Al Festival c’era anche la musica
di Lorena Martufi
A un passo dalla finale, che ci piaccia o no, ne abbiamo parlato tutti di questo Sanremo. Anche chi aveva detto che non lo avrebbe guardato, chi lo avrebbe snobbato, come me, poi alla fine, anche in maniera discontinua, lo ha seguito, fino alla fine. Un’edizione poco acclamata, ma comunque che fa share già dalla prima serata (sebbene a fronte dei 17 milioni di spettatori del 1995, adesso tocca quota 9 milioni).
Fallito il tentativo della tanto amata/odiata influencer borghese Chiara Ferragni più che di presentare, di presentarsi, come un’opera d’arte in stile Dior, come la Eva del dipinto di Lucas Cranach, sicuramente migliore sulle copertine di Vanity Fair e su Instagram che non sul palcoscenico dell’Ariston, dove come co-conduttrice, pur bellissima che sia, non decolla. Come a dire, apparenza al massimo, sostanza al minimo. Anima tutta del Festival questa, più contenitore che contenuto. Di slogan facili più che di potenti canzoni. Tutto viene mercificato, miseramente depauperato, anche quando è un’iniziativa di valore, o di beneficienza – quella, per esempio, legata alla buona causa del sostegno delle Reti dei centri antiviolenza Di.Re: contentissima per la somma donata all’attivista amica e Presidente Antonella Veltri, diventa tornaconto personale, quando avrebbe bisogno di silenzio e discrezione. Perché propone non un femminismo reale, ma legato sempre alla sua immagine, un ferragnismo in cui non possono riconoscersi tutte le donne, almeno quelle reali, quelle che non ce la fanno. Così “Pensati libera”, copiata allo street artist, tatuatore, writer bolognese Cicatrici nere la cui opera, praticamente già famosa, è stata copiata ma lui non citato, tanto che ne ha giustamente rivendicato subito la paternità, sui social, per amore della verità e dell’arte. Il messaggio che passa, quindi, al di là di quello che vorrebbe far passare la Ferragni, è un altro: è la testimonianza di un avvenuto patto di mercificazione soldi-moda-ideologia-arte spacciato per di più come messaggio di sinistra che, però, fa acqua da tutti le parti perché strumentalizzato a favore di se stessa. Pericoloso il messaggio per le nuove generazioni che la seguono, paradossalmente più di quello di Blanco nel gesto di prendere a calcio le rose di Sanremo, perché suggerisce la vendita del proprio corpo dietro una falsa libertà e ideologia. Tra uno che rompe provocatoriamente il sistema, dentro al sistema, e una che inganna, regina del sistema, dietro ai luccichii e alle letterine che non fanno piangere neanche lei, anche il pubblico virtuale in termini di like ha preferito il primo.
Arriviamo alla musica. La serata delle cover rimane sempre la più bella e anche la più fragile e facile da contestare, per quel che richiede. Il nostro secolo, che è quello dell’interpretazione, difficilmente ne esce vincitore in questo caso. Ne escono gravemente mutilati De Andrè e Battiato, tra i più influenti cantautori della musica italiana, proprio da quei giovani che arrancano nel tentativo di star loro al passo; dispiace per Madame, che sarebbe stata bene, piuttosto sola, in Via del Campo; e per il quartetto di archi di Voglio vederti danzare inserito mirabilmente alla fine di Cerco un centro di gravità permanente. Immenso il duetto di Elisa e Giorgia, che ci hanno ricordato che cos’è la musica, attraverso la combinazione delle due voci probabilmente più belle di sempre della canzone italiana. Firmano la storia di Sanremo, così, complici e mirabili Di sole e d’azzurro. Ma la serata la vince Mengoni, ormai scontato. Chi è riuscito ad arrivare alla fine senza addormentarsi, poi, ieri sera, alle due di notte, ha potuto assistere a una grande Chiara Francini, che ha portato sul palco dell’Ariston la sua maschera, mettendosi realmente a nudo, offrendo importanti spunti di riflessione con un monologo sulla maternità mancata, sulla femminilità grandiosa, anche quando sembra essere incompleta e fragile.
Arriviamo alla fine, tempo di pronostici di questa 76ma edizione del Festival mentre il Meglio del Festival è girato sui social, tra post e commenti che hanno tenuto viva questa edizione, compresi quelli a caldo di Fiorello sul profilo Instagram che la Ferragni ha aperto ad Amadeus, mentre giocavano sul palco a farsi le dirette, accanto a un Morandi che sembrava più interessato alle conduttrici che aveva di fianco che al Festival. E veniamo alla classifica che dà in vantaggio Mengoni, ovviamente, e Ultimo che invece è secondo, a giocarsela con testi molto belli e bei timbri di voce, canzoni da meritare sicuramente il podio, rispetto alle altre proposte, ma non la vittoria. Tra i due spero goda Mr. Rain, rapper che ha un suo linguaggio artistico particolare e che con Supereroi affascina e ci porta dentro a un mondo suo, di valori rivisitati e pieni, da cui può arrivare una rinascita della musica e del sentimento, qui poco stucchevole e melenso, a differenza delle canzoni di altri concorrenti in gara, ma potente nella confessione delle sue fragilità. Avanzando sorprendentemente al terzo posto, fa sperare davvero che i riflettori possano essere puntati sui bambini prima di tutto, non strumentalizzati, ma protagonisti della canzone e del futuro, di quello che ci manca e ancora non c’è.
Quando questo pezzo sarà pubblicato, il lettore avrà già le risposte.
venerdì, 17 febbraio 2023
In copertina: una tra le Locandine dell’edizione 2023 di Sanremo