Non rispondete la crema…
di Simona Maria Frigerio
In quest’ultimo anno mi sono trovata a rispondere a molti che mi chiedevano cosa fosse la PreP e così, per il 1° dicembre, abbiamo pensato di rimettere in copertina questo pezzo.
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Fino a qualche anno fa, nonostante l’opposizione delle gerarchie ecclesiastiche verso il sesso fuori dal matrimonio o a fini non riproduttivi, si parlava di Aids e di come prevenirlo, ossia dell’uso del preservativo (e delle siringhe monouso). Lo Stato investiva su campagne spesso terroristiche (vi ricordate l’alone violaceo dello spot del 1990?) dove, però, si ‘osava’ sdoganare il condom – che oggi è ritornato a essere mezzo per evitare gravidanze indesiderate e può girare in Tv solamente a notte fonda, in quanto ci si dimentica della sua importanza quale protezione dalle malattie veneree.
Ma a che punto è la situazione dell’Aids nel mondo? Quante persone – al di fuori dell’ambiente gay e del sesso a pagamento – conoscono la Profilassi Pre Esposizione (PrEP)? Quali sono i suoi limiti? Non sarebbe il caso che in Italia sia coperta dal Servizio Sanitario Nazionale (esattamente come dovrebbero esserlo i preservativi)? Ma soprattutto, perché la si sponsorizza tanto in Africa, nonostante i suoi costi?
La situazione in Africa Subsahariana
In Africa vive circa il 12% della popolazione mondiale. Ma in Africa è presente il 60% dei malati di Aids e si raggiunge il 73% dei nuovi casi di Hiv tra adolescenti. Diverse agenzie delle Nazioni Unite denunciano che nell’Africa Subsahariana ogni giorno oltre 600 ragazze sono contagiate dall’Hiv: il 25% dei contagi totali nella regione riguarda le under 24. Il futuro del continente è messo seriamente a rischio. Si stima che entro il 2030, 740 mila giovani contrarranno il virus. La prima causa di morte tra le persone contagiate è una malattia che, in Italia, pensiamo di esserci buttati alle spalle con il Secondo dopoguerra, la tubercolosi – e che, al contrario, è la malattia infettiva che “uccide il maggior numero di donne in età riproduttiva nel mondo, e il maggior numero di persone affette da Aids”.
Secondo uno studio del 2017 di https://journals.openedition.org, nell’Africa Subsahariana “il 53% delle persone continua a vivere in povertà estrema (con meno di un dollaro e venticinque centesimi al giorno) e il 70% con meno di due dollari al giorno”. Sarà ovvio che – anche volendo – se i mezzi per prevenire e curare l’Hiv/Aids non sono accessibili gratuitamente, non è possibile per queste popolazioni ricorrere alla PrEP, al condom e agli antiretrovirali con le proprie economie.
(Piccolo inciso. La tubercolosi è tra le prime dieci cause di morte al mondo. Secondo www.quotidianosanita.it: “Nel 2017, 10 milioni di persone si sono ammalate e 1,6 milioni sono morte a causa di questa malattia – tra cui 0,3 milioni di persone con Hiv. Nel 2017, circa 1 milione di bambini si è ammalato di tubercolosi e 230.000 di questi sono morti”; ma la situazione è perfino peggiorata con il dirottamento delle risorse economiche e di personale sanitario verso il Covid-19 – http://www.opinione.it/esteri/2020/10/16/fabio-marco-fabbri_covid-coronavirus-pandemia-sanità-tubercolosi-africa-hiv-oms-influenza/).
Tornando all’Hiv/Aids, www.newscientist.com in un articolo del 2 febbraio 2021 specificava che nel mondo circa un milione di persone sta assumendo la PrEP. Kate Segal della AVAC (Aids Vaccine Advocacy Coalition), un’organizzazione no profit con sede a New York, avrebbe dimostrato che le persone che utilizzano la PrEP, a livello mondiale, sarebbero aumentate di 300 mila unità nel corso del 2020. In Africa Subsahariana vi sarebbe stato addirittura un salto da 4.154 utilizzatori nel 2016 a oltre 517.000 nel 2020, ossia il 56% del totale. Inoltre, nello stesso articolo, si puntualizzava che Segal avrebbe fatto notare come, tra i dieci Paesi che hanno il maggior numero di persone che assumono la PrEP, sette appartengano all’Africa Subsahariana e come esistano diversi canali attraverso i quali si potrebbe incentivarne l’uso, e che non sono stati ancora attivati – tra questi, la distribuzione nelle farmacie e campagne di informazione tra la popolazione (che pare latitino anche in Italia).
