Romanzo breve
di Roberto Rinaldi
Amiamo solo quello che non possiamo avere
Amiamo solo quello che non possiamo avere. Si era ricordato di quella frase letta. La voleva risentire per un bisogno consolatorio. Pena la sofferenza continua. Più ami e più t’avvicini a quella fiaba crudele che è la vita. Puoi amare senza possedere ciò che più brami? Siamo vittime e carnefici di noi stessi. Senza saperlo. Alla disperata ricerca d’amore in un mondo impossibile. Un sacrificio in nome di un incontro fortuito. Ciò che l’amore vuole, l’amore tende a cercare.
Il mare in tempesta
Il rebus avanzava inesorabilmente. Si era allontanato dalla città dove entrambi vivevano. A sole tre ore di distanza da lui si era lasciato catturare dalla musica dei Nocturnes di Debussy – un notturno malinconico come quello provato quella notte – e da La Mer di Ravel il cui suono riproduceva il fragore delle onde del mare. Somigliava al suo ʻmare’ in tempesta. Non c’era cura migliore della musica per trovare acquiescenza e arrendersi ad un destino inevitabile, ma lui nel frattempo, lontano in un altro continente, e un oceano in mezzo, aveva accettato l’amicizia tramite una comunità in internet. Ecco, il filo si stava riannodando come un’eco a distanza tornato al punto di partenza. Era l’amico ritrovato. Lo aspettava da tanto tempo. Le sue emozioni erano onde che si andavano a rifrangere contro un vento spirato all’improvviso. Potenza e distruzione della natura dove ogni cosa viene scossa violentemente.
Il suo sorriso è nella fotografia
Sorride su quella foto apparsa sullo schermo. Appaiono altri visi maschili, spenti, indifferenti. C’è solo un uomo che lo guarda mentre lui emana felicità di esistere. Un sorriso radioso che esce dall’immagine e ti accarezza. La sua semplicità lo rende gioioso ed estroverso. Un’intelligenza vivace. È generoso e curioso verso la vita. La sua è una storia d’altruismo e d’aiuto per chi soffre. Con il talento della voce, del canto e della musica. Un inno alla gioia. Le note che penetrano dentro l’anima. La vita senza la musica sarebbe un errore ha scritto Nietzsche. Quella vita che lui cura ogni giorno.
La risposta sta nel destino o nel desiderio
Al risveglio la mattina, del suo compleanno, il battito riprese freneticamente. Ancora una volta le loro traiettorie erano a rischio di collisione. Lo sentiva avvicinarsi. Durante quel giorno un alone di luce abbacinante lo aveva annunciato. Si sentiva emozionato e rattristato per non averlo vicino. I tanti auguri pervenuti mitigavano però quel senso di smarrimento causato da un sospeso che perdurava da troppo tempo. Al calare della luce si era rifugiato nel tepore di un buon ristoro. Il suono del telefono lo costrinse ad uscire sulla strada per rispondere. Le pulsazioni aumentavano a dismisura.
Un istante dopo lui si era materializzato. Un’apparizione durata un solo istante. Il tempo di scambiarsi una frase di commiato. Subito dopo era già lontano. Rispondendo al telefono aveva risposto anche al destino, o al desiderio. Ancora una volta i suoi sensi l’avevano intercettato. Una questione di secondi. Sarebbe bastato non uscire dalla porta in quel preciso istante per non vederlo. Si era sentito dire da lui: “Ti devo aggiornare”, ma le premonizioni gli stavano già indicando il futuro a cui lui stava per andare incontro.
Come ne La morte della bellezza, storia d’amore tra due uomini, dolorosamente bella.
La più intensa e sofferta mai scritta prima. Un destino identico al protagonista del romanzo. Anche lui sarebbe partito per sempre. Gli restava solo il ricordo struggente di averlo rivisto. L’immagine dei suoi occhi così profondi, gli stessi di diciassette anni prima, erano l’unico ricordo indelebile che avrebbe conservato di lui.
Azione e conseguenza
Domenica mattina. Provava brividi di freddo ma non era inverno. Lo sentiva vicino, sulla stessa strada dove l’aveva incontrato due notti prima. Se ogni azione determina una conseguenza, ciò che gli stava per accadere rientrava in questa logica ineffabile. Il suo inconscio aveva deciso ancora una volta di ritrovarlo. Da dentro la sala del cinema era uscito per una banale dimenticanza mai accaduta prima. La sua bicicletta era rimasta senza custodia, lasciata in balia di se stessa.
