La narrazione sulla Libia e i migranti Subsahariani che le Ong censurano
di Simona Maria Frigerio
Lo scorso 25 novembre, alla XIV edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli doveva essere proiettato L’Urlo, docu-film dello scrittore, giornalista e regista Michelangelo Severgnini, già autore, nel 2000, del libro Good morning, Pristina! – diario di un giornalista radiofonico tra Kosovo e Serbia e che ha vinto con Stato di paura il Premio della Critica Ilaria Alpi, nel 2007, mentre con Isti’mariyah – controvento tra Napoli e Baghdad, il Premio Internazionale Documentario Reportage Mediterraneo, nella sezione creatività, e nel 2008 il Primo Premio assoluto per la Miglior Opera in concorso al Sole Luna Doc Festival di Palermo.
Ciò che è accaduto a Napoli, ossia aver impedito al pubblico di vedere un docu-film che racconta la storia dei migranti che partono dalle regioni Subsahariane per approdare a Tripoli e, in minima parte, sulle nostre coste, è solo l’ultimo esempio di quel mosaico di intolleranza che i cosiddetti ‘giusti’ hanno ricomposto a partire dalla narrazione della pandemia e che non ammette oltre la critica, il dissenso, o anche solo una voce fuori dal coro.
Per capire chi comandi veramente a Tripoli e a Bengasi, per scoprire qual era l’agenda Nato per la Libia, per rileggere le Primavere Arabe in direzione ostinata e contraria, per denunciare il meccanismo pernicioso delle migrazioni senza futuro, che le Ong sostengono senza rendersi conto di consegnare il 60% degli esseri umani che trasportano al rimpatrio forzato o alla semi-schiavitù del lavoro clandestino e del caporalato; per capire questo e altro abbiamo contattato Severgnini. E ponendogli la prima domanda ci è venuta in mente una definizione di Pier Paolo Pasolini, “il fascismo degli antifascisti”. Ma cosa dimostra la censura di alcuni rappresentanti delle Ong, operata a Napoli contro L’Urlo?
Michelangelo Severgnini: «Dimostra malafede. La proiezione è stata interrotta dopo solo 20 minuti su 80 che ne dura il film. Normalmente le possibilità sono due: se il film è talmente disgustoso da non potersi reggere, si abbandona la sala; oppure, si aspetta la fine e poi se ne dicono peste e corna! Al contrario, mi sono sentito coinvolto all’interno di dinamiche non nuove e che poco mi hanno sorpreso. Però non so se queste persone pensassero veramente di ottenere qualcosa facendo un’azione del genere dato che è indifendibile da qualsiasi punto di vista. Sarebbe stato molto meglio lasciar finire il film e se poi avevano veramente qualcosa da dire, nella sostanza, potevano cercare di demolirlo con il proprio intervento. Parlo di malafede perché credo che la loro paura principale fosse che, in quel momento, stavano vedendo il film i loro sostenitori. Mettere in contatto le fonti dirette in Libia, presenti ne L’Urlo, con i loro sostenitori, qui in Italia, era il pericolo maggiore perché a quel punto questi ultimi – la maggioranza dei quali è sicuramente animata da buone intenzioni – si sarebbero resi conto di essere a loro volta vittime di una propaganda che, da diversi anni, non ha corrispondenze con la realtà».
Lei ha parlato di mafie subsahariane che, in accordo con le milizie di Tripoli, favorirebbero la tratta di esseri umani. Può spiegare cosa accade in Africa? Quando un migrante arriva a Tripoli, a cosa è sottoposto?
