Una piacevole scoperta
di Simona Maria Frigerio
Ospitato in una palazzina razionalista inaugurata nel 1988 all’interno del Parco della Villa Landolina, intitolato a Paolo Orsi, archeologo trentino che si è dedicato ai resti delle civiltà passate presenti in Calabria e Sicilia, è tra i musei più importanti in Europa per numero di reperti esposti.
La visita inizia al piano seminterrato, dove sono esposti monete e gioielli antichi, in buona parte frutto di donazioni di privati. Da notare, come ci ha spiegato la gentile guida che ci ha accolti, che le monete siracusane (raffiguranti la ninfa Aretusa) sono state firmate dai loro incisori – quasi fossero opere d’arte – già nel IV° secolo a. C. Vista la precisione, la raffinatezza e la qualità del bassorilievo, si può tranquillamente affermare che lo status artistico sia dovuto.
Tra gli oggetti di oreficeria esposti, da notare, per la squisita fattura e l’originalità dei modelli, due anelli ellittici, con castone inciso raffiguranti animali (dell’VIII/VII° secolo a.C.) e due pendenti in pasta vitrea di epoca fenicia (metà V° secolo a.C.). Peculiari anche due orecchini in oro (nella teca successiva): il primo con pendente a forma di aquila e il secondo con due uccelli contrapposti (rispettivamente del II° e del III° secolo a.C.). Alcuni orecchini a pendente, più oltre, paiono fatti da orefici contemporanei. Squisiti i lavori in filigrana d’oro dell’oreficeria siciliana del XVIII° e XIX° secolo e, nella stessa teca, due bracciali, di scuola sorrentina, in osso e avorio traforati (tipicamente ottocenteschi).
Al piano terra il museo è suddiviso in tre settori. Il primo è l’A ed è dedicato alla paleogeografia della Sicilia: mostra come l’isola da noi conosciuta sia lentamente emersa dalle acque tra 11 milioni e 20 mila anni fa. In esposizione due esemplari (maschio e femmina), completi, di elefante pigmeo, provenienti dalla grotta di Spinagallo e databili a 500 mila anni fa. Del periodo Neolitico (8000 a.C./3500 a.C. circa) sono presenti diversi manufatti, tra i quali resti di utensili da cucina e recipienti, su alcuni dei quali sono visibili incisioni e motivi ornamentali. Diverse le grotte situate tra Siracusa e Canicattini dalle quali provengono i resti del periodo Neolitico Superiore ed Eneolitico. Dalla grotta Palombara proviene un’anfora con coperchio ben conservata della tarda Età del Rame, nelle altre vetrine frammenti soprattutto di olle (recipienti panciuti per cuocere o conservare il cibo). Più oltre, sempre della tarda Età del Rame, da notare due vasi plurimi a vaschetta di uso ignoto (forse dei vassoi porta-cibo e bevande?) e, nella vetrina di fronte, due coppe o bacini biansati (ossia con due anse per reggerle) su piede, dipinti in bruno su fondo rosso, provenienti dal ricco corredo della tomba di Vallelunga (tra Caltanissetta e Palermo) della prima Età del Bronzo (XV°/XXII° secolo a.C.). Originalissimi nella forma anche i vari attingitoi del tipo Rodi-Tindari-Vallelunga, provenienti dalla necropoli e dal villaggio di Valsavoia dell’Età del Bronzo Antico.
Dall’abitato e dalle tombe di Castelluccio, dell’antica Età del Bronzo (il sito è fiorito tra il 2200 e il 1700 a.C.), provengono i manufatti meglio conservati. La sezione è corredata da un bel video e, in esposizione, si notano due portelli tombali con motivi a rilievo e con influenze maltesi. Più oltre, dall’Età del Bronzo Medio (XV°/XIII secolo a.C.), ecco una longilinea coppa su alto piede con ansa a ponticello. Curiose, accanto nella stessa vetrina, le anse degli attingitoi, decorate con protuberanze coniche del XV°/XIII° secolo a.C.
Il settore B contiene i resti di Megara Hyblea, di epoca ellenistica e romana, fiorente già nel III° secolo a.C. e dalla quale provengono teste e frammenti di statuine, utensili per la cucina e la toeletta, lucerne, crateri (anche utilizzati come urne per le ossa dei defunti), un gorgoneion (pendente orrorifico apotropaico) del VI° secolo a. C. e una maschera teatrale (degli inizi del V° secolo a.C.); e ancora, un grande stamnos (contenitore per liquidi) megarese a decorazione orientalizzante a figure nere e rosse su fondo chiaro (del 650 a.C.). In una vetrina successiva colpiscono le sfingi dal volto riunito in un gorgoneion, con leone rampante, dipinte su un alabastron (ossia un vasetto per conservare l’olio da massaggio o il profumo), corinzio, databile 625/600 a.C., trovato dentro un sarcofago con una sepoltura familiare. Presenti anche delle curiose uova in bronzo apribili, tipo gli ovetti di cioccolato di una nota marca. E infine uno splendido cratere a colonnette attico a figure nere su fondo chiaro con Dionisio tra satiri e menadi (525/500 a. C.).
Sempre in questo settore i superbi resti degli scavi di Lentini (fondata nel 728/7 a.C. dai calcidesi provenienti da Naxos e alleata di Atene). Da qui proviene il lèbes gamikòs, o lebes nuziale, un vaso usato probabilmente per aspergere la sposa, a figure rosse, opera del Pittore di Siracusa (360/340 a.C.); e dalla contrada di Santa Croce, il cratere a calice a figure rosse attribuito al Gruppo Lloyd (terzo quarto del IV° secolo a.C.). Nelle vetrine di fronte, una lekythos (vasetto dal corpo allungato) attica a figure rosse con donna reggente una fiaccola (470 a.C.); un’originale olpe (ovvero, brocca) tardo-corinzia del pittore di Lentini (secondo quarto VI° secolo a.C.), con sfingi e figure d’uccello rosse e nere su fondo chiaro; e ancora, una piccola lekythos attica a figure nere su fondo chiaro con Edipo e la sfinge (V°/VI° secolo a.C.).
Soddisfatti? Speriamo di no perché la settimana prossima proseguiremo con la nostra visita.
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venerdì, 28 ottobre 2022
In copertina: L’esterno del museo. Foto di Simona M. Frigerio.