Non ci sono limiti al lavoro di Rocío Molina, presentato alla Biennale Danza 2022
di Francesca Camponero
Quando la Biennale nacque con una delibera dell’Amministrazione comunale era il 19 aprile del 1893. Si trattava di un organismo pubblico locale, avente come finalità la realizzazione di mostre internazionali d’arte da subito pensate con carattere ricorrente. Nata inizialmente per accogliere opere d’arte figurativa, in seguito è stata dedicata a ogni espressione artistica: dalla musica al teatro, passando per architettura e danza. L’appuntamento, che ha sempre raccolto in Laguna le ultime avanguardie e il risultato delle menti più creative e innovative del globo, declina ed esplora l’arte in ogni sua forma.
Dal 1893 a oggi, in questa manifestazione che richiama pubblico da tutto il mondo, si è visto di tutto e di più. Senza dubbio la Biennale Arte del 2022 è piena di vita, molto colorata, concreta e oggettuale. Innumerevoli i quadri, le sculture, gli oggetti e, al contrario, pochissimi i video. Perché la nuova tecnologia non è detto che debba essere digitale, può essere anche analogica.
La tecnologia digitale è stata invece protagonista della Biennale Danza diretta per la seconda volta da Wayne McGregor che, con Le Bal de Paris – della coreografa e regista spagnola Blanca Li – e la proiezione tridimensionale in loop di Tobias Gremmler dal titoloFields, catapulta il pubblico nel mondo virtuale.
Del resto è la stessa formazione di McGregor a coinvolgerlo sempre più in interazioni con approcci scientifici per costruire coreografie sempre più cyber. Pur arrivando da una formazione tecnica contemporanea rigorosa, Wayne non vede limiti nell’arte della danza. “I confini fisici svaniscono con la stessa rapidità con cui vengono ridisegnati quelli geografici. E tuttavia lo spirito dell’uomo trascende continuamente sé stesso verso uno stato di perenne indefinitezza, impermeabilità, libertà” – queste le parole di chi quei confini li ha sbriciolati durante tutta la sua carriera.
E se comunque davanti allo spettacolo Le Bal de Paris (che coinvolge direttamente il pubblico) e l’installazione di Tobias Gremmler non si può che rimanere stupiti e affascinati, lo stesso non accade dopo aver assistito alla performance Carnación ad opera di Rocío Molina. Il Direttore della Biennale Danza afferma che la danza può far scoprire modi alternativi di vedere e di vivere mentre condividiamo e mescoliamo i confini tradizionali e andiamo oltre. La diversità di pensiero è fondamentale per l’innovazione. Voci da tutto il mondo che sono storie e che hanno storie diverse da raccontare lo emozionano e ispirano. “Il legame che c’è tra loro è quello che produce una feroce sperimentazione” ha affermato McGregor in un’intervista. Ma fino a che punto deve arrivare questa feroce sperimentazione chiediamo noi?
Nello spettacolo della Molina, vincitrice del Leone d’Argento 2022,non c’è nulla di virtuale, anzi, è tutto vero, forte, e arriva allo stomaco come un pugno inaspettato. Apoteosi di una spasmodica ricerca Carnación mette in scena una battaglia fra il corpo vulcanico della danzatrice, un uomo, un gruppo di musicisti e uno di cantori. La scena scarna con al centro del palco solo una sedia e, in fondo a destra, un pianoforte verticale accoglie l’entrata della ballerina di Granada. È sola. Indossa un vestito rosa con ampio tulle. La sedia le serve per mettere a prova la sua fisicità. Ci sale sopra, la esplora, sembra un serpente che si insinua tra spalliera, seduta e gambe. Ripete l’operazione svariate volte. Ma non sembra mai paga di questa operazione fisica. Poi entra un uomo, lui invece è invitato a sedersi su quella sedia, che diventa strumento di tortura per lui. La ballerina comincia a legarlo con varie corde, gli ferma prima i polsi, poi le spalle, la bocca, gli occhi, le caviglie, senza che lui reagisca. La Molina veste i panni di una Madonna che attraverso azioni violente racconta la vita