M. S.: «A seguito della mia ricerca, io sostengo che le cosiddette milizie di Tripoli abbiano moltiplicato le migrazioni e che non le abbiano fermate. Lo racconto nel libro con un episodio accaduto un paio d’anni fa. Allora fui contattato da una famiglia sudanese, il cui figlio era sotto tortura in Tripolitania – dove le milizie, ma a volte anche semplici banditi o privati cittadini, praticano la tortura a scopo di estorsione. Questo significa sottoporre un ragazzo a tortura per poi chiamare la famiglia nel Paese di origine minacciando, con l’ausilio di fotografie e video: “Questo è vostro figlio, se non mandate al più presto 4.000 Euro – che, di solito, è la cifra richiesta – lo finiamo nel giro di pochi giorni”. In questo caso la famiglia mi contattò da Khartum, facemmo una raccolta fondi per racimolare il riscatto, dato che i parenti erano poveri, e poi la famiglia consegnò i soldi a mano alla mafia sudanese di Khartum, la quale a sua volta chiamò i suoi sodali in Libia per liberare il ragazzo, che fu lasciato in mezzo alla strada in una città della Tripolitania. Questo episodio dimostra in maniera plastica qual è la sofisticazione raggiunta dalla rete, che è stata costruita negli ultimi anni tra le mafie subsahariane e le milizie libiche. A questo punto si comprende perché sia vantaggioso per le mafie che più ragazzini possibili si mettano in marcia verso la Tripolitania».
Chi sono le milizie e il Governo di Tripoli, appoggiati dall’Occidente e dall’Italia?
M. S.: «La catena di trasmissione che porta i ragazzi subsahariani in Tripolitania a scopo di estorsione è soltanto una parte del business. Il maggior introito, per le milizie, proviene dal saccheggio del petrolio libico e questo è anche il motivo per cui continuiamo a sostenerle: non per fermare i migranti, bensì perché le milizie saccheggiano fino al 40% del petrolio libico, immettendolo illegalmente sul mercato internazionale. Ormai è provato quali sono i quattro Paesi beneficiari di tale traffico: Malta, l’Italia, la Grecia e la Turchia. Come funziona da un punto di vista militare e politico la situazione in Libia e perché? Le milizie difendono militarmente la Tripolitania e, quindi, il Governo di Tripoli che, però, è illegittimo in quanto non ha mai ricevuto la fiducia del Parlamento libico. Ma facciamo un passo indietro. Nel 2014 ci sono state le ultime elezioni in Libia ed è stato eletto un Parlamento che, fisicamente, non si è mai potuto insediare a Tripoli – cioè nella capitale del Paese – proprio a causa dell’opposizione delle milizie, in quanto i deputati esprimevano una maggioranza che andava contro le stesse. I parlamentari si sono dovuti ‘accontentare’ di un esilio interno, insediandosi nell’Est del Paese, e si sono costituiti a Tobruk (1). Chiariamo una volta per tutte: il parlamento di Tobruk non è stato eletto in quella zona, ma era stato votato da tutti i libici. Nel corso degli ultimi otto anni, quando praticamente metà della Libia era occupata dall’Isis, si è costituito un movimento di resistenza che ha riconquistato città importanti come Derna e Bengasi, che erano cadute nelle mani dell’Isis e sono state restituite ai cittadini libici. Questo primo blocco di militari, che si è formato sulla base della resistenza, nel marzo 2015 è stato riconosciuto dal Parlamento a Tobruk ed è diventato da quel momento l’Esercito Nazionale Libico. Questo esercito, e le autorità che lo hanno espresso, controllano ormai l’80% del territorio. Ci troviamo di fronte a uno Stato a tutti gli effetti. Poi c’è un 20% di costa, ossia la Tripolitania, a nord-ovest della Libia, che di fatto è fuori controllo. Questa è la visione delle autorità libiche. L’Occidente sostiene il Governo illegittimo di Tripoli e le milizie perché tale città, oltre a essere la capitale e, quindi, dominarla è una questione di prestigio, ospita il NOC, ossia la National Oil Corporation, che è l’Ente di Stato pubblico per la vendita del petrolio e, soprattutto, la Banca Centrale Libica. Aggiungiamo un tassello. Una risoluzione dell’ONU del 2017 (2) vieta alle autorità di Tobruk e Bengasi di vendere il petrolio libico sul mercato internazionale nonostante controllino l’80% del territorio libico e, quindi, tutti i pozzi petroliferi. Per venderlo sono costretti a mandarlo a Tripoli, dove finisce sotto il controllo militare delle milizie che si appropriano di un 40% intascandosi i relativi proventi».
La sua narrazione è molto diversa da quella dei media occidentali.
