli Azov sia del battaglione Aidar (2) – e di altri settori ucraini. Dato che tra i miei conoscenti, alcuni avevano perso la vita in Donbass, ho ritenuto necessario agire concretamente. Prima, ho iniziato a scrivere articoli di carattere scientifico sul tema del revisionismo storico in Ucraina – e la riabilitazione di Bandera (3) – per riviste accademiche, che li hanno rifiutati. Poi, ho deciso di fare qualcosa di mio e ho compreso che potevo dare il mio contributo informando. Da quel momento faccio reportage sia dalla Russia sia dal Donbass».
Come mai la persecuzione dei russofoni – almeno dal 2014 – e non di altre minoranze presenti in Ucraina, quali i polacchi – che pure, durante la Seconda Guerra mondiale, furono oggetto di epurazione (4)?
A.L.: «La discriminazione in Ucraina non ha riguardato esclusivamente i russofoni. Faccio riferimento, ad esempio, agli ungheresi dei quali i media non parlano, sebbene vi sia una minoranza magiara presente nelle regioni sud-occidentali del Paese (5). Come può un cittadino europeo farsi una propria opinione se non riceve tutte le informazioni di cui necessita? Il problema è che l’informazione è stata sostituita da opinioni preconfezionate che, poi, il cittadino medio fa proprie. La discriminazione verso tutte le minoranze, in Ucraina, è iniziata ben prima del 2022. Il paragone che vorrei proporvi è quello con l’Alto Adige. Una regione in cui gli abitanti possono usare la propria lingua e rivendicare la propria storia e cultura, mentre ciò non è consentito ai russofoni ucraini. Pensiamo se il nostro Paese impedisse agli altoatesini il bilinguismo o azzerasse la loro autonomia regionale: cosa accadrebbe? Per le minoranze ucraine va ancora peggio perché, dopo il 1991, il Paese ha iniziato a non rispettare più le diverse etnie presenti sul territorio – le quali, finché esisteva l’Unione Sovietica, non sembrava fossero un problema dato che si era tutti parte del’Urss. Al contrario, l’indipendenza ha riacceso le divisioni tra l’Ucraina occidentale – che parlava prevalentemente l’ucraino, proveniva dalla Galizia e aveva un percorso storico-culturale proprio – e le popolazioni orientali che erano, appunto, russofone. La memoria storica è importante per comprendere, anche oggi, le origini delle divisioni. Faccio un esempio. Nel 2010 la presidenza dell’Ucraina provò a decorare Stepan Bandera col titolo di eroe nazionale (6) e non fu un caso se fu proprio la Corte distrettuale di Donetsk a opporvisi. In quel momento, in Donbass, nessuno si sognava di parlare di indipendenza e tanto meno di ingresso nella Federazione Russa ma la Corte riuscì a far revocare la risoluzione in merito a tale onorificenza (7). Aggiungerei, come ulteriore esempio, che a Leopoli è stato edificato un Memoriale in marmo rosso dedicato a Stepan Bandera – come ve ne sono in molte altre città ucraine – mentre a Lugansk, nel 2012, è stato inaugurato un monumento in ricordo delle vittime dell’Oun e dell’Upa (8), le due organizzazioni di cui Bandera era capo».
Come storico può fornire qualche chiarimento sui confini territoriali dell’Ucraina e sulla presenza dei russofoni nel Paese – che alcuni media ormai hanno declassato da popolazione che pretende l’autodeterminazione a strumento del Presidente Putin per l’invasione dell’Ucraina?
