Autour du corps / Opposti flussi
di Simona Maria Frigerio
L’ultima serata di OV edizione 2022 inizia nel Giardino di San Girolamo che accoglie in un clima raccolto – come si addice a un convento – le danzatrici di Autour du corps. La coreografia di Tiziana Arnaboldi parte da un oggetto, ispirato a un modello della Bauhaus, che diventa la gonna – fatta di una sovrapposizione di cerchi concentrici di legno – che le danzatrici prima ‘costruiscono’ e poi indossano. Le sollecitazioni visive che seguono rimandano ovviamente al moto dei pianeti, con una ieraticità specchio forse del ‘silenzio delle galassie’, ma anche al peso dell’esistenza (di cui si caricano solo le donne?). I capelli usati in maniera ‘drammatica’ fanno involontariamente pensare a Ju-on (il film horror di Takashi Shimizu) mentre si avverte, anche nel tableau vivent finale, più il côté estetizzante che non una rigorosa matrice estetica. La sensazione è di restare in superficie perché i corpi non hanno saputo scavare in profondità.
Ultimo spettacolo della tre giorni, Opposti flussi – di e con Marco Baliani. Erano molti anni che non applaudivamo Baliani, dal 2011 per l’esattezza, quando rappresentò a Milano Terra promessa. Briganti e migranti (1).
L’inizio di questo nuovo lavoro funziona. Vi sono una storia e la sua ricerca. Vi è la metateatralità: un attore che ragiona sul suo fare e sulla differenza tra la parola scritta – immutabile – e quella orale, ossia in grado di ingigantire le avventure, cambiare i finali, trasformare le credenze popolari in dei onnipotenti che, di bocca in bocca, assurgono a vette di sublimazione (o abissi di abiezione) inimmaginabili – nell’Olimpo, stupri e assassinii, capricci nevrotici e vendette truculente sappiamo, del resto, che abbondavano (sic!). Il passaggio successivo di Baliani è proprio questo: da una storia, quella di Santa Sofia, un po’ balcanica, un po’ alla Kusturica, si passa alla esegesi dei miti greci per arrivare al primo libro che, con la parola immutabile, provocò la fine di quegli stessi dei in quanto non più in grado di aumentare il proprio potere e di mutare le proprie sembianze – cosa che l’oralità garantirebbe a qualsiasi personaggio di un racconto. Ma qui sorge il primo dubbio sul ragionamento, ovvero non si comprende come abbiano fatto le tre grandi religioni monoteiste, proprio grazie ai libri, a diventare ciò che sono oggi. Jehovah, Dio e Allah: ognuno logos/padre/maschio unico, onnipotente, onniveggente, che domina dall’alto e che in tutta la sua verità e assolutezza deve contendersi le nostre anime con gli altri due (e qualche coacervo panteista che continua a mietere successo).
Dopo forse quaranta minuti, ecco quindi che il discorso di Baliani si inceppa e l’attore prende a divagare, come un griot ‘impazzito’ che mischia le storie adatte alla madre in attesa con quelle per il giovane che deve essere iniziato alla vita. E usiamo il paragone del griot perché citato dallo stesso interprete. Il narratore perde il filo, così come lo spettatore: non vi è consequenzialità. Sembra quasi di essere al bar dove l’amico, forse un po’ alticcio per la bella serata, comincia a raccontarti di quando aveva vent’anni e poi passa al nonno, ai vostri giochi al Giambellino quando eravate bambini, al lavoro che lo esaspera e al vicino di casa che tosa l’erba tutte le sere mentre lui cena, e poi ai suoi rapporti col prete e col partito fino a sentenziare che tutto va a rotoli e nessuno lo capisce!
Gli opposti flussi (quali sarebbero gli opposti di questi pensieri in libertà?) si disperdono in una marea di storie slegate tra loro, in una marea di parole che si fatica a seguire. Lo spettacolo comincia a girare a vuoto. Dopo un’ora dalla regia fanno segno di tagliare (è Baliani stesso a riferirlo al pubblico) e lui risponde che questo sarebbe solo il prologo.
Il prologo di cosa? Verrebbe da rispondere: di una specie di comizio tra il green à la Greta e il red annacquato del PD – che sta dividendo nuovamente la popolazione tra i ‘rossi’: filo-europeisti, filo-scientifici (o filo-Big Pharma?), filo-ucraini, eccetera, e i ‘neri’: ossia tutti gli altri (da quelli che hanno dubbi sul green pass, visto che anche i vaccinati si contagiano e contagiano, a quelli che sanno benissimo che in tutto questo ragionamento con l’elmetto in testa, l’Europa esclude dalla discussione il volere del popolo del Donbass). A questo punto ci si domanda se si sia di fronte a un palco, un pulpito o un podio.