Non sono tutte rose e fiori, però. La PrEP (come spiegheremo più oltre), non difende dalle altre malattie sessualmente trasmissibili e, ovviamente, non previene gravidanze indesiderate. Inoltre, secondo uno studio pubblicato il 23 novembre 2020 da Unaids (https://www.unaids.org/en/keywords/condoms), l’uso del preservativo nell’Africa Subsahariana sarebbe nel contempo calato (anche per mancanza di adeguate campagne di informazione e promozione) proprio tra le donne tra i 15 e i 24 anni – ossia quelle a più alto rischio di contrarre l’infezione per via sessuale. Calo registrato anche tra i maschi tra i 15 e i 49 anni. Già nel 2015 si stimava, nei 47 Stati dell’Africa Subsahariana, un fabbisogno di 6 miliardi di preservativi l’anno a fronte dei 2,7 miliardi effettivamente distribuiti.
Le stime dell’Unicef additano l’Aids come una malattia che azzera il futuro di un continente, mentre l’Occidente ‘strilla’ per un’altra che sta colpendo il passato. Nel mondo 1,9 milioni di bambini e adolescenti sono costretti a vivere con l’Hiv; 270 mila bambini e adolescenti sono infettati ogni anno e 56 mila bambini muoiono a causa dell’Aids e delle infezioni opportunistiche (sempre ogni anno). Ciliegina sulla torta, vi ricordiamo che lo studio dell’Ema del 23 aprile scorso ipotizzava che: “nella fascia 20-29 anni la mortalità da coronavirus sia vicina allo zero, anche in presenza di un’alta circolazione dalla patologia. Al contrario, l’incidenza delle trombosi successive al vaccino è pari a una media di 1,9 casi ogni 100 mila persone under 30 che vengono vaccinate con una dose AstraZeneca” (il vaccino che i ‘generosi europei’ forniranno all’Africa con il Covax) – fonte https://europa.today.it/attualita/astrazeneca-rischi-giovani-ema-aprile-trombosi.html.
Un ultimo dato. Al 1° dicembre 2021, secondo https://www.worldometers.info, i morti per Hiv/Aids nel mondo sono stati 1.540.717 circa in 11 mesi; mentre le persone contagiate (ma teniamo conto che, ad esempio, in Africa meridionale e orientale circa 2 persone su 10 affette dal virus non sono consapevoli del loro stato) sarebbero oltre 43 milioni.
La situazione in Occidente e in Italia. Cos’è la PrEP?
In Europa la situazione è certamente migliore che in Africa ma l’aver cronicizzato la malattia grazie agli antiretrovirali non toglie il fatto che, come riportato da vari studi (si vedano Martina Ronchetto e Flavio Ronchetto su Open Edition Journals del 2017), un calo di attenzione a livello informativo possa far rialzare i numeri del contagio: “Il rapporto 2015 dell’European centre for disease prevention and control (Ecdc), and Who-regional office for Europe, rivela che in 50 dei 53 Paesi della regione europea Oms, alla fine del 2014, i soggetti con nuove diagnosi Hiv erano in tutto più di 142 mila (16,4% per 100 mila abitanti), il numero più alto mai registrato a partire dal 1980 […]. La fascia di età dai 15 ai 24 anni incideva per il 10% di tutti i casi, essendo quella più colpita tra i 30 e 39 anni (36%). Il rapporto uomini/donne era 3,1; il pattern principale di trasmissione era eterosessuale (46,8%), seguito dal contagio omosessuale tra uomini (24,4%)”.
In questo quadro di disattenzione verso l’Hiv/Aids a livello mass mediatico – non certamente attribuibile solo all’esasperata copertura del fenomeno coronavirus degli ultimi 20 mesi – si scopre che, oltre al preservativo, per evitare il contagio, esiste una profilassi farmacologica (la summenzionata PrEP) che, da quanto affermato da Silvia Nozza, infettivologa presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, e riportato su quotidianosanità.it: “ha dimostrato una riduzione elevata del rischio, attestato dal CDC di Atlanta al 99% per la trasmissione sessuale e all’80% per la trasmissione endovenosa tra gli utilizzatori di sostanze stupefacenti. Un suo impiego massiccio farebbe scendere drasticamente i contagi da Hiv, come dimostrato dai casi di San Francisco, Londra o Sydney. Inoltre, solo il 67% della popolazione affetta da Hiv ha accesso ai farmaci, mentre il 33% non si riesce a curare”.