A.L.: «Come storico e come reporter, con assoluta onestà intellettuale, penso si debba chiarire che l’Ucraina, nel secolo e mezzo precedente la Rivoluzione d’Ottobre, era divisa tra gli Imperi russo e austro-ungarico. Prima ancora era in parte territorio russo e in parte della Confederazione polacco-lituana (9). Si può affermare che vi sia sempre stata una divisione non solamente come appartenenza a Stati diversi ma, nel corso dei secoli, anche a livello linguistico, culturale, etnico e religioso. Non a caso, la popolazione dell’Ucraina orientale è ortodossa mentre quella occidentale fa riferimento al Cattolicesimo di rito greco. Tale differenza di credo è diventata ancora più evidente nell’ultimo secolo, quando la Galizia era parte dell’Impero austro-ungarico. Stiamo, quindi, parlando di secoli durante i quali, nell’Ucraina che faceva parte dell’Impero russo, vi era una naturale diffusione della popolazione russa – ma non esclusivamente. Durante il regno di Caterina II, ad esempio, ci fu una discreta colonizzazione tedesca – popolazioni che nel tempo si adattarono e iniziarono a parlare il russo, come i tedeschi del Volga. A riprova, il mese scorso ho lavorato a Lugansk insieme a una collega russa che di cognome fa Liberman e ha, quindi, ascendenze tedesche. La multiculturalità è storicamente intrinseca all’Ucraina. Chiudo con la risposta che ho dato anche durante un programma televisivo italiano, quando mi è stato chiesto: “Come è possibile che ci siano russi in Donbass, dato che è Ucraina?”. Non è russo solo chi ha la cittadinanza, bensì vi è un’etnia russa che abita l’Europa. Pensiamo ai non-cittadini della Lettonia e dell’Estonia, di etnia russa, che nel 1991 sono stati privati di qualsiasi cittadinanza in quanto, non parlando l’estone o il lettone, non gli è stata concessa la cittadinanza delle nuove Repubbliche. Questo è un fatto grave, che si ignora totalmente. Per far capire meglio il clima che si sta diffondendo in Europa e della montante russofobia, ricordo che, nel settembre 2022, mi trovavo a Riga per girare un reportage, e mi capitò di incontrare alcuni membri di un’organizzazione lettone che si batteva per l’integrazione dei non-cittadini, i quali mi dissero che avrebbero volentieri parlato con me ma non potevano fare interviste perché il Governo aveva minacciato di espulsione dal Paese i non-cittadini che, per qualsiasi motivo, fossero ritenuti simpatizzanti della Russia (10)».
Per molte voci in Occidente, i russofoni del Donbass pare non siano mai esistiti. La Russia ha invaso l’Ucraina per motivi egemonici o non ben definiti e la narrazione parte (o termina) il 24 febbraio 2022 – come è dichiarato anche dalla locandina della Manifestazione Perugia/Assisi (11). Ma la guerra in Donbass non è iniziata nel 2014?
A.L.: «La narrazione dell’Occidente, dal 24 febbraio 2022, è quella dell’aggressore e dell’aggredito, dove il conflitto che si è protratto in Donbass per quasi nove anni è definito un’azione di destabilizzazione russa in cui la popolazione locale non ha alcun ruolo, di cui si ignorano volutamente tutte quelle manifestazioni che la stessa stampa, nel 2014, definì anti-Maidan, oltre alla scintilla che allora fece scattare la rivolta in Donbass. Questo, secondo me, avviene per una questione di opportunità politica. Purtroppo, aldilà della manifestazione citata – che può avere ben altri fini e ragioni – alcune manifestazioni dei pacifisti partono dalla condanna della Russia, affermano di volere la pace e chiudono concordando sull’invio di armi all’Ucraina».
Una tra le poche voci che ha la determinazione di mantenersi lucida e la forza di esprimersi criticamente mi sembra Vauro.
A.L.: «Vauro è stato molto onesto intellettualmente e da subito. Lui non è assolutamente un fan della politica di Putin; ha criticato ferocemente la Russia quando, secondo lui, andava criticata, ma fin dal febbraio 2022, ha dichiarato di essere stato sia in Donbass sia sul fronte ucraino – e però solo tra gli ucraini ha visto i soldati con le toppe naziste. Ovviamente è stato criticato allora, come lo è oggi quando denuncia l’incongruenza di chi dice di volere la pace ma, nel contempo, invia armi a un contendente. La posizione di Vauro, come pacifista, è quella della denuncia dell’Occidente che, continuando a fornire armamenti, rinfocola il conflitto. Se si vuole spegnere un fuoco, non vi si getta sopra benzina!».
Alcuni anni fa il PhotoLux Festival presentò e premiò un reportage di Valery Melnikov dal Donbass. Guillaume Herbaut non fu censurato quando pubblicò l’immagine di un cadavere a Mariupol ucciso dal Governo di Kiev. Come è stato possibile per i Paesi Nato cancellare, dai media e dalla società civile, il problema dell’autodeterminazione del Donbass?
