Crash in stile Netflix
Simona Maria Frigerio
Patinato, pseudo-intellettuale, filosofico quanto basta per il pubblico statunitense, il nuovo film di David Cronenberg (che non è il remake dell’omonimo del 1970) ha la superficiale raffinatezza di un qualsiasi prodotto di Netflix ma è sideralmente lontano dal capolavoro del medesimo regista, del 1996, ovvero Crash – basato sul racconto del ʻ73 di J. G. Ballard.
Citiamo Crash perché, all’apparenza, si può parlare per entrambi i film di body horror ma, mentre per il primo la carica sessuale era inscritta nel tormento della carne tagliata, lesa, mutilata, colpita, maciullata con rimandi più o meno impliciti a un sadomasochismo condiviso alla pari da entrambi i partner, dove piacere e dolore, Eros e Thanatos, senso della vita e realtà della morte si fondevano in un sempre più parossistico orgasmo di corpi voluttuosamente deturpati; in questo Crimes of the future, aldilà della political correctness che impone alla protagonista di non voler squartare un bambino morto a cuor leggero, spacciando l’atto per una performance, e la sottotraccia ambientalista che prevede nel futuro umano modificazioni genetiche tali che ci permetterebbero di cibarci degli scarti della nostra civiltà tecnologica (leggasi della plastica), non ravvediamo alcuna originalità. Anzi, la sceneggiatura fa acqua in più punti. Ad esempio, perché le autorità in una società consumistica dovrebbero essere contrarie a tali modificazioni se permettono all’uomo di sbarazzarsi dei suoi stessi rifiuti (e, quindi, di consumare anche più liberamente)? Oppure, se il ruolo di Odile e Berst è quello di conservare la ʻpurezza’ del genere umano, eliminando anche fisicamente chi appoggia le mutazioni genetiche, come mai le stesse non uccidono Saul Tenser e Caprice? E perché gli esseri umani ancora ‘originali’ o ‘integri’ non provano più dolore? Se non si prova dolore, si può provare piacere? E non aggiungiamo nulla sulla diatriba su cosa sia arte e cosa performance art (sulla quale ci siamo dilungati in diversi articoli precedentemente e che non si risolve con le due frasi abbastanza ovvie del film).
Molti i rimandi colti, volontari o meno, del film. Dal National Organ Registry (sia a livello di edificio sia di burocrati che lo abitano) che sembra uscito dalla penna di Kafka, alla fotografia e alle inquadrature di un manierismo decadente che ben si sposano con i riccioli del bambino (dai tratti caravaggeschi) o ai volti che spiccano su fondo rosso di Saul Tenser e Caprice, nel lungo finale in primissimo piano. Si respira aria di The Road (il film di John Hillcoat tratto dal romanzo omonimo di Cormac McCarthy, sempre con Viggo Mortensen come protagonista) nelle prime inquadrature, con il vuoto pneumatico di un futuro distopico e solo un bambino che pare essersi salvato dal disastro. Ma vi si respira anche, nel design delle macchine, il gusto del genio macabro H. R. Giger (famoso per Alien ma anche per i suoi cyborg, che abitano il suo universo horror in quadri e illustrazioni); e nel mantello nero con cappuccio, indossato da Saul, è fin troppo facile il rimando a Il settimo sigillo così come alla nera mietitrice.
Fulminante la prima scena del film, quando il piccolo Brecken inizia a rosicchiare il cestino di plastica: più che inquietante, denuncia di un mondo-spazzatura a cui abbiamo consegnato il futuro dei nostri figli.
Crimes of the future
regia David Cronenberg
soggetto e sceneggiatura David Cronenberg
prodotto Robert Lantos
con Viggo Mortensen, Léa Seydoux e Kristen Stewart
fotografia Douglas Koch
montaggio Christopher Donaldson
musica Howard Shore
Canada, Francia, UK e Grecia, 2022
venerdì, 14 ottobre 2022
In copertina: La locandina del film.