Uno tra i limiti di tale profilassi – diffusa negli States fin dal 2012 e in Europa, con differenziazioni anche importanti tra i vari Paesi, solamente dal 2016 – è che, come scrive la Lila sul suo sito, sebbene sia “disponibile con prescrizione medica ed acquistabile dalle persone in farmacia”, mancando “un programma nazionale supportato dal SSN […], spesso, le persone interessate alla PrEP, reperiscano con difficoltà le informazioni necessarie e non possano accedere gratuitamente agli esami previsti per intraprendere e monitorare la profilassi”. E più oltre: “La PrEP consiste nell’assunzione preventiva di alcuni medicinali già da tempo utilizzati nel trattamento dell’Hiv: Tenofovir ed Emtricitabina. Attualmente l’unico farmaco approvato per la PrEP è il Truvada, le cui compresse contengono entrambi i principi attivi. In Italia è già disponibile anche l’equivalente farmaco generico”. Purtroppo il costo della terapia preventiva (così come dei preservativi) è totalmente a carico del cittadino – a differenza di molti Paesi europei dove se ne ottiene il rimborso o è venduta a un prezzo ‘politico’, rendendosi quindi disponibile anche per le fasce meno abbienti della popolazione (e pensiamo anche a quelle che più ne trarrebbero un beneficio come i lavoratori e le lavoratrici del sesso). La terapia mensile, che consiste nell’assumere ogni giorno il farmaco, utilizzando il generico ha un costo di 60 euro mensili.
Occorre altresì sapere che la PrEP non va usata da persone che abbiano contratto l’Hiv ed è quindi indispensabile fare un test di quarta generazione prima di iniziare ad assumerla e ripetere i controlli durante il trattamento. Inoltre, bisogna fare attenzione alla compliance: quasi tutti i nuovi contagi tra persone che ne fanno uso sembra avvengano quando non la si assume correttamente. Anche alcuni farmaci possono annullarne o moltiplicarne gli effetti, come gli anti-infiammatori non steroidei (FANS) che, se presi insieme, potrebbero provocare seri problemi ai reni. La PrEP parrebbe, inoltre, ben tollerata e gli eventuali effetti collaterali sarebbero reversibili sospendendola. D’altro canto, si stima un aumento del 25% delle malattie sessualmente trasmissibili tra i soggetti che assumono la PrEP – sebbene il dato potrebbe essere artificialmente alimentato dal numero più elevato di controlli a cui si sottoporrebbero questi soggetti rispetto a quelli che utilizzano normalmente il preservativo. La PrEP, come si è già scritto, protegge dall’Hiv, ma non è efficace, ad esempio, contro la gonorrea, la sifilide, l’herpes genitale o la clamidia. Tutte malattie che, secondo i dati del 2019, colpiscono soprattutto le persone tra i 25 e i 44 anni – in quanto sessualmente più attive.
Futuro roseo per la prevenzione dell’Hiv?
La realtà dei fatti è che la salvaguardia della salute non è mai avulsa da fattori quali una corretta informazione, valutazioni costi/benefici, le risorse dei Paesi coinvolti e gli interessi delle Case farmaceutiche.
Forse non tutti sanno che una pratica – in uso soprattutto in Africa e su base volontaria – con un buon rapporto costi/benefici è quella della circoncisione maschile, dato che sembra ridurre il rischio di contagio del 50% eliminando “la mucosa del pene […], che è più suscettibile all’infezione da Hiv rispetto all’epitelio cheratinizzato, e squamoso stratificato che ricopre il resto del pene”. Per quanto riguarda la trasmissione al(la) partner in caso si voglia una gravidanza, altre ricerche hanno dimostrato – ormai senza ombra di dubbio – che le persone contagiate che, grazie alla terapia antiretrovirale, hanno una carica virale al di sotto dell’attuale livello rilevabile “non trasmettono sessualmente il virus ai loro partner. Un virus non rilevabile equivale a un virus non trasmissibile”. Esistono, quindi, pratiche mediche che possono contribuire a bloccare la circolazione del virus efficacemente ed è importante saperlo.
