Addio FB, benvenuti su #Telegram, #Twitter e #Instagram!
di La Redazione di InTheNet
Vi abbiamo già raccontato da queste pagine di colleghe e colleghi censurati dal social di Mark Elliot Zuckerberg. La sua policy, che afferma essere intenzionata a proteggere i minori o le ‘anime belle’, è di fatto uno strumento di manipolazione mediatica e di censura surrettizia quando non palese.
Negli ultimi anni abbiamo visto una stretta su qualsiasi esternazione riguardasse i vaccini, leggermente attenuata nel caso di articoli scientifici – che non potevano, quindi, essere semplicemente censurati – con pop up che avvertivano, però, il lettore che sarebbe stato meglio si informasse altrove. Perché la verità è una sola e occorre inculcarla con ogni strumento.
Dallo scoppio della guerra in Donbass in avanti la situazione è persino peggiorata. In confronto, paiono felici i tempi in cui FB si preoccupava del nudo di Canova. Ogni azione violenta commessa dall’Ucraina contro le popolazioni indipendentiste del Donbass o i filorussi è stata cancellata con una scrupolosità da Santa Inquisizione. Tutti i video o le voci fuori dal coro sono stati censurati per restituire un’immagine tanto univoca quanto di parte su ciò che sta accadendo a Donetsk e Lugansk. I razzi che cadono sul mercato sono ucraini? No problem se Rai3 li fa passare surrettiziamente per russi e appelli il Donbass, Ucraina. Non è disinformazione, è creare direttamente una realtà parallela. Gli ucraini legano ai pali e imbavagliano i cosiddetti collaborazionisti o i filorussi? Si può fare, basta che nessuno riproponga quelle immagini (che la ‘policy della community’ non accetta perché mostrano sevizie contro adulti), instillando dubbi sui nostri alleati – in quanto tali sono, gli ucraini di Kyiv, come affermano anche l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (“Deve essere chiaro che le persone che sostengono l’Ucraina, l’Unione Europea e gli Stati membri, gli Stati Uniti e la Nato…”) e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (“Gli alleati rimangono uniti nel loro sostegno alla sovranità e all’autodifesa dell’Ucraina”). E quando si è in guerra è vietato, ovviamente, criticare gli alleati.
E se però le persone si accorgessero che i nostri ‘alleati’ bombardano i loro stessi connazionali, nei territori delle Repubbliche indipendentiste? Se si rendessero conto che ogni giorno i civili uccisi a Donetsk sono colpiti dai razzi di Kyiv, e non dai russi? Se la democratica Ucraina rivelasse il suo vero volto proprio quando lega, imbavaglia, spoglia o umilia chi considera collaborazionista o, semplicemente, filorusso (in un Paese dove il 30% della popolazione parlava russo prima dell’inizio della guerra)? Ma soprattutto, se ci accorgessimo di sostenere uno Stato che non ha problemi – fin dal 2014 – a lasciare piena libertà (a differenza di Zuckerberg) a siti quali come Миротворець (Myrotvorets), che pubblicano liste di proscrizione con nomi, indirizzi e altre informazioni personali di coloro che il regime di Kyiv considera ‘nemici dell’Ucraina’ e, nonostante le richieste di Onu, G7 e Unione Europea (che, comunque, fa altrettanto con l’elenco dei privati e dei gruppi e aziende sottoposti a sanzioni) di chiuderlo, pare sia utilizzato per le attività di controllo documenti da parte delle autorità? Ma non eravamo contrari alle fatāwā? Se, insomma, ascoltassimo anche la cosiddetta ‘altra campana’, l’intero castello di menzogne che è stato faticosamente e meticolosamente costruito da politica e mass media negli ultimi otto anni potrebbe crollare?
I social o sono mezzi di informazione – al che ogni utente dovrebbe essere libero di caricare video, immagini e scritti che possano fornire un quadro più ampio dei fatti (ricordiamo che il citizen journalism non può essere osannato solamente quando serve a sottopagare i giornalisti o a liquidare la professione e la professionalità) – oppure mezzi di socializzazione di idee e opinioni – e, quindi, ancora più liberi in quanto non credo che le democrazie vorrebbero ammettere di essersi ridotte a regimi dove qualcuno spia i colloqui privati tra cittadini, a tavola o al ristorante, o le esternazioni pubbliche che rientrano nel diritto di espressione e critica.
La verità è che i social, come i media mainstream, sono ormai strumenti di un potere che ammette sempre meno il dissenso. I due anni e oltre di stato di emergenza – con relative norme liberticide e la creazione ad arte di un odio viscerale e feroce verso chi non la pensa come noi – dovrebbero averci aperto gli occhi almeno sulla fragilità delle nostre cosiddette democrazie, sempre più formali e sempre meno sostanziali.
Però è anche vero che esistono sempre più canali social, che stanno applicando (per ora) politiche più libertarie. InTheNet è quindi, dal 10 dicembre, ufficialmente presente solo su #Telegram, #Instagram e #Twitter – dove finora non è mai stato censurato.
La verità è che il signor Mark Elliot Zuckerberg deve la sua ricchezza a uno spazio che noi dovremmo riempire di contenuti ma se è lui a decidere cosa dobbiamo inserirvi, allora qualcosa non funziona. Siamo noi utenti che lo abbiamo arricchito. E aprire la pagina FB due volte giorno, non è obbligatorio come prendere la pastiglia per l’ipertensione! Siamo noi utenti che, temendo di ‘scomparire’ dalla rete, finiamo per accettare la censura e ci assoggettiamo a un pensiero unico che non è né libera informazione, né libera espressione. Sarebbe come accettare l’invito di un amico a cena, sapendo già di non poter parlare di certi argomenti. Oppure, se vogliamo considerare FB mezzo d’informazione, aprire il quotidiano e sapere già – come ai tempi dei giornali di partito – che cosa leggeremo e la relativa analisi. Ma se, di fronte alle continue minacce di FB di essere ‘bloccati’, come fossimo dei bambini a cui la maestra ricorda che può spedirli a casa con una nota, ce ne andiamo noi, scompaginiamo le carte in tavola e non c’è cosa che infastidisca di più il potere di non riuscire a prevenire e controllare le nostre reazioni.
“D’altra parte, non nutrivano per gli eventi pubblici neanche quell’interesse minimo per capire che cosa stava succedendo. L’incapacità di comprendere salvaguardava la loro integrità mentale. Ingoiavano tutto, senza batter ciglio, e ciò che ingoiavano non le faceva soffrire perché non lasciava traccia alcuna, allo stesso modo in cui un chicco di grano passa indigerito attraverso il corpo di un uccello” (1). Se non vogliamo finire come Winston Smith, sarà il caso che cominciamo a capire cosa sta succedendo.
(1) George Orwell, 1984.
venerdì, 16 dicembre 2022
In copertina: Foto di Mediamodifier (Gratuito da usare sotto la licenza Pixabay).