A.L.: «Il 24 febbraio è stato il punto di svolta per l’Occidente per evitare, da quel momento in avanti, di parlare di Donbass. Secondo me, chiunque venga a sapere delle violenze contro la popolazione di quelle aree – da Maidan (12) all’anti-Maidan, da Odessa (13) agli anni successivi di repressione ucraina nei confronti dei russofoni – non può che condannare il comportamento di Kiev. Qualsiasi Governo non amico dell’Occidente che avesse intrapreso la medesima politica sarebbe stato stigmatizzato, condannato, sottoposto a sanzioni o si sarebbe decretata un’operazione di polizia internazionale per fermarlo. Pensiamo alle critiche al regime di Saddam Hussein per la discriminazione nei confronti dei curdi: non si è agito nel medesimo modo ma, al contrario, contro il regime semi-autoritario di Porošenko (14). Questo dimostra la doppia morale occidentale dove è la realpolitik (15) a occupare una posizione privilegiata anche a livello morale. L’Occidente condanna azioni e governi finché la realpolitik consente di farlo. Quando la convenienza geopolitica diventa prioritaria rispetto all’etica si possono chiudere gli occhi di fronte a discriminazioni e violenze. Come si chiudono gli occhi da anni di fronte ai non-cittadini delle Repubbliche Baltiche (16)».
Un altro argomento scomparso dalla narrazione è il legame di settori ucraini con i neonazisti e i neofascisti. Abbiamo addirittura dovuto assistere all’elogio di un comandante della Azov dalla bocca di Massimo Gramellini (17). A quale scopo?
A.L.: «Ovviamente è poco conveniente per l’Occidente parlare dei legami di una parte degli ucraini con i neofascisti europei – come Casa Pound, in Italia. Gli incontri si sono svolti talmente alla luce del sole, senza alcun tentativo di nasconderli, che è difficile per l’Occidente costruire una narrazione che dia assolutamente ragione all’Ucraina escludendo totalmente una sequela di fatti e scelte. Le prove dei legami sono presenti perfino nei media occidentali che hanno sempre condannato e attaccato il neofascismo – secondo me giustamente – ma che adesso fanno di tutto per cancellarne le prove. Ricordo, ad esempio, un articolo de La Stampa (18) del 2014 sul Battaglione Azov e i legami con movimenti neonazisti europei, che sparì dal sito del quotidiano tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2022. Tornò disponibile solo grazie alle molte critiche dei lettori, apparse anche sui social, ma per due settimane fu cancellato dalla rete. È ovvio che sia più facile per l’Occidente sostenere le scelte che sta facendo, riducendo la questione a Russia e Ucraina, senza considerare il Donbass e ripulendo l’immagine di quei settori ucraini, come gli Azov, che non si sono costituiti nel 2022 ma sono presenti e agiscono fin dal 2014/2015».
Il conduttore televisivo Fabio Fazio, sulla Rai – servizio pubblico – ha sostenuto che la Russia starebbe reclutando soldati ‘ragazzini’ e che i generali russi sarebbero talmente ‘spietati’ da aver costituito un ‘battaglione’ per ammazzare quelli che ‘tentano di scappare’ (19). Ha avuto notizie in tal senso?
A.L.: «Mi sembra una follia. Io non ho mai visto soldati ragazzini. So di due casi, documentati da Russia Today. Il primo, di una ragazza che ha iniziato a combattere nel 2015 come volontaria insieme al papà, e allora aveva 16 anni, e il secondo di un sedicenne che ha iniziato a combattere nel 2018 e, oggi, è anche lui maggiorenne. Posso aggiungere la testimonianza diretta di un membro di un reparto d’assalto, che mi ha spiegato quanto fossero importanti la concentrazione e la volontà durante un’azione offensiva e che, quando si sta avanzando e si partecipa a un assalto, non si può tornare indietro, perché altrimenti si mette in pericolo l’intera squadra. Una volta, mi ha riferito, gli è capitato che un ragazzo andasse nel panico e chiedesse di tornare indietro e la decisione è stata di farlo rientrare, sebbene si mettesse in pericolo l’intera squadra. Alla fine dell’operazione, quando sono rientrati, il ragazzo è stato spostato in un altro reparto perché non idoneo. Non è stato né processato né tanto meno ucciso, ma assegnato a mansioni diverse. Inoltre, tengo a precisare, che non ho visto alcun bambino con armi alla mano. Ci sono volontari che hanno tra i venti e i ventitré anni, ma niente di diverso da quanto accadeva con l’esercito italiano impegnato in Afghanistan e che oggi è in Libano o Kosovo. Dal punto di vista dell’età ma soprattutto umano, non ho notato alcuna differenza. Io stesso ho fatto il servizio militare come volontario. Quando ad agosto scorso mi sono recato in una zona di operazioni, a Kharkov, e ho conosciuto i militari presenti, ho ricordato naturalmente come mi sentivo con la mia compagnia, il mio plotone, le persone con cui dormivo, con cui lavoravo. In quel momento sono la tua famiglia anche perché sono il solo contatto umano che hai, e le persone con le quali condividi il tuo quotidiano. Ho provato lo stesso sentimento di quando ero militare volontario e facevo la scorta ai carichi di munizioni: con i ragazzi con i quali lavoravo condividevo tutto e provavo la medesima sensazione di fratellanza che ho ritrovato nei soldati russi in Donbass».
