Esce, per Editoria & Spettacolo, il volume curato da Gaia Riposati e Massimo Di Leo
di Simona Maria Frigerio
A volte un libro nasce dal dialogo, uno scambio di idee e una visione condivisa di percorso – che può appartenere al passato ma anche a un futuro che si sta delineando nell’incontro e nella ripetizione dell’incontro. Così nasce questo volume, come una chiacchierata-fiume – che scorre negli anni – tra Gaia Riposati, Massimo Di Leo e Carlo Infante, partendo da un termine che, ai più, potrà apparire criptico: performing media. Di cosa staranno parlando i nostri interlocutori?
Di “arte, teatro, tecnologia, linguaggi del contemporaneo e relazioni con il territorio”, come scrivono loro stessi, una intermedialità e una interdisciplinarietà che trascorrono dalla loro pratica artistica a quella letteraria. E così il libro stesso si trasforma in “librido” per permettere al lettore di diventare protagonista di un’esperienza di lettura nel senso più dialogante che gli attuali mezzi – anche tecnologici – permettono (grazie a link a video, documenti, musiche e paesaggi sonori).
In questo senso, anche il presente ‘consiglio di lettura’, vuole essere uno spiraglio su quel suggestivo viaggio tra le pagine e i mondi che si nascondono o si aprono all’immaginazione affinché i lettori di InTheNet siano invogliati a tuffarsi nel libro performante di Riposati e Di Leo – insieme volume cartaceo e l’espansione dei suoi contenuti nel web (a mezzo dei QR code a inizio di ogni capitolo, quale suggestione musicale di accompagnamento alla lettura o, meglio, all’esplorazione di una pratica; oppure dei focus per gli approfondimenti, che si possono affrontare anche in un secondo momento, quasi si riaprisse il libro delle memorie grazie a una Madeleine tecnologica).
La prima parte è ovviamente dedicata all’origine del termine, questo performing media che rimanda – a nostro avviso – sia alla leggerezza e all’effimero hic et nunc propri del teatro e, ancora più, della performance artistica (forma che dovrebbe essere irripetibile e soprattutto irreplicabile), sia alla pesantezza escatologica dei media che ci bombardano con la loro propaganda ossessiva da ogni dove e con ogni mezzo tecnologico.
Il volume ricorda come già nei primi anni Ottanta, “Jello Biafra, leader del gruppo punk Dead Kennedys” affermasse: “Non odiate i media, diventate i media” (un po’ come affermerà anche l’artivista Giacomo Verde). In effetti, invitava i suoi ascoltatori a porsi in maniera attiva o, meglio, ‘proattiva’ nei confronti di tivù, giornali, cinema, radio, pubblicità, persino teatro o musica – e allora non esistevano ancora il citizen journalism e i social, sebbene fossimo già abituati alla cosiddetta contro-informazione, ai libri bianchi, alla politica da ciclostilato. Ma erano anni in un certo senso ‘sobri’ o ‘naïf’ in quanto esenti dall’invasività/permeabilità della rete, che entra nel sangue via computer ma, soprattutto, attraverso l’onnipresente cellulare (passando dai mass media ai personal media, come spiegherà più oltre il volume).
In questo quadro, da noi delineato, Infante recupera la visione “situazionista[della] performance, che tendeva a creare un corto circuito tra realtà e rappresentazione” (il termine inglese, performing) e le nuove “modalità della comunicazione interattiva dell’innovazione digitale”, che potremmo riunire sotto il cappello dell’“infosfera”, che iniziava allora a pervadere il nostro universo-mondo (il termine latino, media).
Ed ecco il nostro personalissimo consiglio per assaporare musiche, suggestioni e immagini di quegli anni ‘pionieristici’ e comprendere meglio cosa racconti il libro:
A seguire, una serie di approfondimenti su tematiche diverse che attengono ai performing media ma anche al dialogo tra loro e lo spettatore/attore o lo spazio. Tra i molti spunti che consigliamo di approfondire con attenzione quello intitolato La sistematurgia, che tratta della cosiddetta drammaturgia basata però non più su un testo scritto che va interpretato attraverso la recitazione e una certa fisicità (mimica, gesto, espressione facciale, eccetera) bensì “sull’integrazione dei sistemi tecnologici con il feedback fisico”. Su questa interattività del corpo con la scenografia e persino con la platea si opera qualcosa che va ben aldilà dell’abbattimento della quarta parete e si apre il teatro (il museo o la galleria d’arte nel caso di performance) a luoghi altri – reali o immaginari, hic et nunc o immersi nel 3D degli universi virtuali creati dalle nuove tecnologie.
