Fake e fatti al tempo del pensiero unico
di Simona Maria Frigerio
“Inutile piangere sul latte versato”, recitava un proverbio. Ma la saggezza antica sembra essersi persa nella frenesia dell’elmetto sostenuta da una campagna di costante disinformazione che, non venissimo da due anni di pensiero unico pandemico, ci lascerebbe basiti.
E allora operiamo come i cosiddetti fact checker ma non “per portare acqua al nostro mulino” (altra massima pertinente) bensì per raccontare qualche retroscena che, se non rivelato, non permetterà al lettore medio di avere le informazioni necessarie a farsi un’idea precisa di ciò che accade – e non solamente in Ucraina. Altrimenti ‘detto’: ascoltiamo anche l’altra campana.
Da alcune settimane, nonostante i Paesi a minor reddito rischino la crisi alimentare (anche per le conseguenze del cambiamento climatico), il Ministero degli Esteri russo segnala che le autorità di Kiev posizionano l’artiglieria in granai e similari. Segnalazioni in tal senso sono giunte ad esempio da Kalinovka, dove tale pratica sarebbe stata usata per provocare la risposta dell’esercito russo così da accusarlo della distruzione delle granaglie. Inoltre, l’esercito ucraino è stato indicato come responsabile per aver dato alle fiamme i raccolti in diversi campi situati nelle regioni di Zaporozhye, Nikolaev, Kharkov e Kherson.
Allo stesso modo, non ha senso puntare il dito contro l’esercito russo per l’uccisione di civili quando da mesi l’Onu è costantemente informato della pratica di Kiev di posizionare artiglieria pesante su scuole, ospedali e abitazioni – mentre si impedisce agli abitanti di evacuarli e, di fatto, li si utilizza come scudi umani. Tra le tante segnalazioni del mese di luglio, la presenza dei militari nazionalisti nella Scuola No 8 a Kharkov (Saltovskoye Highway), e nella Scuola No 6 di Pavlograd (Heroes of Ukraine Street), che ospiterebbe altresì un deposito di munizioni nei propri sotterranei; e ancora, i nazionalisti ucraini avrebbero trasformato alcuni palazzi in postazioni militari, contenenti anche depositi di munizioni a Dobropol’e (Solnechnyi Quarter Street), impedendo ai residenti di allontanarsi dai loro appartamenti occupati; e nella Regione di Odessa, a Berezovka, persino il Politecnico e il liceo agrario (Pobedy Street) ospiterebbero militari nazionalisti, mentre l’artiglieria e i veicoli blindati sarebbero posizionati nelle vicinanze. Queste e altre evidenze sono quasi giornalmente portate all’attenzione delle Nazioni Unite, dell’Oms e del Comitato Internazionale della Croce Rossa dai portavoce russi affinché Kiev non possa più usare “le infrastrutture civili e mediche per scopi militari”.
Eppure queste denunce non sono riportate né smentite dai media occidentali, che hanno compreso come il silenzio sia la migliore forma di censura.