M. S.: «I colleghi, negli ultimi dieci anni, forse non si sono accorti che tutte le notizie e le informazioni che arrivavano in Italia dalla Libia transitavano attraverso i canali, i siti Internet, le agenzie di stampa sotto il controllo della Fratellanza Musulmana e, pertanto, della Turchia. Abbiamo importato una terminologia che ci condanna a non capire nulla di ciò che sta accadendo in Libia. Questo posso affermarlo perché ho vissuto sei anni a Istanbul, parlo turco, e sono tornato in Italia soltanto nel 2018 quando ho iniziato a occuparmi di Libia e, da subito, mi sono accorto che mi era impossibile farlo usando quella terminologia. Chiarisco meglio il concetto con un esempio. In Italia e in Europa si definisce Khalifa Haftar un ‘signore della guerra’. Al contrario è il comandante dell’Esercito Nazionale Libico su incarico del Parlamento, a sua volta votato da tutti i libici. Quindi, se vogliamo seguire una filologia del voto, quella è la carica militare più legittima esistente al momento in Libia».
Lei ha affermato che i ragazzi subsahariani in Libia, o alcuni tra di loro, preferirebbe tornare nei Paesi nativi che venire in Europa. Come mai?
M. S.: «Vorrei puntualizzare che queste non sono mie opinioni ma che, per quattro anni, ho raccolto centinaia di ore di messaggi vocali inviati da ragazzi africani, migranti schiavi in Libia. Io posso fare una sintesi di quello che loro mi hanno riferito e il materiale, per chi voglia approfondire, è disponibile in rete (3 e 4). Ciò che sta accadendo in Libia non è un problema di opinioni bensì di fonti. Tutta la narrazione europea sui migranti, oggi, è stata nel migliore dei casi ottenuta attraverso i racconti dei giovani arrivati in Italia. Al contrario, io da quattro anni parlo con i ragazzi presenti o trattenuti in Libia. Sono 700.000 i migranti in questo momento in Libia, quasi tutti in Tripolitania e, nonostante il 2022 abbia registrato sbarchi consistenti rispetto agli anni precedenti, solamente 40.000 giovani sono giunti sulle nostre coste da quel Paese. Il che significa che quest’anno 1 su 18 è sbarcato in Italia, mentre gli altri 17 sono rimasti indietro. Negli anni scorsi è andata anche peggio e chi vive in Libia è consapevole che, verosimilmente, rientrerà nel numero di coloro che non raggiungerà mai l’Europa. Siccome hanno lasciato i loro Paesi in quanto ingannati dai loro stessi connazionali – che lavorano per le reti illegali – i quali hanno loro prospettato il viaggio in Libia come un semplice passaggio prima di salpare ed essere poi salvati in mare dagli europei; che gli hanno raccontato come, nel giro di sei mesi, arrivati in Italia, avrebbero mandato i soldi a casa; è ovvio che quando questi ragazzi si ritrovano in Libia e si accorgono che erano tutte menzogne vogliano tornare indietro. Del resto, alle mafie non serve mandarli in Europa ma lasciarli lì, dove possono essere sottoposti a tortura a scopo di estorsione – come abbiamo già spiegato – oppure essere ridotti in schiavitù diventando manodopera gratuita per le milizie. In breve, quando i giovani si rendono conto di essere tra coloro che non raggiungeranno mai l’Europa e dato che la gran parte non si trova nella situazione ‘Europa o morte’ – come ci fanno credere le Ong – ma hanno una terza possibilità, ovvero tornare a casa, supplicano di essere riportati nel loro Paese, che non possono raggiungere con i propri mezzi in quanto c’è il deserto del Sahara a separarli dalla meta. Ovviamente le mafie africane non forniscono tale ‘servizio’. Ci sono dei voli di rimpatrio messi a disposizione dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (5) che, negli ultimi cinque anni, hanno rimpatriato 60.000 migranti con voli volontari gratuiti. La rappresentante delle Ong che, interrotta la proiezione del documentario, affermava essere questi dei ‘voli di deportazione’ in quanto si obbligherebbe i ragazzi a salire a bordo, dovrebbe ascoltare i messaggi vocali che ho registrato di centinaia di giovani migranti, in lacrime, che raccontano di aver fatto il più grande sbaglio della propria vita e di sentirsi intrappolati in Libia. Teniamo infine conto che le stesse autorità di Tripoli non autorizzano facilmente i voli di rimpatrio perché se si svuota la Tripolitania dagli africani, si ferma l’economia in quanto basata sul lavoro non retribuito, ossia sulla schiavitù».
