Cosa prescrive il Trattato di Londra
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
In questi giorni è scoppiato il caso di Julia Bravo, la soldatessa statunitense di stanza presso la base USAF di Aviano che, con un tasso alcolemico di 2,09 grammi per litro – ossia quadruplo rispetto al limite di legge – a bordo della sua Volkswagen Polo ha ucciso il quindicenne Giovanni Zanier. Ancora una volta – come accade in molti Paesi dove si ospitino basi Nato – ci si appella al Trattato di Londra del 1951, ratificato nel nostro Paese nel ʻ55, affinché l’accusata sia giudicata non in Italia ma negli States, godendo magari della medesima impunità che ha caratterizzato troppi casi di militari statunitensi i quali, dopo aver commesso crimini all’estero, invece di essere puniti con la severità sbandierata nei crime statunitensi, escono sorridenti dalle aule processuali.
Abbiamo voluto, quindi, verificare cosa prescriva questo lasciapassare per l’impunità e, nella pagina online del nostro Parlamento che lo descrive (1), abbiamo letto quanto segue: “In esso vengono disciplinati, fra l’altro, alcuni aspetti fondamentali dei rapporti fra Stati alleati come la ripartizione della giurisdizione fra Stato territoriale e Stato di appartenenza dei componenti di forze armate alleate che si rendano autori di reati. In proposito, si prevede, sulla base di una norma internazionale di carattere consuetudinario, l’esenzione dalla giurisdizione dello Stato territoriale per reati realizzati nello svolgimento di mansioni ufficiali”.
Interessante che si citi una norma consuetudinaria – ma dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi si è provveduto sempre più a promuovere il processo di codificazione grazie alle norme del Diritto internazionale – e che l’esenzione si applichi solo nel caso che i militari stiano svolgendo le ‘proprie mansioni ufficiali’.
A questo punto abbiamo recuperato il Trattato in originale e in italiano (che vi alleghiamo in toto: 2) e siamo rimasti ancor più sorpresi dal suo contenuto.
Citeremo solo un paio di passaggi, rimandando il lettore al documento originale.
All’Articolo VII / 3 / a) si fa riferimento ai reati per i quali potrebbero agire giudizialmente sia lo Stato d’origine sia quello di soggiorno. Ivi si afferma che: “le autorità militari dello Stato d’origine avranno il diritto di priorità nell’esercizio della giurisdizione su un membro di una Forza o di un elemento civile per quanto si riferisce:
I) ai reati rivolti unicamente contro la proprietà o la sicurezza di detto Stato, od ai reati rivolti unicamente contro la persona o la proprietà di un membro della Forza o di un elemento civile di detto Stato o di persona a carico;
II) ai reati derivanti da qualsiasi atto od omissione verificatisi nell’esercizio di mansioni ufficiali”.
Mentre, all’articolo VII / 3 / b), si precisa che:
“Nel caso di qualsiasi altro reato le autorità dello Stato di soggiorno avranno il diritto di priorità nell’esercizio della giurisdizione”.
Spetta quindi allo Stato che ha il diritto di priorità (ossia quello di soggiorno, il nostro Paese) rinunciare a tale diritto di procedere giudizialmente contro un indiziato di un reato verificatosi sul nostro suolo (come è più volte accaduto in Italia).
Ora, se per il Cermis si poteva invocare il Trattato di Londra in quanto i militari stavano indubbiamente esercitando le loro mansioni, non si comprende come vi si possa appellare chicchessia quando si tratti di un militare in libera uscita che si ubriaca in un bar e poi, da solo o in gruppo, stupra una ragazza o quando una soldatessa ubriaca, al volante della propria autovettura, investe un quindicenne e lo uccide. A meno che non sia legale per i militari statunitensi esercitare le proprie ‘mansioni ufficiali’ da ubriachi.
È ora che i magistrati e il Ministro della Giustizia spieghino agli italiani quali accordi siano stati realmente firmati dall’Italia (e magari secretati) che li ‘obbligano’ a rinunciare al diritto di priorità permettendo così l’eventuale impunità dei militari statunitensi.
(1) https://leg16.camera.it/561?appro=327
(2)
Venerdì, 2 settembre 2022
In copertina: Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay.