Una pratica ecologica che va perdendosi
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
Negli anni 70 – nonostante molti benpensanti etichettassero chi la praticava come ʻzingariʼ – si diffuse lʼuso della tenda, prima libero sulle spiagge e nei boschi, da ʻfigli dei fioriʼ alla ricerca di cieli bui ancora stellati e, poi, in camping via via sempre più attrazzati che, nel corso dei decenni, si sono trasformati in villaggi (o addirittura resort) turistici, forniti di minimarket (per ʻpelareʼ gli ospiti), bar e ristoranti (spesso con la qualità della pensione o della bocciofila di quartiere), e l’onnipresente animazione eternamente anni 80, con pseudo dj da radio private, tornei da spiaggia e karaoke. La deriva ha poi portato il tendista verso la roulotte, quindi il camper con tendalino sempre più attrezzato e autosufficiente e, infine, al bungalow in legno, in prima battuta, e in muratura, come meta finale – soffocante, deturpante, antiestetico, pugno in un occhio in quelle macchie mediterranee terrazzate che, ventʼanni fa, contraddistinguevano ancora le nostre coste più belle, intervallate solamente dai colori delle tende – casette, canadesi e igloo – che non lasciavano impronta del loro passaggio.
In tempi in cui pare centrale il tema dellʼambiente – soprattutto mentre si torna al carbone o si opta per il gas di scisto solo in funzione anti-russa o si impongono vetture elettriche senza pensare a che fine fanno le batterie al litio o con cosa produciamo lʼelettricità (ricomprendendo tra le energie pulite quella nucleare) – ripensare le forme in cui occupiamo il territorio mentre siamo in vacanza ha un suo perché.
Un bungalow e la seconda casa al mare sono forme altamente inquinanti, erosione di territorio, spreco economico – avere due case quando parte dellʼumanità non ne ha una, equivale ad acquistare 300 milioni di dosi di vaccino per una popolazione di 60 milioni (ed eligibile, in numero inferiore) mentre interi Paesi non ne ricevono nemmeno quella percentuale indispensabile per le persone che, per patologia o età, ne avrebbero effettivamente bisogno.
Ma cʼè molto di più. La scelta della tenda è radicata nellʼinconscio collettivo. La tenda è stato uno dei primi rifugi dellʼessere umano e continua a esserlo per popolazioni nomadi o che vivono secondo modelli non post-industriali sia nel nord sia nel sud del mondo – dalle tribù dei deserti a quelle dei nativi americani.
La tenda partecipa di una filosofia e pratica di vita che, non solamente permette di sperimentarsi a più diretto contatto con la natura, intesa come vegetazione ma anche come animali, adeguandosi a suoni, rumori e compartecipazione di spazi a cui non siamo più abituati – dal gracidare di una rana quando si vorrebbe addormentarsi al canto degli uccellini appena sorge il sole fino al parossismo delle cicale che sembrano voler mettere a dura prova i nostri nervi, ma pensiamo anche alla salvagiardia del cibo da formiche e vespe o alla pulizia e alla cura di quel fazzoletto di tenda in cui dormiamo e che va mantenuto integro se vogliamo protegggerci dalle intemperie. Vivere in tenda significa, quindi, imparare ad adattarsi e comprendere di non essere soli, né tanto meno padroni, in questo mondo.
Ma la tenda insegna anche un modo più naturale di viversi il tempo. In effetti non solamente ci viene precluso il controllo della luce e, di conseguenza, i ritmi di sonno e veglia, ma ogni azione torna ad occupare un proprio tempo specifico. La mancanza di lavatrice e lavastoviglie implica che le mansioni demandate alle macchine tornano tra i nostri compiti ma, soprattutto, il tempo per fare la spola tra tenda e bagni ci impone di dedicare a ogni atto della nostra giornata, anche il più minuto, lʼattenzione e la cura che necessita ridando il giusto valore anche a quellʼatto. Nella nostra vita scompare il domani e lʼoggi assume lʼimportanza della somma di ciascun gesto nello spazio, mentre la mente si svuota del desiderio e su quel gesto deve tornare a concentrarsi – nel qui e ora.
Spendiamo tempo e soldi in pratiche pseudo-buddhiste o discipline di cui capiamo poco o nulla – dal butho alla danza, dalla meditazione alle sedute di psicoterapia per guarire dalle nostre insoddisfazioni di occidentali ricchi. La tenda può essere una scelta eco-friendly con ricadute positive anche sulla nostra psiche o, almeno, sulla nostra coscienza dello spreco e della necessità.
venerdì, 12 agosto 2022
In copertina: Foto di Pexels da Pixabay.