Le sfide del sindacato di base
di Simona Maria Frigerio
Enzo Perfetto lavora presso l’Inps, è un delegato sindacale Rsu e, nella Cub, rappresenta il pubblico impiego insieme ad altri delegati e delegate. Fa parte del Coordinamento Cub pubblico impiego e del Coordinamento del Comitato lavoratori Inps Liberi dal ricatto del lasciapassare verde. Dopo lo sciopero generale del 2 dicembre scorso indetto dai sindacati di base, abbiamo pensato di contattarlo per capire quali battaglie dovranno affrontare i lavoratori del settore publico ma, più in generale, i cittadini italiani – tra limitazioni della libertà di parola e critica, difesa del diritto all’autodeterminazione, taglio dei servizi pubblici e aumento delle spese militari, mentre ci accorgiamo di non essere «più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sul lavoro precario!».
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 1° dicembre scorso, alcune modifiche al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (DPR n. 62/2013). Di cosa si tratta?
Enzo Perfetto: «I governi precedenti, in vari momenti e in vari modi, hanno inasprito il contenuto dei Codici disciplinari dei dipendenti pubblici e già da qualche tempo lavoratrici e lavoratori sono soggetti a licenziamento se esprimono opinioni rispetto alla propria situazione lavorativa. Negli ultimi due anni si è addirittura arrivati a sanzioni e cause di licenziamento quando si sia denunciata la carenza di dispositivi di sicurezza e protezione individuale – quali, ad esempio, le mascherine, che dovevano servire a ridurre il contagio da Covid-19. I casi più eclatanti si sono verificati nel settore dei trasporti pubblici. Quello che, però, ci tengo a dire, prima di commentare l’Articolo 11-ter delle modifiche al Decreto del Presidente della Repubblica del 16 aprile 2013, è che tali modifiche vanno, a mio avviso, verso la cancellazione di ciò che, nel nostro Paese, si intende per libertà di espressione. L’Articolo 11 della Costituzione recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. Ma non solo. All’Articolo 21, si specifica che: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Se non bastasse, l’Articolo 1 dello Statuto dei Lavoratori garantisce che: “I lavoratori, senza distinzioni di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Date queste premesse, se torniamo all’Articolo 11-ter, che apporta le modifiche al DPR del 2013, al comma 1 leggiamo: “Il dipendente utilizza gli account dei social media di cui è titolare in modo che le opinioni ivi espresse e i contenuti ivi pubblicati, propri o di terzi, non siano in alcun modo attribuibili all’amministrazione di appartenenza o possano, in alcun modo, lederne il prestigio o l’immagine” e, al comma 2, rincara: “In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”».
Si può dire che si va verso un obbligo di fedeltà al datore di lavoro già imposto in molte aziende del settore privato?
E. P.: «Esattamente. Si reprime così qualsiasi conflitto e si vieta qualsiasi critica che potrebbero, in futuro, intervenire anche rispetto alle possibilità d’intervento sindacale. Il passo dalla repressione della libertà di espressione alla repressione della libertà sindacale è breve. Da tempo, in modo autoritario, si cerca di affermare il cosiddetto obbligo di fedeltà e, in effetti, con queste modifiche del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, lo stesso si avvicina e si equipara a quello vigente nel settore privato. Nel contempo, secondo me, in questo Paese si sta tentando di cancellare la libertà di opinione e di espressione. Stanno attaccando i nostri diritti fondamentali. La pubblica amministrazione non diventerà più efficace ed efficiente semplicemente azzerando la critica e il Consiglio dei Ministri avrebbe fatto meglio a occuparsi delle vere emergenze del nostro Paese».
Sul fronte del pubblico impiego si è tenuto, lo scorso 2 dicembre, uno sciopero generale dei sindacati di base. Cosa rivendicate a livello contrattuale?
E. P.: «Il rinnovo del contratto riguarda diversi comparti. A oggi è stato sottoscritto quello del comparto Funzioni Centrali – per intenderci, quello di cui fa parte anche l’Inps, dove lavoro – e quello degli Enti Locali, ma manca ancora la firma per la sottoscrizione di molti altri comparti, o sono stati firmati ma non sono ancora vigenti. Da maggio è vigente quello del comparto Funzioni Centrali – sul quale posso dare informazioni più precise in quanto è quello che seguo anche come delegato. In primo luogo, non solo non si può parlare di recupero salariale ma siamo molto lontani anche dal poter parlare di salari adeguati al costo della vita. Purtroppo questi aumenti non recuperano l’inflazione e, al contrario, da oltre una decina d’anni registriamo un arretramento dal punto di vista del recupero salariale».
Secondo i dati dell’Ocse, negli ultimi trent’anni, l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i salari annuali medi sono addirittura diminuiti. Per l’esattezza del 2,9%. Sul fronte della precarietà va meglio?
E. P.: «Per sfatare un po’ il luogo comune che quelli del pubblico impiego ignorano le problematiche dei lavoratori degli altri settori, posso dire che l’Inps si è occupata recentemente, come fa ogni anno, di pubblicare alcuni dati proprio in merito al precariato. Prendendo in considerazione il 2019 e il 2022 – tralasciando, quindi, gli anni legati al Covid-19 – e confrontando i contratti e assunzioni a tempo indeterminato con tutte le altre tipologie di contratto, si può notare che, nel primo trimestre 2019, si contavano 416.754 contratti a tempo indeterminato, a fronte delle altre tipologie di contratti che ammontavano a 1.352.304. Nello stesso periodo del 2022, abbiamo 408.663 indeterminati e, per tutte le altre tipologie, il dato è 1.490.280. Facile, quindi, notare l’incremento del precariato. Non siamo più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sul lavoro precario (2 e 3)! A questo punto come si fa a parlare di recupero salariale quando non vi è continuità lavorativa? E se nel pubblico impiego non riscontriamo lo stesso problema, è però il Paese nel suo complesso che vive di precariato – e non solo, per intenderci, chi lavori nella logistica, bensì tutti coloro che sono assoggettati alla miriade di contratti che i Governi precedenti sono stati in grado di produrre. Rispetto, poi, ai salari, ciò che sta succedendo nel pubblico impiego è, purtroppo, estendibile a tutte le altre categorie».
Lasciamo Enzo Perfetto per questa settimana e vi rimandiamo a venerdì 30 dicembre per la seconda parte dell’intervista, in cui affronteremo il tema della guerra, della sicurezza sui luoghi di lavoro, le cause dei lavoratori sospesi durante la pandemia e, ancora, il caso di Mauro Gennari, ex dipendente dell’Inps Roma Monteverde. Per chi volesse approfondire gli argomenti che abbiamo fin qui toccato, pubblichiamo una serie di documenti così che i nostri lettori possano verificare sulla base dei dati di fatto.
(1) Schema di Decreto del Presidente della Repubblica
(2) Estratto da l’Osservatorio sul Precariato
(3) Osservatorio sul Precariato, Report Mensile gennaio-settembre 2022
venerdì, 23 dicembre 2022
In copertina: Foto di Luciano Uggè della Manifestazione No Green Pass – Lucca,15 ottobre del 2021. Ricordiamo che ai lavoratori non vaccinati o parzialmente vaccinati over 50 o attivi in alcuni settori, per periodi di tempo diversi, è stato proibito – per ‘non contagiare i colleghi’ – persino di lavorare da casa