Scioperi e inflazione, la narrazione mediatica e la realtà
di Luciano Uggè
Secondo il Fondo Monetario Internazionale durante l’inverno oltre la metà dei Paesi dell’area europea scivolerà nella cosiddetta recessione tecnica, ossia sperimenterà per due trimestri consecutivi una crescita negativa. Nel novero anche l’Italia (com’era ovvio) e la Germania che, negli ultimi anni, ha visto una progressiva contrazione degli stipendi e un crescente numero di working poor – ossia di quelle persone che, pur lavorando, guadagnano meno del 50% della media nazionale e, quindi, non riescono a far fronte alle spese indispensabili. Secondo la Paritätische Wohlfahrtsverband (come scrive Enrico Verga su IlSole24Ore il 24 novembre scorso) questi lavoratori poveri, in Germania, sarebbero quasi 14 milioni, pari al 17% della popolazione tedesca, mentre “stante le ricerche della Bertelsmann Foundation, la povertà tra gli anziani interesserà, entro il 2036, il 20% dei pensionati”.
Dopo aver sfruttato fino all’osso il potenziale dei cittadini che abitavano nella DDR e che persero tutti i servizi pubblici garantiti dal socialismo reale – sanità, scuole, pensioni, sussidi di disoccupazione – mentre Bonn si accaparrava risorse umane ma anche aziende, terreni, eccetera a “prezzi da saldi di fine stagione” (sempre Verga) e poteva comprimere diritti e salari in tutto il Paese per livellarli tra Est e Ovest – ovviamente al ribasso; adesso il colosso Germania, di fronte alle ingenti spese militari per sostenere la Nato contro la Russia, alla chiusura di un mercato molto importante per le proprie esportazioni (sempre la Russia) e all’aumento dei costi dell’energia che, solamente se contenuti, possono rendere ancora competitivi ed esportabili i suoi prodotti industriali, comincia a sembrare Achille alle prese col famoso tallone.
Un primo, gravissimo segnale proviene dal Nord Reno-Westphalia dove il Governo locale ha dovuto dichiarare l’emergenza finanziaria e prevede di chiedere prestiti per 5 miliardi di Euro per fronteggiare la crisi. Nel frattempo il Governo Scholz ha dato il via libera alla cinese Cosco per l’acquisto del 24,9% del Porto di Amburgo. La società con sede a Shanghai è già presente nei porti di Genova, Napoli, Livorno e Venezia e, ovviamente, ha banchettato in Grecia come gli omologhi europei. Sono finiti i tempi in cui era la Germania ad accaparrarsi pezzi importanti del Paese ellenico (1) ma, soprattutto, da quanto sta accadendo in Grecia, non è detto che la Cosco si fermerà a un quarto del capitale azionario del Porto di Amburgo. Infatti, nel 2021, la Corte dei Conti greca ha approvato l’acquisizione di un ulteriore 16% del porto del Pireo, permettendo a Cosco di vantare oltre la maggioranza del capitale di Piraeus Port Authority, ossia il 67%. Ma non solo. La medesima Corte ha approvato una proroga di cinque anni per gli investimenti da 300 milioni che Cosco si era impegnata a mettere in campo.
E mentre i quasi 4 milioni di metalmeccanici tedeschi salutano l’aumento ottenuto dell’8,5% sulle paghe, che sarà però redistribuito su due tranche, nel corso del 2023 e del 2024 (oltre a un’una tantum di 3.000 Euro), ci risulta una richiesta (al momento inevasa) da parte dei sindacati del settore pubblico di aumento di almeno il 10,5% (come minimo 500 Euro mensili) per contrastare l’inflazione galoppante.
Nel Regno Unito la situazione non va meglio. La Brexit (2) ha influito, tra l’altro, sulla bilancia commerciale in quanto abbandonare il mercato unico e ritrovarsi i diritti doganali ha causato una diminuzione del 15% nell’export britannico verso l’Europa. Mentre, per continuare a garantire il welfare e i servizi pubblici, sarà indispensabile aumentare la tassazione e tagliare, nel contempo, parte delle spese. Il buco di bilancio britannico, al momento, ammonta a 40 miliardi di sterline – e gli Uk sono reduci da un 2021 che aveva già visto un aumento della tassazione.
Nel contempo, il Regno Unito è diventato il secondo maggiore donor dell’Ucraina, impegnandosi a una spesa per l’assistenza militare pari a 2,3 miliardi di sterline – sia per quest’anno che per il prossimo.