Ma i media italiani ci hanno letteralmente bombardati con le descrizioni di stragi, stupri e saccheggi.
A.L.: «Assurdo. A proposito dei furti, un volontario italiano che combatte con l’esercito russo mi ha narrato un fatto curioso. Dopo essere avanzati all’interno di una villaggio, lui e alcuni commilitoni avevano preso una sedia da una casa diroccata. Nel giro di un paio d’ore era arrivata la polizia militare russa ad avvertirli che dovevano riportare la sedia dove l’avevano trovata in quanto il palazzo non era disabitato come credevano ma vi vivevano ancora delle persone alle quali quella sedia serviva. Lo stesso volontario mi ha riferito che nei villaggi, occupati o liberati che dir si voglia dall’esercito russo, soprattutto all’inizio, vi è una massiccia presenza di polizia militare nei negozi, nelle strade e nelle case per evitare qualsiasi tipo di abuso. Proprio perché l’esercito è un’organizzazione di massa, ci possono essere mele marce come in qualsiasi altra organizzazione, e la polizia evita furti e violenze».
Lei è stato a Mariupol recentemente. Le persone che ha incontrato pensavano che la città fosse stata ‘conquistata’ o ‘liberata’ dai russi? Sta rinascendo, come affermano fonti russe, oppure dovranno arrivare gli occidentali per ricostruirla dalle macerie?
A.L.: «Ho visto una città che sta rinascendo: è tutta un enorme cantiere. Gli edifici semi-distrutti sono abbattuti per edificarne di nuovi. I quartieri dove mi sono recato personalmente rispettano tutti i crismi della modernità: il parco giochi per i bambini, la zona per fare sport, e via dicendo. Alcune delle persone con le quali ho parlato mi hanno addirittura invitato a casa loro. Tra i tanti che si sono fermati a chiacchierare con me, molto amichevolmente, ricordo una signora che, vedendoci – la collega Liberman, un collega del canale Donbass Italia e me – ci ha invitati a salire nell’appartamento della madre. Di natura io mi muovo sempre coi piedi di piombo e non avrei mai osato chiederglielo – anche perché occidentale, sebbene sia stato sempre bene accolto persino tra i militari. In ogni caso, la signora ci ha invitati e la mamma ci ha raccontato che le hanno consegnato l’alloggio in soli tre mesi, tanto che quando è stata chiamata per la consegna pensava fosse uno scherzo. Le persone, ovunque andassi – dai nuovi quartieri a quelli più centrali – mi hanno detto di sentirsi ‘liberate’. Forse non si può capire una tale euforia se non ci conosce la situazione particolare nella quale vivevano prima. Mariupol, essendo a soli 8 km dalla linea di contatto con la DNR (20), soffriva la presenza estremamente pressante dei servizi di sicurezza ucraini e, non a caso, era la sede di una prigione segreta dell’SBU (21). Una ragazza che ho incontrato e che parla l’italiano, in quanto lavorava in Azovstal (22) come traduttrice, mi ha raccontato di essere dovuta rimanere due mesi nell’impianto durante l’assedio. Ma adesso sente di poter vivere tranquillamente: libera di parlare la propria lingua e dall’oppressione dei servizi segreti, mentre prima la gente doveva stare attenta persino a uno scambio di battute per strada o se chiamava un parente in Russia – perché qualsiasi cosa poteva diventare un pretesto per l’arresto e l’interrogatorio in una prigione dell’SBU. Ovviamente una minoranza, composta da chi aveva rapporti con il Governo ucraino – faccio riferimento ai soldati dei reparti nazionalisti, ai militari dei servizi segreti, ai funzionari governativi – se n’è andata, ma la maggioranza della popolazione è russofona, si sente liberata e vede la propria città rinascere a ritmi incredibili con operai che arrivano perfino dalla Russia centrale per lavorare in questo enorme cantiere a cielo aperto».