Un successivo capitolo, altrettanto interessante, è quello che racconta il Treno di John Cage, per il quale vi rimandiamo alla lettura del sito http://www.johncage.it/1978-treno-cage.html e all’ascolto di La musica del silenzio:
Per Infante tutto questo e molto altro materiale scritto, sonoro, fisico ed esperienziale è servito a comprendere come “il Performing Media ancora prima che nella dimensione video e multimediale si gener[i] in quella sonora e radiofonica”. Una scoperta, questa, per il lettore ma non per chi abbia condiviso con Infante dei walkabout – questo piacevole filosofare camminando ove il dialogo è coadiuvato da whisper-radio, che permettono di condividere emozioni, pensieri ma anche brani musicali o rumori ambientali provenienti dallo spazio esterno o scelti dallo stesso Infante (o da eventuali collaboratori) mentre il tutto è trasmesso in streaming. In questo modo si crea un cortocircuito multi-mediatico ma anche multi-spaziale che è insieme compartecipazione attiva in un preciso spazio-tempo-luogo e immersione in un paesaggio sonoro o scenografia virtuale uditiva (ecco un esempio per comprendere meglio questo profluvio di parole: https://www.geoblog.it/performing-media-2022-parco-archeologico-dellappia-antica-capo-di-bove-29-09-2022/).
Ma Infante ha altresì un passato politico e, ovviamente, anche il performing media può “sviluppare consapevolezza, sollecitare le coscienze sui temi della riqualificazione urbana e sociale” in quanto “dispositivo per commisurarsi con gli scenari del cambiamento”. Una forma che noi potremmo ridefinire di autentico artivismo tecnologico o, come spiega il libro, un mezzo diretto verso la “nuova generazione, che può trovare nell’interattività una occasione di partecipazione attiva e di produzione d’informazione basata sull’esperienza diretta, ludica e creativa”.
Proprio la dimensione più politica di Infante occupa le pagine seguenti anche perché è stato attraverso la politica che è arrivato al teatro in un’epoca in cui il personale era politico – e del quale andrebbero recuperati impegno ed entusiasmo in un tempo, il nostro, in cui appare impossibile andare oltre un like o un emoticon. Un passaggio epocale che il volume racconta con grande fervore, attraverso volti, gruppi, esperienze, attori e critici, eventi e spettacoli, teorizzazioni e pratiche per giungere alla conclusione che quello del ʻ77 fu: “un movimento che tradusse in azioni di massa ciò che le avanguardie esprimevano in forme esclusive: atti esemplari-performance, slogan-parolibere, ironie e metafore creative”. Di quel periodo vi regaliamo i Magazzini Criminali:
Delle tante reincarnazioni di Carlo Infante, un capitolo a sé spetta al suo ruolo di Deux-ex-Machina del Festival di Narni e alla nascita del videoteatro – con le varie declinazioni di teatro in video e multimedialità coniugata con la presenza scenica. Impossibile non farsi affascinare dall’analisi filosofica dell’impatto delle tecnologie interattive sul nostro modo di vivere, lavorare, creare e persino apprendere – in cui ovviamente il performing media può innestarsi come una tra varie le manifestazioni performative possibili.
Da segnalare anche il rimando al Manifesto di Ivrea con un accenno alla figura di Giuseppe Bartolucci; oltre che all’amico e compagno di strada Giacomo Verde, l’artivista inventore dei teleracconti – che univa, come Infante, alla creatività tecnologica un impegno politico che non era mai scevro di artisticità – e le cui opere sono in mostra al CAMeC della Spezia per una retrospettiva che proseguirà fino al 15 gennaio 2023.