del figlio, Cristo, destinato a morire di atroci sofferenze. Le sofferenze che infligge all’uomo, le infliggerà anche a sé stessa, come se quella fosse l’unica possibilità di amore e di salvezza. Lui si libererà poi dai lacci e, presa la chitarra in mano, comincerà a cantare quei tipici canti di tradizione spagnola che ben si accompagnano al flamenco, che lei danza con grande abilità. Ma tutto non prosegue con una vivace danza spagnola, anzi. Imbrigliata in una sottogonna di vimini indossata al contrario, la Molina si lascia trascinare in un crescendo diabolico che degenera nuovamente in violenza. Volano schiaffi tra lei e l’uomo che si colpiscono a vicenda, ma anche verso sé stessi. Scene di sadismo e masochismo si alternano generando un certo imbarazzo tra il pubblico. Alcuni si alzano dirigendosi verso l’uscita. Non è facile, col caldo che fa anche all’interno della sala Tesa III dell’Arsenale di Venezia, sopportare tanto, ma il talento della coreografa spagnola sta anche nel saper smorzare la tensione al momento giusto. Se quelle persone che hanno deciso di non proseguire la visione avessero aspettato ancora qualche minuto, avrebbero visto il cambiamento disorientante del finale. L’ironia ha il sopravvento. Via corde, via dolore, solo danza libera per tutto e per tutti. Ballano musicisti, cantanti, l’uomo del sacrificio e lei, sempre più sfrenata. La danza della Molina è un sole nero che genera una serie di metamorfosi, inventando nuove possibilità di convivenza tra sé stessa e altri, completamente diversi da lei. Il pavimento impolverato su cui si trascina stretta dalle corde usate prima sull’uomo sono una sorta di bondage durissimo. Tutto ruota intorno al desiderio carnale che, per lei, è anche “una via spirituale”, difficile però da far digerire a tutti. Indubbio che Rocío Molina sia davvero una forza della natura, ottimi gli elementi che lavorano con lei – dal cantante-attore Paco ‘Niño de Elche’ al pianista Pepe Benítez, la violinista Maureen Choi, il soprano Olalla Alemáned, il Coro Cantori Veneziani & proyectoeLe – ma la domanda sorge spontanea: è questo il tipo di creatività che vuole la danza oggi?
Se la danza è quell’arte che fonde bellezza e armonia, eleganza e disciplina, in cui il corpo è in perfetta sintonia con la mente e con la musica che l’accompagna, la risposta dovrebbe essere: no. Ma la danza è anche un’arte che non conosce limiti, e se come scrisse Garcia Lorca: “Colui che danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma”, allora si comprende e giustifica anche il lavoro di Rocío Molina che, affermando che il limite esiste solo nella nostra prospettiva, lo brucia con la sua fiamma che dilaga come un incendio.
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito della Biennale Danza 2022:
Carnación
danza Rocío Molina
canto Paco ‘Niño de Elche’
piano / musica elettronica / programmi Pepe Benítez
violino Maureen Choi
soprano Olalla Alemán
Cori Coro Cantori Veneziani e proyectoeLe
Ideazione e coreografia Rocío Molina
co-direzione Rocío Molina e Juan Kruz Díaz de Garaio Esnaola
direzione musicale ‘Niño de Elche’ in collaborazione con Rocío Molina e Juan Kruz Díaz de Garaio Esnaola
musica per Cumbia ed Exhorcismo Pepe Benítez
design spazio scenico Juan Kruz Díaz de Garaio Esnaola con la collaborazione di Julia Valencia
costumi Leandro Cano con la collaborazione di Julia Valencia
disegno luci Carlos Marquerie
direttore del coro Carlos Cansino
fotografo Simone Fratini
disegno del suono Javier Álvarez
testi Enrique Fuenteblanca
direzione tecnica Carmen Mori
tecnico luci David Benito
direttore di scena María Agar Martínez
Shibari artists Simone Fratini e GlüWür
direttore di produzione El Mandaito Producciones SL
Una coproduzione di Biennale Danza Venezia, Seville Flamenco de Biennale, Grec 2023 Festival de Barcelona and Teatro Español
venerdì, 5 agosto 2022
In copertina: una scena dello spettacolo Carnación, foto © Simone Fratini.