A livello sanitario quale situazione ha trovato?
A.L.: «Mi sono recato all’ospedale di neonatologia per un reportage e la vice-primaria ha affermato che la qualità dell’ospedale che stanno ricostruendo sorpassa quella del precedente. Va detto che negli anni 90, in Russia, si era abbandonato il modello sovietico di sanità pubblica in favore di quello anglosassone, basato sul privato, ma negli ultimi 15 anni si è invertita totalmente la rotta tornando su un modello che dà valore alla sanità pubblica. I russi ricostruiranno non solo Mariupol, ma l’intero Donbass – secondo me in cinque anni. Sia per una questione di immagine ma soprattutto per dimostrare alla popolazione che la scelta che ha fatto è stata la migliore per il proprio futuro. Lo vedo anche a Lugansk, dove si stanno già ricostruendo le infrastrutture, gli acquedotti e le fognature».
Secondo l’Occidente, il referendum per l’indipendenza del Donbass del 2014 fu falsato dalle pressioni russe. Quello di settembre 2022 non va nemmeno considerato dato che il Paese era in guerra e/o occupato. La sua opinione?
A.L.: «Le riporto, invece, una testimonianza diretta. A settembre sono andati a votare moltissimi giovani ed erano contenti: si recavano alle urne col sorriso sulle labbra. Questo è accaduto anche per una ragione di cui non molti sono a conoscenza. I giovani dicevano: “Finalmente, entrando nella Federazione Russa, avremo la possibilità di un futuro migliore perché i nostri titoli di studio saranno riconosciuti!”. Infatti, prima di allora, un medico che si laureasse all’università di Lugansk o di Donetsk poteva lavorare solo in Donbass – non altrove. Mentre adesso, grazie al riconoscimento, potrà lavorare in Russia e in qualsiasi Paese non abbia relazioni ostili con la Federazione – dalla Cina al Sud-est asiatico fino all’America Latina».
Il Presidente Putin da molti occidentali è visto come un dittatore e l’ostilità nei suoi confronti, a livello politico, non è certo iniziata il 24 febbraio 2022. Lei vive a Mosca e fa il reporter. Le è stato mai impedito l’esercizio della sua professione o di esprimere le sue idee?
A.L.: «Dalla prima volta in cui misi piede in Russia, qualche anno fa, come turista, non ho mai avuto l’impressione di vivere in una situazione di oppressione. La politica russa è semi-sconosciuta in Occidente. Si ignora, ad esempio, che alle ultime elezioni parlamentari il primo partito di opposizione a Russia Unita, ossia il Partito Comunista, ha migliorato i propri risultati elettorali ottenendo 12 deputati in più alla Duma; e si ignora anche il fatto che la mozione per il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, approvata il 20 febbraio 2022 dalla Duma, era una mozione non del Partito del Presidente (Russia Unita) bensì di quello Comunista, che la presentava ogni anno da otto anni. I comunisti raccolgono circa il 25% dei consensi, ovviamente Russia Unita è il primo partito, e poi resta un 5-10% che si spartiscono le formazioni minori – come il Partito Liberal-Democratico di Russia di Žirinovskij, che però – avendo perso il proprio leder (recentemente scomparso) – a parer mio è destinato a scomparire. Un 2% va a Gente Nuova, un partito di ispirazione liberale, mentre l’area di Navalny raccoglie circa l’1% dei consensi. A proposito vorrei sottolineare che Navalny non è assolutamente rinchiuso in un campo di concentramento bensì in una struttura carceraria, dove sembra che riesca ad aggiornare persino i suoi social – o comunque sia libero di contattare chi poi li gestisce – comunicando con l’esterno (23). Ma torniamo alla mia personale esperienza. In questo periodo sto facendo diversi reportage anche da Mosca, filmo, dialogo con le persone che incontro per strada, faccio domande, e non ho mai avuto alcun problema nel mio lavoro. Non ho dovuto richiedere permessi speciali per filmare di fronte alle ambasciate o durante le manifestazioni. Anzi, né qui