Gli inserti politici non sono parte di un testo di teatro di narrazione (come fu il caso de Il racconto del Vajont di Paolini e Vacis o La nave fantasma di Giovanni Maria Bellu, Renato Sarti e Bebo Storti). Qui si sciorinano racconti random inframmezzati da cosiddette verità che dovrebbero – secondo l’interprete – essere assolute (come quelle proprie della fede – politica o religiosa che sia). “Gli americani sono gli unici ad aver sganciato due bombe atomiche”. Vero. Peccato siano stati gli statunitensi. La sineddoche è insopportabile: dai canadesi ai latino-americani, è ora di dare agli US solamente ciò che spetta agli US.
Precisiamo: non faremo qui una disamina puntigliosa del contenuto ma, dato che il contenitore non è più teatro, siamo costretti a riferire del contenuto. Non tutto, però, per non ammorbare il lettore. Ancora solo tre passaggi, tra i molti, giusto quali esempi.
Baliani ricorda, a un certo punto, l’Olocausto con i milioni di morti ebrei, uccisi dai nazisti. E pure, come mai non parla anche dell’ultima Operazione (termine che contestiamo solo quando è usato dai russi), denominata Breaking Dawn, portata avanti dallo Stato di Israele, in cui sono morti in soli due giorni ben 41 palestinesi (tra i quali cinque minori, uccisi in un raid aereo su un cimitero) e ne sono stati feriti oltre 300? Come i nostri predecessori non ebbero il coraggio di opporsi ai fascisti e ai nazisti quando rastrellavano gli ebrei – ma anche i rom, i comunisti e gli omosessuali (non dimentichiamolo) – oggi rimaniamo silenti di fronte al lager a cielo aperto della Striscia di Gaza e continuiamo a rivangare un passato sul quale tutto è stato detto ma nulla può essere cambiato.
Baliani affronta anche il tema dell’atomica (come abbiamo già scritto) e cita Hiroshima e Nagasaki ma anche gli incidenti nelle centrali nucleari civili, quali Chernobyl e Fukushima (mentre l’Europa sdogana come energia verde proprio quella nucleare). Eppure tace sui reiterati bombardamenti a opera di Kiev (perché chi altri potrebbe colpirla? Se i russi la controllano, non avrebbe senso che si auto-bombardino) sulla centrale di Zaporižžja che, se si innescasse una reazione a catena, la stessa ‘risolverebbe’ il problema ucraino ed europeo in un batter d’occhio: annientando l’intera popolazione del Donbass. E finiamo con la solita retorica anti-russa, che accusa Putin di aver invaso l’Ucraina per fini di potere e/o espansione territoriale. Dopo che la Nato ha circondato per intero la Russia espandendosi, lei sì, oltre gli accordi presi e il popolo del Donbass per otto anni è stato abbandonato alle violenze e alla guerra impari contro il regime di Kiev, dovremmo avere almeno il coraggio di aprire le nostre orecchie (e il nostro cuore) alle testimonianze degli abitanti di Mariupol o di Donetsk (bombardati tutti i giorni dagli ucraini) prima di affermare che sono stati ‘occupati’: forse l’attore in scena e lo spettatore in platea scoprirebbero che ‘loro’ si sentono ‘liberati’ dai russi.
Tacciamo del tutto sui cinque minuti di bis (o pseudo-tale, non abbiamo compreso) in cui Baliani ha espresso le sue opinioni green. Voleva forse aprire un dibattito post-spettacolo come negli anni 70? Nel caso avrebbe dovuto comunicarlo e permettere agli spettatori di intervenire.
(1) https://teatro.persinsala.it/terra-promessa/3705/amp/
Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Orizzonti Verticali 2022:
Horti conclusi – Visioni prospettiche
San Gimignano, varie location
sabato 27 agosto, ore 19.30
Giardino di San Girolamo
Compagnia Tiziana Arnaboldi presenta:
Autour du corps
coreografia Tiziana Arnaboldi
con Eleonora Chiocchini e Françoise Parlanti
ore 20.30
Rocca di Montestaffoli
Opposti flussi
di e con Marco Baliani
venerdì, 9 settembre 2022
In copertina: Marco Baliani in una foto di Marco Parollo (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa di OV).