A meno del 40% dei migranti si riconosce l’asilo politico. La maggioranza di coloro che arrivano in Europa sono espulsi o finiscono nella clandestinità. Quale senso ha che le Ong sostengano la bontà di un tale sistema?
M. S.: «Le Ong sono un elemento marginale della mia ricerca dato che io mi occupo di Libia e dei migranti ma solo fino a poche miglia dalle coste libiche. Però, dalle testimonianze che ho raccolto, sono emersi elementi legati soprattutto al pull factor (6). Se vogliamo rintracciare le ragioni per le quali le Ong agiscono in questo modo, ci addentriamo in un territorio che non fa parte della mia ricerca e anche nel libro non c’è un ragionamento organico sul perché le Ong lo facciano. Io posso, al contrario, constatare dalla Libia i risultati e raccontare il ‘disastro’ che stanno compiendo nelle teste di questi ragazzi, schiavi in Libia, e dei rischi che li inducono a correre. I moventi sono un territorio ancora inesplorato. Posso solo citare un fatto che ho scoperto e che riporto nel libro e sarebbe un interessante spunto per ulteriori inchieste. Prima di venire in Italia ho vissuto un paio d’anni a Berlino, nel 2016/2017, quando cominciavano a muoversi le prime Ong soprattutto tedesche. Ho persino partecipato ad alcune manifestazioni tenutesi a Berlino in cui queste Organizzazioni iniziavano a pubblicizzare se stesse e ad annunciare che avrebbero fatto quello che loro definiscono il ‘pool di salvataggio’ dei migranti in mare. Non mi sfuggiva già all’epoca un fatto: la comunicazione di questa campagna pubblicitaria era in mano alla Chiesa Protestante tedesca. Ora, la tassa sulla religione in Germania e all’8% (7), non all’8×1000 come in Italia, quindi è la Chiesa che, in Europa, incamera i maggiori finanziamenti di Stato. Il secondo punto è che la Chiesa Protestante sostiene le Ong, anche se non ammette di finanziare direttamente gli equipaggi bensì la comunicazione. Se però, ci si può permettere di mettere in campo una campagna d’informazione su un’attività come questa, significa incassare poi maggiori donazioni. Queste Organizzazioni non solamente salvano i migranti, ma – come dicevo – sono un ‘fattore di attrazione’ non solo dalla Libia ma, addirittura, dai Paesi in cui i migranti vivono. Quando i ragazzi decidono di partire dall’Africa Subsahariana, possedendo in maggioranza un cellulare ed essendo moderni quanto i nostri, sanno già dell’esistenza delle Ong. Per chiudere il cerchio, una volta che i migranti arrivano nel Sud Italia – io vivo a Palermo da due anni e comincio a vedere tali dinamiche – finiscono in settori come l’agricoltura dove il costo del lavoro negli ultimi anni è crollato. Il contratto nazionale è intorno ai 4 Euro all’ora, mentre in Germania la paga minima oraria varia tra i 9 e i 12 Euro. I migranti illegali, senza documenti, ne guadagnano 2 di Euro all’ora, a volta 1. E per esperienza so che a Berlino i pomodori costano meno che nel Sud Italia, dove sono raccolti. Questo perché le catene alimentari che hanno in mano la produzione, la distribuzione e la decisione del prezzo e del costo del prodotto, impongono ormai da anni cifre da fame ai produttori italiani, che sono poi quelli che si trasformano in caporali. Io non difendo questi ultimi. Ma i primi strozzini sono queste catene distributive alimentari, che hanno la loro sede e i loro interessi nel Nord Europa e, attraverso le garanzie che il Mercato Europeo concede loro, possono imporre i prezzi ai produttori del nostro Sud, che finiscono per ridurre in semi schiavitù i migranti illegali, che le stesse Ong tedesche sbarcano sulle nostre coste. A me sembra che il cerchio sia chiuso (8). Però, ribadisco, questo è soltanto un fatto che posso raccontare perché l’ho avuto sotto gli occhi nella mia esperienza personale. Normalmente mi occupo di ciò che avviene in Libia».