Per quanto riguarda la PrEP, secondo AidsMap.com, in 16 comunità del Kenya e Uganda dove è stata proposta gratuitamente tale profilassi, uno studio ha “evidenziato una diminuzione del 74% negli eventi di infezioni da Hiv nei partecipanti appartenenti a gruppi ad alto rischio”. I limiti di questo genere di profilassi sono però molti.
Uno studio di Phaedra Corso, Shideh Ebrahim-Zadeh, Patricia Kim, Sana Charania e Kristin Wall su The Lancet (https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(19)30067-7/fulltext), pubblicato il 20 maggio 2019, ha rilevato che nei 60 studi esaminati dai ricercatori, le tecniche per evitare la trasmissione verticale e perinatale (ossia madre/figlio) hanno un costo mediamente più basso di qualsiasi altro metodo di prevenzione del contagio; mentre la PrEP il più elevato – anche valutando gli anni di vita con disabilità. Nello studio si sottolinea come, nonostante la PrEP sia molto sponsorizzata, occorra valutare come un tale intervento su larga scala peserebbe sui budget sanitari di Paesi con risorse limitate – soprattutto nel lungo periodo. Si evidenzierebbe altresì che l’uso della PrEP su specifici gruppi a rischio (giovani con più di quattro partner e un uso sporadico del preservativo) è più efficace a livello di costi/benefici; mentre pensare a un suo utilizzo nell’intera popolazione attiva sessualmente non è realistico, soprattutto in Paesi dove non vi è nemmeno un accesso universale e garantito alla diagnosi e alle cure. Lo studio, in pratica, fa presente che tale profilassi in alcuni gruppi ad alto rischio e se assunta correttamente può essere conveniente; ma è in ogni caso un intervento impegnativo a causa degli alti costi, problemi etici e una distribuzione iniqua. Aggiungeremmo che si dovrebbe tenere conto della difficoltà di effettuare tutti i test e i controlli che la PrEP dovrebbe prevedere (prima, durante e dopo il suo utilizzo) e, inoltre, non prevenendo le altre malattie veneree e non essendo un mezzo per il controllo delle nascite – a differenza del preservativo – soprattutto nei Paesi dove queste problematiche sussistono e sono rilevanti, può trasformarsi in una spesa eccessiva a livello erariale, che non risolve totalmente il problema ma sicuramente ne acutizza altri. Solo gli africani dovrebbero decidere se è davvero la soluzione.
Non solo pazienti, ma persone
In queste settimane abbiamo pubblicato alcuni ritratti di artisti – i registi Derek Jarman e Cyril Collard, il fotografo Robert Mapplethorpe, i drammaturghi francesi Lagarce, Copi e Koltes – tutti morti a causa delle infezioni opportunistiche e dei tumori contro i quali il nostro corpo non riesce più a difendersi a causa dell’Aids e di fattori concomitanti. Avremmo potuto allungare la lista con nomi fin troppo noti, come Freddie Mercury o Keith Haring e altri che hanno riscritto il nostro rapporto con l’immaginario fantascientifico, come Isaac Asimov; o indagato l’essere umano a livello storico e filosofico, come Michel Foucault; o che ci hanno cullati con la loro voce, come Ofra Haza.
L’Aids non era e non è solamente la malattia di gay o tossicodipendenti ma sicuramente alcuni comportamenti (promiscuità con reiterati contagi di malattie veneree o l’uso di sostanze stupefacenti) e mancanze (in Africa, pensiamo alla malnutrizione o alla scarsità di fonti di acqua potabile) possono rendere il nostro sistema immunitario più fragile. La disinformazione miete vittime e ci espone tutte e tutti al rischio. Ma soprattutto si nota che l’Occidente sembra decidere cosa sarebbe meglio per l’Africa più in nome del profitto che nel rispetto di esigenze e volontà – nel caso dell’Aids, come in quello del Covid-19.
Forse siamo tanto arroganti perché l’Africa è solamente un pugno di migranti che vengono a raccogliere pomodori? Siamo così sicuri che non stiamo perdendo altri Rudol’f Nureev, Tina Chow o Bruce Chatwin?
venerdì, 2 dicembre 2022 (prima uscita, venerdì 3 dicembre 2021)
In copertina: Le coperte dei nomi, in Africa, ricoprono gli alberi. Foto di Graceful da Pixabay.