Di fronte all’inflazione all’11,1% (in ottobre) e all’aumento di tutti i generi, anche e soprattutto di prima necessità, si è quindi sollevato l’intero settore pubblico, e il 15 e il 20 dicembre il personale sanitario incrocerà le braccia a livello nazionale – per la prima volta in 106 anni di storia del loro sindacato. Si prevedono già scioperi anche nel settore ferroviario, postale, scolastico, universitario e, in generale, nella pubblica amministrazione. Del resto, nell’ultimo anno le paghe in tale comparto sono aumentate mediamente del 2,4% mentre in quello privato del 6,8% – non riuscendo né i lavoratori del primo né quelli del secondo a fronteggiare l’inflazione galoppante.
In Italia, il 2 dicembre scorso, si è tenuto uno sciopero generale unitario, indetto da tutti i sindacati di base in quanto gli stipendi italiani non solamente non hanno permesso ai lavoratori di recuperare il potere di acquisto negli anni passati, ma la situazione si fa ancora più preoccupante a fronte degli aumenti inflattivi e delle previsioni di crescita in negativo per l’intera economia del Paese.
Inoltre, come segnala la Cub di Pisa per il settore pubblico, il “cosiddetto bonus che sarà accordato con la prossima manovra di bilancio come anticipo dei futuri contratti che, a oggi, non sono finanziati nonostante siano scaduti da 11 mesi, prevede un aumento una tantum” che assegnerà “ad alcuni dirigenti e magistrati 1.980 e 1.812 Euro lordi – pari a 152,3 e 139,4 Euro al mese. Ma la stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici percepirà al mese un aumento di 27,8 Euro lordi, 32,6 Euro lordi per gli insegnanti. L’1,5% dello stipendio è il criterio di questi bonus, chi guadagna di più avrà cifre maggiori a discapito dei livelli medi e bassi”.
Nel settore dei trasporti, in particolare, si è raggiunta una alta adesione allo sciopero, secondo i sindacati, e sicuramente la lotta dei lavoratori, ma anche dei pensionati, è solamente all’inizio. Questi ultimi, infatti, non si vedranno riconoscere il 100% della rivalutazione di diritto, ma percentuali sempre inferiori all’aumentare del reddito – il che infliggerà un ennesimo colpo anche alle classi medie o medio-basse (dato che non otterranno il 100% del 7,3% di aumento dell’inflazione programmato nemmeno coloro che percepiscono 2.100 Euro lordi al mese – che corrispondono a un ormai misero assegno di 1.700 Euro netti (spesso unico introito per mantenere entrambi i coniugi).
Ma non solo. Come ci segnala la CUB PI Pisa, il Governo Meloni si sta preparando ad approvare il nuovo Codice di Comportamento per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, che non potranno più criticare – nemmeno sui propri social – le scelte e le carenze del settore in quanto potrebbero “nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza”. Una specie di polizia etica – che fa venire in mente quella morale tanto criticata in Occidente e da poco sospesa in Iran – che, invece di controllare sull’efficacia, economicità ed efficienza della PA e la qualità dei servizi forniti al privato cittadino e alle imprese, controllerà i comportamenti individuali e le esternazioni degli impiegati – immaginiamo perdendo ore sui social dei lavoratori o usando l’orecchio di Dioniso per ascoltare le conversazioni…
Come specifica correttamente la CUB non solamente si censura il legittimo diritto di critica, che si trasforma in “motivo valido per un procedimento disciplinare e un’azione civile e penale contro lavoratori e lavoratrici” ma “quando si parla di decoro, prestigio e immagine della Pubblica Amministrazione, pensiamo a un sistema valoriate per il quale è invece decoroso attendere 10 mesi per una visita, fare due ore di fila a uno sportello, venire sbattuti da un ufficio all’altro per avere una pratica, subire il prestigio di Amministrazioni Pubbliche intente solo al pareggio di bilancio”.
La situazione in Europa non è, del resto, migliore se è vero che dalla Francia al Portogallo fino alle proteste di piazza del 3 novembre scorso a Madrid, un po’ ovunque i cittadini dell’Unione stanno cominciando a capire dove ci porteranno le scelte guerrafondaie e sempre più coercitive dei nostri leader.
(1) Per ricordare cosa accadde in Grecia:
(2) L’interessante ricerca sulle ricadute della Brexit su vari settori dell’economia britannica: https://www.cer.eu/publications/archive/policy-brief/2022/cost-brexit-so-far
venerdì, 16 dicembre 2022
In copertina: Semaforo rosso a Berlino (foto di Simona M. Frigerio)