Lei è stato anche in Cirenaica. In Italia – e forse in tutta Europa – la narrazione è che la Libia sia allo sfacelo con milizie ovunque che combattono fra di loro senza vie d’uscita. È davvero così, e può dirci se i migranti partono anche da questa regione?
M. S.: «Come dicevo all’inizio l’80% del territorio è uno Stato a tutti gli effetti e il 20% è fuori controllo, con le milizie che hanno in mano il potere militare dell’area. Quest’ultima è la Tripolitania, dove – proprio per le dinamiche che spiegavo prima – le reti della tratta degli esseri umani convergono. Lì ci sono le milizie ed è lì che i migranti possono essere ridotti in schiavitù e sottoposti a torture a scopo di estorsione. Nel resto della Libia queste cose non avvengono dato che vige uno Stato di diritto: vi è un esercito, ci sono le autorità politiche, amministrative e la polizia. E se avviene un fatto illecito, quando i responsabili sono scoperti, sono anche arrestati. Pertanto, i migranti non arrivano a Bengasi in quanto non esistono strutture mafiose per trasportarli in Italia. Recentemente sono stato proprio a Bengasi e, ovviamente, ho interloquito anche con la Guardia Costiera, alla quale ho chiesto è vero – come afferma il COPASIR (9) da diversi mesi e come è stato ripreso da media quali La Repubblica o quotidiani di destra – che sono aumentate le partenze dalla Cirenaica. La risposta è stata che dalla Cirenaica non parte neanche una imbarcazione perché lì i migranti sono pochi, lavorano – questo ho potuto constatarlo con i miei occhi – e non sono sottoposti a vessazioni. Non hanno, quindi, bisogno di imbarcarsi per fuggire da quel territorio. Chiaramente questa è la loro versione. Però mi piacerebbe che i giornalisti, che hanno riportato tale notizia come se fosse vera, citassero le fonti perché non mi pare di averne trovate nei loro articoli».
Perché l’Europa e l’Italia continuano a sostenere il Governo di Tripoli? Vi è solo una questione di controllo e appropriazione delle fonti energetiche?
M. S.: «Se consideriamo gli interessi nazionali non ha nessun senso che l’Italia sostenga Tripoli e non le legittime autorità costrette a un esilio interno nell’Est del Paese, dato che queste ultime controllano tutti i pozzi petroliferi e questo fa sì che a Bengasi – l’ho visto con i miei occhi – la settimana scorsa la benzina costasse 3 centesimi di Euro al litro. Il problema risale però al 2011, quando ci fu il bombardamento della Libia (10) e l’annientamento del regime di Gheddafi. Così come era successo in Tunisia e in Egitto, durante le cosiddette Primavere Arabe, il piano era che la classe dominante legata alla Fratellanza Musulmana prendesse il potere. Le milizie di Tripoli, infatti, che si riconosco in quest’ultima arrivarono al potere a Tripoli. Purtroppo per i piani Nato, i cittadini libici non hanno riconosciuto questo potere nel momento in cui hanno votato, ossia nel 2014, e in più hanno sorpreso tutti i Paesi Nato quando sono riusciti a ricostituire l’Esercito Nazionale Libico (dopo che l’esercito libico era stato sciolto nel 2011) per combattere contro l’Isis. Lo scenario preventivato era una Libia ‘geo-leopardizzata’ in cui i pozzi di petrolio erano in mano a gruppi armati e l’Occidente era libero di sfruttarne le risorse. Purtroppo per loro, da alcuni anni a questa parte quel modello si è inceppato perché i libici, grazie all’esercito, si sono ripresi i pozzi petroliferi e il progetto iniziale della Nato è stato confinato alla Tripolitania. La seconda cosa da notare è che a Tripoli, Italia ed Europa arriveranno sempre seconde perché i primi sono i turchi i quali, infatti, occupano militarmente la Tripolitania con una base, vicino a Tripoli, che è la più grande dell’intera Libia ed è in uno stato di extra-territorialità. L’Italia avrebbe ogni interesse a relazionarsi con Bengasi ma siamo legati all’agenda Nato. Come cittadino italiano la cosa che mi auguro è che i libici riescano da soli a riprendere il controllo della loro capitale e a mettere fine a tale situazione».
