Cosa hanno fatto le università per risolvere il problema del sovraffollamento?
di Francesca Camponero
Il 5 ottobre 2018 il Corriere della Romagna denunciava la situazione delle aule universitarie a Forlì: “Aule troppo piccole per il numero di studenti che deve fare lezione, e come conseguenza, gli universitari iscritti a Scienze internazionali e diplomatiche del Campus di Forlì sono costretti a sedersi sui pavimenti o a seguire le spiegazioni dei docenti in videoconferenza. Un problema denunciato dall’Unione degli universitari e riconosciuto anche dalla docente di Economia Internazionale, Cecilia Vergari che tiene il corso che più di tutti ha avvertito il problema di organizzazione delle aule”. In quel caso, in tempi ancora lontani dalla DAD necessaria a causa del Covid, si era ricorsi alle video conferenze. Ma da una ricerca più approfondita, l’Udu aveva fatto notare che la mancanza di cooperazione e organizzazione risultava ancora più evidente, rivelando aule più capienti nelle quali venivano fatte lezioni con meno studenti, mentre l’aula collegata in videoconferenza per il corso di Economia Internazionale risultava comunque inadeguata poiché, oltre a impedire la corretta fruizione di una lezione frontale, aveva una capienza di soli venti posti. Da qui le rimostranze degli universitari forlivesi: “Lottare per riuscire a trovare posto in un’aula gremita e sperare di non dover tornare a casa”, dissero in quella situazione: “è una violazione al diritto allo studio che non può restare silente”.
Lo stesso accadeva a Bari. Il quotidiano online Baritoday, infatti, il 9 ottobre dello stesso anno con l’articolo intitolato: “Costretti a fare lezione in piedi” denunciava che le aule del capoluogo pugliese erano troppo piccole rispetto al numero di iscritti, che vi era una ressa alle lezioni oltre al sovrapporsi degli orari dei corsi. La denuncia arrivava soprattutto dall’ex facoltà di Lingue. “Le aule sono troppo piccole per contenere il numero degli studenti iscritti: soprattutto coloro che frequentano il primo e il secondo anno spesso seguono gli stessi corsi e le stesse annualità dei corsi di lingua, per i quali la frequenza quest’anno è obbligatoria. Stiamo parlando di aule dai 70 ai 90 posti assegnate a corsi che prevedono la frequenza di 300 persone in media”, affermava Francesco Paparella, studente e rappresentante di Link Lingue Bari. E aggiungeva: “C’è chi è costretto a seguire le lezioni in piedi, oppure seduto sul pavimento, mentre chi non riesce ad entrare nelle aule si affolla nei corridoi o lungo le scale, bloccando anche i passaggi. Una situazione insostenibile”. Rossella Falco, rappresentante degli studenti nel Consiglio di Dipartimento Le.Li.A. per la lista Link dichiarò: “Crediamo che questo sia un grave annullamento del diritto allo studio, difatti l’impedimento – sia fisico che organizzativo – della libera frequenza è dettato quasi esclusivamente dalla mancanza di spazi adeguati e capienti: stiamo infatti organizzando un’assemblea studentesca in cui discuteremo e scriveremo con gli studenti un rapporto sulla situazione del palazzo affinché si trovi una soluzione per garantire appieno il diritto alla frequenza e allo studio”.
Poi è arrivato il Covid e l’utilizzo della DAD ha dato un fermo alla situazione aule. I problemi erano diventati altri. Le aule universitarie del nostro Paese si sono dovute dotare di schermi video per le lezioni a distanza. Tutti si collegavano via Teams e per quasi due anni si è andati avanti così. Quando, a primavera 2022, si è potuto tornare in classe certamente non esisteva il problema affluenza in quanto o eri provvisto di green pass o non entravi, e poi c’era il numero circoscritto di posti disponibili. Il nuovo anno accademico 2022-23 ha riaperto il problema.
All’Università di Genova – precisamente nelle sedi del Dipartimenti della Scuola di Scienze Umanistiche, il DIRAAS e il DAFIST, le cui lezioni si svolgono nelle aule di due palazzi storici, quali quelli di via Balbi 2 (Palazzo Balbi Cattaneo) e 4 (Palazzo Balbi-Senarega) – la situazione è drammatica. Nessuno dei due palazzi ha aule adeguate per sostenere il numero degli iscritti frequentanti di questo anno accademico. Corsi come quello di Filologia Romanza, che si svolge nell’aula N di Balbi 4 e, peggio ancora, quello di Antropologia Teatrale in aula 7 di Balbi 2, costringono un gran numero di studenti a sedere per terra in fondo ad aule già piccole con poca areazione e che, nel caso si verificasse un pericolo immediato, presentano una grave situazione per le vie di fuga.