Si era chinato per chiudere il lucchetto e rialzando lo sguardo lo aveva visto. Toccato ad un braccio, lui s’era voltato. La stessa espressione vitale e gioiosa. Uno sguardo e una stretta di mano. L’unica forma di contatto fisico tra loro. Forte e determinata. Una scossa tumultuosa nel cuore segnava un’emozione difficile da gestire. “Io devo rientrare”, ma il desiderio era quello di non lasciarlo lì. Questa volta era toccato a lui congedarlo sulla strada e sparire dentro il buio di un’altra storia.
Direzioni parallele per un istante
I loro incontri si stavano intensificando. Sempre di notte e sulle strade del fatale inciampo. Non era mai accaduto prima. Ora a distanza di pochi giorni le loro vite si erano incrociate ancora ma procedevano in direzioni opposte. Perché?
Cosa significava quella strana sensazione d’indovinare l’esatto momento in cui lo avrebbe incrociato? Come due treni provenienti da stazioni diverse dove l’uno si affiancava all’altro per un solo istante. Sentiva ancora quella voce pronunciare per la prima volta il suo nome. Un suono che lo aveva accompagnato fino a casa.
Era solo una casualità rivederlo sempre più di frequente come una luce di un flash scattato a ripetizione? Si chiedeva allora quale fosse il messaggio da cogliere. La soluzione del rebus era semplicemente il rebus stesso. Bastava guardarci dentro.
Il nome della bellezza
In uno scrigno segreto c’era scritto il suo nome. Finalmente era giunto il momento di svelare la sua identità diciassette anni dopo. Un giovane uomo dalla bellezza inquieta, conosciuto ad una festa di compleanno in casa di un amico. Nella città dove avrebbe conseguito la laurea in medicina. Era lui. L’aveva intravisto in mezzo ad una folla d’invitati anonimi ma senza essere notato da lui. Dopo quella sera non lo aveva mai più rivisto e non ne conosceva il nome. Se lo pensava, lo associava sempre alla parola bellezza, come il titolo del romanzo che rileggeva spesso, ogni volta che rammentava quella parola, il ricordo del suo viso riaffiorava. Ora conosceva il suo nome. Erano troppe le emozioni causate dal sentimento provato per lui.
Diciassette anni la vita del rebus
Diciassette anni prima si era trovato nella casa di un uomo invitato alla sua festa di compleanno. Un amico conosciuto da poco tempo. Tra tanti uomini anonimi presenti aveva colto un viso giovane smarrito. L’insofferenza nel dover restare in quel luogo, privato della sua libertà, lo faceva assomigliare ad un felino selvaggio chiuso in gabbia. Era troppo giovane per accettare ogni forma di compromesso, e in quella casa non circolava amore. Il ragazzo, poco più che maggiorenne, era stato scelto come preda da immolare sull’altare di un rito dove un uomo cerca l’appagamento del desiderio. Il suo viso impaurito mostrava la paura di amare. Non era ancora pronto per l’iniziazione verso una forma d’amore così misteriosa che la natura umana possiede e svela all’improvviso. Non doveva avvenire in quella casa.
Lo avrebbe voluto abbracciare mentre lo osservava nel suo rabbuiarsi dolente. Sentiva il desiderio di portarlo via da quella casa per lasciarlo andare via, libero verso il suo destino. Provava un sentimento di protezione, come lo può sentire un padre per il proprio figlio inerme e spaventato. Pochi minuti dopo scomparso.
Lo aveva perso, ma non lo avrebbe mai dimenticato quel viso adolescenziale in un corpo di uomo virile. Si era manifestato un doloroso senso di impotenza per non essersi avvicinato e averli chiesto il suo nome. Iniziava così un rebus che solo i numeri potevano rivelare la soluzione. Dovevano trascorrere diciassette anni. Il tempo che un altro uomo avrebbe svelato con una profezia, capace di leggere dentro la vita altrui. Diciassette anni di attesa e speranza. C’era qualcosa di sospeso in quella strana vicenda in cui due uomini si erano avvicinati per un istante. Un frammento che niente e nessuno poteva cancellare.