a Mosca né a Lugansk mi è mai stato chiesto il tesserino di giornalista mentre intervisto o faccio riprese all’aperto. Nessun poliziotto o militare mi ha mai richiamato o posto domande nemmeno quando sentono che parlo italiano. I poliziotti di frontiera, in Donbass, al contrario, spesso mi chiedono perché non vadano altri giornalisti, italiani ed europei, a documentare cosa sta accadendo davvero. Un ultimo ricordo. Il 3 dicembre scorso mi trovavo vicino al monumento dedicato al Milite ignoto a Lugansk e non sapevo che, in Russia, quello è il giorno dedicato appunto al Milite ignoto. C’era in corso una manifestazione. Mi sono avvicinato per domandare cosa stesse accadendo e alcune persone mi hanno chiesto se ero straniero – al che ho precisato di essere italiano. Appena lo hanno saputo, mi hanno accompagnato da una deputata per un’intervista, e poi mi hanno letteralmente circondato, tirandomi dentro, chiedendomi di far capire all’Occidente che loro esistono! La popolazione del Donbass pretende di essere vista. Negli anni passati, se qualcuno ne scriveva, li etichettava come ‘separatisti filo-russi’. Ma nessuno mostrava che erano persone normali, che vivevano in quel Paese anche sotto i bombardamenti e andavano a lavorare o a scuola, regolarmente, e magari si trovavano in difficoltà perché Kiev non pagava più le pensioni oppure gli staccavano l’acqua. Loro vogliono raccontarsi. Raccontare di sé e di quel Viale degli Angeli (24), che ho visitato poche settimane fa, e di fronte al quale ho avuto difficoltà a fare anche il minimo commento senza emozionarmi. Il mio consiglio, se si va a Donetsk, è di non fare quell’esperienza perché è davvero un pugno nello stomaco».
(1) Per saperne di più sul nazifascismo ucraino:
https://www.marx21.it/internazionale/radici-del-nazifascismo-in-ucraina-una-genesi-che-viene-da-lontano-fino-al-1945-ii-parte
(2) Azov e Aidar nel pezzo di Micromega:
https://www.micromega.net/battaglione-azov/
(3) Il 7 dicembre 2018 Il Manifesto scriveva:
https://ilmanifesto.it/kiev-celebra-il-fascista-bandera-e-il-teorico-nazi
(4) Ricordiamo la strage dell’11 luglio del 1943. Come scrive EastJournalnet: “l’Upa attaccò almeno ottanta località e uccise circa diecimila polacchi, dando fuoco alle case, uccidendo a colpi di falci e forconi. Corpi di polacchi vennero appesi alle case, crocifissi, sventrati, decapitati o smembrati”
(5) Su Daily News Hungary, il 23 gennaio 2023, è comparso un articolo che riporta gli avvertimenti espressi dal Governo magiaro a Bruxelles, ossia che “le decisioni dell’Ucraina che violano i diritti della sua minoranza nazionale ungherese renderanno più difficile per l’Ungheria compiere i sacrifici necessari per sostenere il Paese nel prossimo periodo”
(6) Un’altra lettura in merito a Bandera e al tentativo di riscrivere la storia: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Stepan-Bandera-l-eroe-criminale-che-divide-l-Ucraina-154127
(7) Del Presidente ‘arancione’ Viktor Juščenko
(8) L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini è stata fondata nel 1929, mentre l’Esercito Insurrezionale Ucraino (Upa) è stato un’organizzazione paramilitare costituitasi il 14 ottobre 1942 come ala militare della prima, facente riferimento a Stepan Bandera
(9) In breve, la storia ucraina tra il 1362 e il 1917:
https://laricerca.loescher.it/breve-storia-dellucraina-2/
(10) Ricordiamo che proprio in Lettonia è stato arrestato il giornalista Marat Kasem, caporedattore della filiale lituana dell’agenzia di stampa russa, Sputnik. Da Sputnik News apprendiamo che lo stato di salute del giornalista sarebbe critico: “Secondo l’avvocato, le condizioni di detenzione nel carcere di Marat Kasem rientrano nella Convenzione per la prevenzione della tortura. Il 30 gennaio Kasem è stato trasferito senza motivo in un edificio con detenuti condannati e posto in isolamento. Con insetti e condizioni antigeniche, Kasem ha sviluppato un’allergia”, e più oltre si apprende: “a causa di problemi respiratori, il giornalista deve aprire la finestra della cella e dormire con cappello e soprabito. Anche le sue malattie croniche si sono aggravate: a causa della gotta, le dita dei piedi hanno problemi. Nessuno risponde alle lamentele e bussa alla porta della cella”:
