Arte targata Costa d’Avorio: da Venezia a Pisa passando da Pietrasanta
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Se i migranti sono continuamente oggetto di strali ingiustificati da parte di politici miopi e mass media che mirano alla pancia invece che al cervello degli italiani, l’Africa trova finalmente un altro palcoscenico per far parlare di sé grazie all’arte. Quest’anno alla Biennale di Venezia è stata rappresentata da nove padiglioni nazionali – per la maggior parte sparsi per la città lagunare, ma con la presenza del Sudafrica e del Ghana all’Arsenale, mentre l’Egitto è ospitato nei Giardini.
Tra i Paesi che si sono affacciati a Venezia per la prima volta, Namibia, Camerun e Uganda, mentre ai Magazzini del sale ecco spuntare il padiglione della Costa d’Avorio che, curiosamente, accanto a esponenti dell’arte ivoriana, vede le opere di Aaron Demetz – scultore della Val Gardena (di cui ci siamo già occupati in precedenza: https://www.inthenet.eu/2018/06/08/le-opere-di-aron-demetz-dialogano-con-i-classici-del-museo-archeologico-di-napoli/). I curatori Alessandro Romanini e Massimo Scaringella descrivono così la scelta tematica che sottende all’esposizione: “L’arte non è altro che il vero incrocio tra sogno e storia. Tra il soggetto che agisce, che crea e che diventa autore e la sua opera, che diventa parte di un patrimonio comune”.
Tra gli artisti ivoriani esposti a Venezia, cinque sono giunti a giugno anche a Pietrasanta, grazie alla collettiva Once upon a time in West Africa, sempre a cura di Alessandro Romanini. Dalla scultura alla pittura fino alla fotografia, riflettori accesi sulle opere dello scomparso Frédéric Bruly Bouabré (celebre il suo Une divine peinture relevée sur le corps d’une mandarine jaunie); Abdoulaye Diarrassouba, ovvero Aboudia, che vive tra NYC e la madrepatria ed è stato sicuramente influenzato da Basquiat; Armand Boua, che sgraffita i suoi dipinti su cartone con risultati anni Settanta; Yéanzi, che trasforma in oggetti esteticamente interessanti gli scarti della nostra società consumistica; e la giovane artista femminista Laetitia Ky, che sceglie di realizzare le proprie opere con i suoi capelli e che ha già attirato l’attenzione del pubblico e della critica lagunari.
Accanto a loro, e dal 12 agosto in una personale intitolata I figli dell’uomo, presso la Chiesa di Santa Maria della Spina, a Pisa, lo scultore Brice Esso. La piccola esposizione, a cura di Annalisa Bugliani e Alessandro Romanini, ci presenta un giovane artista ivoriano che dialoga con la statuaria e la tradizione marmorea italiane. I suoi volti al confine tra una certa iconografia buddica e i putti barocchi si insediano perfettamente, a livello materico, nella chiesetta gotica in marmo policromo. Pulizia e levigatezza delle forme si specchiano, mentre forte è la suggestione di trovarsi di fronte a due idee di mondo e civiltà che possono dialogare e integrarsi. Esso ha scelto di coniugare una certa vena michelangiolesca con la pratica africana di creare teste di bambino, invece che come ninnoli in terracotta, a grandi dimensioni e in marmo.
Recentemente l’artista, che ha studiato anche negli States e ovviamente a Carrara, ha inaugurato, Studio 08, ad Abidjan, un laboratorio di creatività dove spera di concentrare le energie artistiche internazionali unite alla maestria artigianale locale. Dalla laguna Ébrié alla sponda sinistra dell’Arno: migrare per incontrarsi e riconoscersi non è solo un diritto dei gabbiani.
La mostra continua:
Brice Esso
Les enfants de l’homme
a cura di Annalisa Bugliani e Alessandro Romanini
Chiesa di Santa Maria della Spina
Lungarno Gambacorti – Pisa
fino a domenica 16 ottobre 2022
orari: dalle ore 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.00
venerdì, 2 settembre 2022
In copertina: Un’opera di Brice Esso di fronte a Santa Maria della Spina (foto di Luciano Uggè); nel pezzo, tre immagini fornite dall’organizzazione.