L’uomo che sapeva anticipare il futuro
C’era un uomo che sapeva anticipare il futuro. Lo aveva predetto in una mail recapitata una notte di tanti anni prima. Si erano scambiati molti messaggi e in uno di questi c’era scritto quello che sarebbe accaduto diciassette anni dopo. Non lo aveva mai visto di persona ma tra loro c’era un’affinità elettiva, inspiegabile, difficile da comprendere. Si anticipavano a vicenda i loro pensieri scrivendo ogni notte dove ognuno trovava la risposta dell’altro, prima ancora di inviare la propria lettera. Una corrispondenza insipegabile che solo due anime come le loro potevano far nascere.
“Mio caro e gradito costui che inciampa nei miei pensieri nella notte e nei giorni della mia vita, ti dico amato perché è un soffio che da dentro vola fino a te. Che straordinario e strano personaggio che sei! Quando instancabilmente ti chiedo, in realtà ti sto chiedendo di farmi conoscere il mistero della vita, di affacciarti sull’orlo dell’abisso insieme a me e di guardarci allora complicemente. Implacabilmente mi rispondi con saggezza quando sai cogliere il passaggio di quell’alito magico. È solo senso che si coglie col tatto. È un soffio, nient’altro che un soffio: trascorre, è già passato”.
Parole che si erano materializzate in una delle tanti notti insonni, trascorse a scrivere per rispondere alle sue missive. Confidava solo a lui i pensieri più segreti della propria vita , anche di quell’incontro avvenuto per pochi istanti dove era comparso quel giovane ragazzo dall’identità misteriosa.
“La storia di questo giovane uomo mi rigira ancora da qualche parte. Se capisco quello che ha significato per te, mi dice molte altre cose di te. Provo a dirlo: che ammaliato dalla bellezza, dalla possibilità impossibile insegui un sogno. Un sogno che offre il pieno, il tutto che si disvela come nulla. Evanescente perché sogno? E lui? Cosa pensava lui? Cosa ha visto in te? Cerco di guardarlo e di immaginarmelo in carne ed ossa, in sangue pulsante e in sentimenti ed emozioni. Lui cosa cercava? Una via di fuga probabilmente. Dissonante dalla tua, mi pare di capire. Il non farsi riconoscere è interessante. Perché? Tu che risposta hai dato a questa domanda? Chi era? Chi era lui? Oltre a quello che immaginavi, sognavi, desideravi? Tutto questo mi porta a intravedere una tua visionarietà, un bisogno d’assoluto estetico/estatico che s’apre a infiniti mondi possibili ma che poi scivolano come sabbia fine tra le dita”.
L’uomo che sapeva leggere il futuro aveva il dono di anticipare il pensiero altrui. Così aveva fatto anche lui, svelando cosa sarebbe accaduto diciassette anni dopo. Nelle sue lettere c’era scritto il finale di quella storia dove solo i numeri sapevano spiegare il significato arcano e misterioso. Numeri sparsi ovunque, nascosti tra le pieghe delle sue premonizioni in grado di condurre alla soluzione del rebus.
Uno in particolare, il diciassette seminato tra le apparenti innocue frasi, come quella che lasciava presagire: “Un mondo fatato, comune a entrambi. Forse la tua malinconia che sento molto, è la malinconia per quel mondo fatato dove lui non c’era ma c’è. Trascorreranno diciassette anni dal vostro primo incontro, prima di potervi riconoscere. Avrete molto tempo per seguire ognuno le proprie ambizioni. Tu cerchi sempre, non una risposta, ma una contemplazione del Nulla che fai emergere dal profondo dei mari per darle vita con le immagini del cuore. Quel ragazzo tu lo porti come un’immagine preziosa e la conservi con cura. Non spegnerla mai. Lui saprà rivelarsi al momento giusto, nel momento in cui le vostre strade s’incroceranno di nuovo. Gli andrai incontro e ti sorriderà. Allora saprai che è arrivato il momento per chiedergli il suo nome”.
To be continued…
Il capitolo precedente per chi se lo fosse perso:
venerdì, 7 ottobre 2022 (il romanzo breve è stato pubblicato in originale il 16 giugno 2015 su Rumorscena).
In copertina: Foto di Artemtation da Pixabay.