La Russia avrebbe anche chiesto alle Nazioni Unite e alla Croce Rossa Internazionale di verificare personalmente il fatto che l’esercito ucraino avrebbe colpito con lanciarazzi multipli leggeri (Himars Mlrs), di fabbricazione statunitense, il centro detentivo vicino a Elenovka, dove sono detenuti militari di Kiev – ivi inclusi della Azov. Se ciò fosse provato, farebbe ancora più orrore pensare che mentre 50 militari nazionalisti venivano uccisi dal fuoco ‘amico’ (e 73 gravemente feriti), il Presidente Zelensky trovava il tempo per un servizio patinato su Vogue e ancora più specie che, durante un conflitto armato, i colleghi della stampa pensino che sia normale proporre servizi di moda invece di reportage dal campo di battaglia. Ma, ovviamente, che siano i lettori a discernere cos’è informazione e cosa propaganda. Per fortuna che esistono ancora colleghi seri come quelli de L’Antidiplomatico, a cui vi rimandiamo per i video relativi alla distruzione del centro detentivo e ai resti dei razzi esplosi:
https://t.me/lantidiplomatico/19455
https://t.me/lantidiplomatico/19451
Nel frattempo l’ufficio stampa del Dipartimento di Stato a Stelle e Strisce ha affermato che la Russia sta subendo un “isolamento dal resto del mondo a livello economico, politico, culturale e diplomatico” (e chissà perché tale isolamento non lo hanno mai subito gli Us e la Nato). E però tale affermazione perentoria ci pare strana quando leggiamo che il Presidente Vladimir Putin (che i nostri media danno, tra l’altro, continuamente per moribondo) il 19 luglio, in Iran, durante un incontro trilaterale, si è trovato a discutere con il Presidente iraniano, Sayyid Ebrahim Raisi, e quello turco, Recep Tayyip Erdogan, del futuro (si spera di pace e stabilità) della Siria. La presenza degli Us (che, come sappiamo, hanno avuto un ruolo nell’area durante la guerra e sono tuttora presenti) non ci è pervenuta.
Tra le news di luglio, riportate dai media sia russi sia occidentali, anche le affermazioni del Presidente ucraino Zelensky che si siederà al tavolo delle trattative con la Russia solo dopo averla sconfitta in battaglia. In tutti questi discorsi mai un accenno agli indipendentisti del Donbass che, forse, si sentono più liberati che conquistati (o almeno questa è la sensazione che riportano alcuni giornalisti indipendenti, perseguitati in patria perché danno tale genere di informazioni, come il britannico Graham Phillips o la tedesca Alina Lipp). Se, però, fosse vero che “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” (siamo in vena di massime, oggi), i trionfali successi sul campo di Kiev non devono essere così rincuoranti se il Presidente Zelensky esautora Ivan Bakanov (ex agente segreto e, fino al 17 luglio scorso, direttore del Servizio di sicurezza dell’Ucraina) per «mancato svolgimento dei compiti di servizio» e, poi, rimuove anche Iryna Venediktova dalla carica di procuratore generale. Sarebbero 651 i procedimenti penali per alto tradimento e attività di collaborazione aperti fino al 20 luglio scorso contro dipendenti delle procure e di altri organi dello Stato, nella democratica Ucraina che difendiamo con le armi e con i denti (o con i soldi?).
Ma per continuare ad aiutare militarmente (e non solo) i nazionalisti ucraini contro gli indipendentisti filo-russi, o gli States contro la Russia (a piacimento), l’Europa deve racimolare oboli in ogni dove. E così le borse hanno immediatamente bacchettato il Primo Ministro spagnolo, Pedro Sanchez, quando ha annunciato verso metà luglio di voler introdurre una nuova tassa (per due anni) a carico delle società elettriche e delle banche, che dovrebbe generare entrate per 7 miliardi di euro – in modo da aiutare le famiglie a far fronte a una crisi inflattiva dovuta alla scelta europea di entrare in guerra e statunitense di immettere trilioni di dollari nel sistema per il solo acquisto di beni e in un momento di riduzione della produzione (ossia durante il periodo pandemico). Nessuno in Europa e tanto meno Sanchez (o Draghi) paia voglia fare un’analisi seria della situazione e del perché siamo giunti alle soglie della stagflazione. E nessuno in Occidente si perita di discutere di una riforma che implichi la tassazione sulle transazioni speculative. Quella FTT di cui noi scriviamo da oltre due anni (https://www.inthenet.eu/2020/04/04/il-virus-e-la-cura-passano-da-wall-street/) e che resta tabù. Ennesimo caso di non informazione che si fa disinformazione impedendo agli europei di capire il presente e scegliere il loro futuro. Ma questa volta il gattopardismo del «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» potrebbe non funzionare.
Venerdì, 5 agosto 2022
In copertina: Foto di Ted Erski da Pixabay.