https://it.sputniknews.com/20230203/giornalista-sputnik-detenuto-in-lettonia-lavvocato-e-in-condizioni-critiche-di-salute-16960245.html
(11) La locandina della Manifestazione per la Pace del 24 febbraio 2023 che recita a ‘un anno dall’invasione russa in Ucraina’:
https://ilmanifesto.it/lettere/in-piedi-costruttori-di-pace
(12) Su quanto accadde a Maidan, rimandiamo a ciò che ha scritto PeaceLink: https://lists.peacelink.it/pace/2022/01/msg00044.html
(13) Per la strage di Odessa, cancellata dalla memoria della rete grazie alle modifiche su Wikipedia, si rimanda a:
https://www.lindipendente.online/2022/04/02/la-strage-di-odessa-diventa-un-rogo-senza-colpevoli-su-wikipedia-si-riscrive-la-storia/
(14) Petro Oleksijovyč Porošenko come ultimo atto del suo mandato presidenziale firmò la legge che limitava i diritti delle minoranze linguistiche: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Ucraina-la-nuova-legge-sulla-lingua-ultimo-atto-di-Porosenko-194879
(15) Per realpolitik si intende un agire politico che rifugge da premesse ideologiche o morali e, a livello internazionale, esclude etica e diritti universali a favore di decisioni opportunistiche
(16) Ricordiamo che Estonia e Lettonia – pur non considerando cittadini i membri della minoranza russofona – sono parte dell’Unione Europea, che li ha ammessi nonostante la pratica discriminatoria su base etnica, linguistica o religiosa sia contraria ai suoi principi fondanti: https://www.noidonne.org/articoli/paesi-baltici-i-fantasmi-che-si-aggirano-per-l-europa-05149.php
(17) A proposito si legga:
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/29/gramellini-fa-lapologia-del-nazista-di-azov-giusto-come-schindler/6540584/
(18) L’articolo del 2014 che La Stampa si è auto-censurata e un’analisi relativa al fenomeno: https://www.matrixedizioni.it/i-neo-nazi-imperversano-in-ucraina-ma-il-nazismo-non-e-piu-il-male-assolutoper-loccidente/
(19) Le parole di Fabio Fazio in Rai: https://twitter.com/AdrianaSpappa/status/1617544626533208066/mediaViewer?currentTweet=1617544626533208066¤tTweetUser=AdrianaSpappa
(20) Repubblica Popolare di Donetsk
(21) L’articolo di Sputnik Italia (se in Italia non lo leggete, chiedete all’Europa perché non potete essere liberi di informarvi, in Thailandia si legge):
https://it.sputniknews.com/20190717/ucraina-gli-orrori-della-prigione-segreta-dellsbu-a-mariupol-7889733.html
(22) L’Azovstal Iron & Steel Works era un’azienda privata ucraina, controllata dalla Metinvest, dove si sono asserragliati membri della Azov che hanno utilizzato civili di Mariupol presenti nell’impianto come scudi umani
(23) Sembra che Navalny possa persino scrivere, dal carcere, sul proprio canale Instagram: https://www.slobodenpecat.mk/it/foto-i-navalni-od-zatvorska-kelija-isprati-poraka-deka-e-dobro-ubiva-vreme-vo-kelijata-pravejki-dvopek/.
Da notare che, in Italia, il Governo Conte 2 (al quale partecipavano anche i ‘garantisti’ del Pd) ha addirittura inasprito le pene per chi introduca o detenga cellulari nelle carceri. La pena (da 1 a 4 anni) è ancora più severa se si tratta di detenuti in regime di 41-bis. Il decreto legge è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 261 del 21 ottobre 2020
(24) Per scoprire cosa sia il Viale degli Angeli, a Donetsk, dove sono sepolti 63 bambini, rimandiamo al bell’articolo di Margherita Furlan del 1° luglio 2017: https://www.antimafiaduemila.com/home/terzo-millennio/256-estero/66194-pianeta-terra-uomo-dove-sei.html
venerdì, 24 febbraio 2023
In copertina e nel pezzo: Foto gentilmente fornite da Andrea Lucidi