Il libro e il documento-film:
L’urlo
Schiavi in cambio di petrolio
di Michelangelo Severgnini (Autore)
2022, L.A.D. GRUPPO EDITORIALE ETS
350 pagine
L’urlo
Schiavi in cambio di petrolio
di Michelangelo Severgnini
scritto con Piero Messina
riprese Waddah Al Fahed
montaggio Claudio D’Eia
produzione Riccardo Biadene
Kama Productions
2021, 80 minuti
(1) Fathi Bashaga è stato nominato il 10 febbraio 2022 Primo Ministro dal Parlamento di Tobruk; mentre Abdul Hamid Dbeibah è il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale di Tripoli
(2) Leggiamo da Notizie Geopolitiche del 28 giugno 2018: “I Governi di Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti sono profondamente preoccupati per l’annuncio che i giacimenti e gli impianti petroliferi di Ras Lanuf e Sidra saranno trasferiti sotto il controllo di un’entità diversa dalla legittima National Oil Corporation. Le strutture petrolifere, la produzione e le entrate della Libia appartengono al popolo libico. Queste risorse libiche vitali devono rimanere sotto il controllo esclusivo della legittima National Oil Corporation e l’unica supervisione del Governo di Accordo Nazionale (GNA), come delineato nelle Risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 2259 (2015), 2278 (2016) e 2362 ( 2017). La risoluzione 2362 (2017) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condanna i tentativi di esportare illecitamente petrolio, compresi petrolio greggio e prodotti petroliferi raffinati, dalla Libia da istituzioni parallele che non agiscono sotto l’autorità della GNA”
(3) Alcune testimonianze di migranti africani in Libia, mandate in onda durante una puntata Voci dalla Libia – Speciale Fortezza Italia su Radio Radicale:
https://www.radioradicale.it/scheda/683136/voci-dalla-libia-speciale-fortezza-italia-con-michelangelo-severgnini
(4) Il documentario Schiavi di riserva, di Michelangelo Severgnini, 27 gennaio 2019, visibile su YouTube:
(5) IOM Italy: https://italy.iom.int/it
(6) Il pull factor, in italiano ‘fattore di attrazione’, ovvero che i migranti sarebbero spinti a partire dal Nord Africa in quanto sanno che ci sono navi al largo che li salvano e li traghettano in Italia
(7) In Germania il nostro 8×1000 è una tassa che, a seconda dei Land, ammonta all’8 o addirittura al 9% ed è prelevata direttamente dalla busta paga. Tale ammontare va alla Chiesa Protestante, in massima parte, o a quella Cattolica (a seconda della fede del contribuente). Per non versarla, se si è atei (ma battezzati cattolici), occorre presentare l’istanza di sbattezzo presso la propria parrocchia di appartenenza e presentare poi la delibera di sbattezzo all’Agenzia delle Entrate tedesca. A nulla vale dichiararsi atei
(8) Per alcuni dati recenti su migranti, richiedenti asilo ed espulsioni in Europa:
(9) L’attività del Sistema di informazione per la sicurezza è sottoposta al controllo del COPASIR, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, organo bicamerale composto da 5 senatori e 5 deputati di maggioranza e opposizione
(10) Il 19 marzo 2011 Francia, UK e Us attaccarono la Libia, autorizzati dalla Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – il quale aveva istituito una zona d’interdizione al volo ufficialmente per tutelare i civili a causa dei combattimenti tra ribelli ed esercito fedele a Gheddafi. In realtà, tale ‘dissuasione al volo’ si trasformò nell’attacco francese contro le forze terrestri di Gheddafi, nell’area di Bengasi, e nel lancio di missili Tomahawk sull’intero Paese da parte di navi statunitensi e britanniche
venerdì, 9 dicembre 2022
In copertina: Foto di Wladimir Andarcia (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay).
Nel pezzo: Foto di Dr StClaire ed eyw2008 (entrambe gratuite da usare sotto la licenza Pixabay). Copertina del Libro L’Urlo. Schiavi in cambio di petrolio.