Nella mia attuale veste di studentessa ho già presentato il problema al Preside della Scuola di Scienze umanistiche, Professor Raffaele Mellace, facendo anche presente che la nostra città è provvista di molte nuove sedi (Darsena, Albergo dei Poveri, eccetera) in in cui, con la giusta ed efficace pianificazione, si potrebbero trasferire alcuni dei corsi di lettere. Oggi ho ricevuto questa risposta:
“La situazione delle aule nel nostro Ateneo, come in molti altri atenei pubblici, non è rosea. Lei mi cita aule all’Albergo dei Poveri o alla Darsena. È vero, ci sono, ma sono occupate da altre lezioni. Posso assicurarle, perché l’ho seguito personalmente, che sin dal mese di maggio gli uffici dei Dipartimenti e della Scuola hanno lavorato assiduamente di concerto con il prorettore alla formazione e con gli altri dipartimenti e scuole per trovare una soluzione a un problema di grave di mancanza di spazi, anche prendendo in affitto una grande aula al di fuori degli spazi UniGe. L’orario che è stato congegnato non è la soluzione ideale ma un compromesso che si avvicina il più possibile alle esigenze della Scuola. Mi creda: potrà in alcuni casi sembrare frutto di errori o approssimazione; al contrario, c’è dietro un lavoro enorme, di mesi e di tante persone, che nella maggior parte dei casi ha portato a soluzioni più che accettabili, senza però evidentemente riuscire ad annullare del tutto le criticità. Ciò detto, mi permetto di aggiungere due osservazioni. La prima è che quando ho frequentato io l’università, in Statale a Milano tra gli anni Ottanta e Novanta, eravamo regolarmente seduti per terra. Mi dirà, allora non c’era il Covid. È vero, ed è vero che la sensibilità per le tematiche della salute è cresciuta; purtroppo però le strutture a disposizione delle università pubbliche sono rimaste quelle. È chiaro che i 10.000 euro di retta della Bocconi consentono altre strategie e disponibilità. Io non mi auguro però che l’università pubblica italiana prenda la strada dell’università statunitense, che può frequentare solo chi se lo può permettere. In secondo luogo, e qui credo tutti potranno convenire: per esperienza pluridecennale, gli studenti frequentano in massa le primissime settimane: già dalla seconda metà di ottobre i numeri sono altri e a quel punto anche le aule più affollate saranno ridimensionate nell’affollamento. Mi spiace: so che avrebbe desiderato una risposta diversa, ma non ho gli strumenti per prometterle che tutto si potrà risolvere a breve. Certo, una politica edilizia a lungo termine potrebbe aiutare, e noi stiamo facendo del nostro meglio per rendere l’università accogliente (veda la ristrutturazione e riarredamento dell’Aula M), ma credo che la questione sia quella che ponevo prima: con la disponibilità economica attuale, questo è il massimo che si può offrire, e francamente, se posso esprimere un parere da cittadino, mi sembra più che decoroso e molto inclusivo. Sempre consapevoli che non viviamo nel migliore dei mondi possibili”.
Personalmente non penso si possano paragonare gli anni 80 a oggi, in cui peraltro io, frequentatrice della Facoltà di Giurisprudenza in via Balbi 5, non ricordo di essermi mai seduta per terra. Ma soprattutto come lo stesso Preside Mellace evidenzia “allora non c’era il Covid e la sensibilità per le tematiche della salute” non era quella di oggi. Oggi il Covid c’è, in agguato, e la sensibilità per le tematiche della salute si pone al primo posto nell’attenzione di genitori e studenti. In più è totalmente sbagliato puntare sul fatto che a breve le affluenze alle aule si ridurranno. Si sono mai chiesti docenti, amministrativi e burocrati vari il perché di questo fenomeno? I professori dovrebbero essere i primi a battersi per le migliorìe all’interno dell’Università. Come asserì quattro anni fa Rossella Falco di Link Bari il diritto alla studio, che trova il suo fondamento negli articoli 33 e 34 della Costituzione, va difeso e tutelato sempre in ogni sua forma. E dal canto mio lo farò con grande determinazione – anche tenendovi informati su IntheNet.
venerdì, 30 settembre 2022
In copertina: L’affollamento nelle aule universitarie (foto gentilmente fornita dall’autrice del pezzo).