Punta Secca
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
L’immaginario collettivo contemporaneo si è nutrito per decenni di foto da cartolina e poi, grazie a Hollywood, dei panorami Paramount o in Technicolor. Negli ultimi decenni è stata soprattutto la televisione a imbandire la nostra tavola o a suggerirci le mete per le vacanze con le bellezze di un’Italietta da programma tagliato e cucito per la promozione turistica. E infine il mondo si è compresso fino a essere racchiuso nello schermo di un cellulare, mentre le immagini via social più che proporci luoghi altri, ci hanno sommersi di volti noti incorniciati da mete inflazionate, edulcorate, sbiadite in confronto al nostro vissuto per interposta persona.
Il commissario Montalbano ha sicuramente contribuito a restituirci una Sicilia barocca, dalle campagne dorate sparse di masserie e delimitate da chilometri di muretti a secco, tra fichi d’India e ulivi, orlata da un mare cristallino.
Ma il Ragusano e, per la precisione, Punta Secca non sono proprio come da copione. È qui, su questo arenile, che sorge la sua famosa casetta (edificio a tre livelli tirato a lustro e meta di pellegrinaggio turistico) con terrazza al primo e al secondo piano, direttamente sulla spiaggia e un vago sentore di condono edilizio. In quest’ansa di mare ormai morto, dalle acque vagamente beige a causa della sabbia rossastra, abitazioni private di vario stile hanno corroso la spiaggia al punto tale che la porzione di una villetta è franata: il mare si è rimangiato ciò che l’uomo gli aveva arrubato.
L’eutrofizzazione o il surriscaldamento globale (o altri fenomeni più o meno provocati dall’uomo) hanno creato l’humus ideale per la proliferazione di alghe, che giacciono sul bagnasciuga in larghe chiazze dall’odore pungente e caratteristico. Gli ombrelloni dei vacanzieri punteggiano la rena mentre lo scempio delle seconde case, già a settembre, mostra una sfilza di edifici che languono vuoti e abbandonati. Non è solo questione di equità: in un mondo ove centinaia di milioni di persone non hanno una casa, l’averne due è uno schiaffo alla decenza. Ma è soprattutto una questione di economicità delle risorse: milioni di metri cubi di cemento che erodono e deturpano i litorali per accogliere un ristretto numero di persone forse un paio di mesi l’anno.
Non illudetevi di venire a Punta Secca e respirare l’aria di Montalbano. La nota più positiva è la presenza di docce gratuite e funzionanti in spiaggia, oltre che di cestini per la raccolta differenziata.
Un po’ meglio l’area di Kaukana, dove la spiaggia si è preservata dall’edilizia selvaggia grazie a tre fattori: le frane incombenti, il rotolo di asfalto della strada lungomare, e un sito archeologico delimitato da recinzione. Meglio anche Marina di Ragusa, grazie forse a ciò che appare come l’esito di un piano urbanistico. Gode, infatti, di un piccolo centro con piazzette fruibili, negozi, bar e ristoranti, ma soprattutto di un bel lungomare pedonabile e ciclabile per alcuni chilometri, frequentato da locali e villeggianti soprattutto al tramonto.
venerdì, 13 gennaio 2023
In copertina e nel pezzo: Punta Secca (foto di Simona Maria Frigerio, vietata la riproduzione)