La seconda parte del libro – dopo aver compreso genesi e linguaggi, tecniche e mezzi, teorie e pratiche del performing media – è dedicata a I Paesaggi Umani di Urban Experience, ossia il mix di “storytelling in interazione con il genius loci”e walkabout, che è una “narrazione errante” all’interno di un preciso territorio dove si (con)fondono i racconti dei partecipanti con “contributi sonori registrati” o telefonate in diretta, dato che il tutto è trasmesso via radio e/o in streaming (come abbiamo già spiegato). Due temi cardine dell’esperienza che propone Infante sono: glocale e resilienza – per i quali vi rimandiamo direttamente al libro. Ma vogliamo aggiungere che l’ultimo elemento di questo teatro esperienziale che può abitare il territorio è il GeoBlog, che ‘mappa’ le performance restituendo una visione anche geografica dell’esperienza fisico-sonora (https://www.geoblog.it/tag/performing-media-2022/).
Tra i vari progetti – dato che il libro è un dialogo intessuto di memorie, pensieri erranti, intuizioni felici e squarci sul futuro prossimo – segnaliamo SoftScience, un in divenire triennale che dedica alle 17 azioni dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu, 17 walkabout in altrettanti luoghi di Roma utilizzati come “sottotesto per ragionare sulle sorti della società”.
Nel finale si passa dalla spiegazione di cos’è questo oggetto del ‘desiderio’ artistico denominato performing media, alla “riflessione socio antropologica che mette in gioco l’esperienza, la memoria, per costruire futuro”. Si passa da tematiche come l’antropocene al concetto di “innovazione adattiva”, fino ad arrivare alla spiegazione di cosa sia una “innovazione digitale [che] si adatti alla creatività sociale, che emerge da buone pratiche capaci di generare un’intelligenza connettiva”. Concetto, quest’ultimo, che Infante fa discendere (metaforicamente) dalle api e che traduce in: “intelligenza sociale che si sviluppa dall’interscambio di informazioni immediate, come un flusso d’energia”.
Ma i rimandi anche scientifici in questa sezione non mancano e servono a spiegare i meccanismi di compartecipazione, che rendono un walkabout o altre forme esperienziali creative rispondenti alle necessità di un pubblico sempre più attivo e, si spera, anche con ricadute nella consapevolezza individuale che possano portare a scelte più consapevoli nella polis. Dai neuroni specchio alla swarm intelligence (intelligenza dello sciame) fino agli user generated content (i contenuti generati dagli utenti della rete), si nota come un sostrato teorico sottenda all’elaborazione dell’intero progetto o, più in generale, del gioco molto serio che Infante sta giocando – come individuo e come creativo – nella propria vita e nelle proprie esperienze artistiche. Non sono argomenti semplici né è possibile (o avrebbe senso) sviscerarli in poche righe, ma questo è uno dei pregi del volume: riportare il pensiero (e il lettore) al valore della complessità. Non a caso, il libro – come il lavoro di Infante – è un continuo passaggio di consegne tra digitale e reale, tra spazio virtuale e presenza fisica in un preciso territorio, tra memoria individuale (che si fa portavoce dello spirito di un’epoca) e azione in un presente ‘perfetto’ che rimette continuamente in gioco tutti i player.
Prima della chiusura, un interessante glossario, le biografie degli autori e soprattutto un’avvertenza che sottoscriviamo in pieno: “Ceci n’est pas un livre. Questo non è un libro che possa trovare un finale, né tendere verso un punto di arrivo. È e vuole essere un attraversamento, una esplorazione leggera che lascia punti su una mappa pronta ad essere usata per perdere l’orientamento e misurarsi con l’incongnito”. Sono tantissime le sollecitazioni e gli spunti che emergono, anche per noi stessi – come inventori di mondi o, almeno, compartecipi alla costruzione di questo. Tra memoria e futuro, la linea sottile che scorre sotto i nostri piedi ha una direzione certa ma non è esente da proporre svolte improvvise e passaggi imprevisti. Sta qui il segreto di un buon ‘librido’, ossia lasciare spiragli e non chiudere mai con un definitivo The End.
Performing Media. Un futuro remoto
Il percorso di Carlo Infante tra Memoria dell’Avanguardia e Transizione Digitale
a cura di Gaia Riposati e Massimo Di Leo
©2022 Editoria & Spettacolo soc. coop.
venerdì, 18 novembre 2022
In copertina: Carlo Infante.
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