E se fossimo noi a restare chiusi fuori?
di Simona Maria Frigerio
L’Occidente costituitosi con la Guerra Fredda, ossia i Paesi satelliti degli Stati Uniti (UE, Canada, Australia, Giappone ‘riabilitato’ e lo UK post-Brexit), ha manipolato le sorti del mondo per oltre mezzo secolo ma, dallo scoppio della cosiddetta pandemia, qualcosa si è incrinato. Anche a non voler credere a piani fantapolitici è indubbio che la gestione della stessa ha mirato più ai guadagni di Big Pharma che non a seri investimenti nella sanità pubblica, al controllo del singolo più che all’efficacia delle misure di contenimento, e a instillare terrore e ubbidienza più che a responsabilizzare i cittadini e a far loro assumere atteggiamenti positivi.
In molti, già prima, avevano compreso che con l’emergere della Cina (e dei suoi Paesi satelliti, ovvero quelli del Sud-Est Asiatico) a livello economico e geo-strategico, la ‘pacchia’ di cui aveva goduto il nostro sistema predatorio e vessatorio di delocalizzazione della produzione in aree del mondo dove la manodopera costasse meno e le aziende potessero evitare le tasse, stava per finire.
L’immissione di dollari sproporzionata e tesa solo all’acquisto di beni (e non per i servizi – pensiamo all’istituzione, per esempio, di un efficiente sistema sanitario nazionale negli Usa), tra l’altro in un momento di crisi della produzione e della supply chain, poteva trovare sbocco solamente se il dollaro restava unica moneta di riferimento degli scambi internazionali, garantendo così non solamente il sostegno a una circolazione di banconote verdi mai vista prima ma, indirettamente, dando fiducia agli investitori internazionali che reggono il loro valore acquistando i titoli di chi se ne fa garante, ossia gli Stati Uniti stessi.
Ora, se la guerra civile in Ucraina, foraggiata dai Paesi Nato e istigata dagli Usa, terminasse con la sconfitta (alquanto improbabile) della Russia, gli Stati Uniti non vincerebbero tanto contro uno Stato ideologicamente antagonista rispetto al proprio sistema capitalistico (come sarebbe stata l’Urss) ma contro l’idea che un nuovo asse di Paesi che va dal Latino-America all’Iran, passando per India Cina e molti Stati africani, possa diventare protagonista del nuovo corso economico mondiale – imponendo, ad esempio, che gli scambi avvengano con le monete nazionali di ciascuno Stato. E non solo, gli States diventerebbero nuovamente, in un’Europa devastata finanziariamente e dipendente dall’estero in materia di energia e/o materie prime, i nuovi artefici del post-bellico che, se negli anni 60, ci regalò – a noi, italiani – un breve periodo di boom economico, lo stesso andò di pari passo con un esacerbarsi della dipendenza dal Paese a Stelle e Strisce in ogni settore, dalle scelte di politica economica (pensiamo all’omicidio irrisolto di Enrico Mattei) a quelle politiche tout-court (partendo dalla Gladio e dalle stragi di Stato in avanti).
E però, più che sul campo di battaglia del Donbass – dove la maggioranza della popolazione sta riconquistando la libertà sancendo, purtroppo con le armi, il diritto all’indipendenza espresso con i referendum otto anni fa – la Russia, ma anche la Cina, il Messico e l’India, il Sudamerica e l’Africa, in breve i quasi sette miliardi di popolazione che non sono coalizzati nella Nato (la quale ammette di rappresentare circa un miliardo di individui) potrebbero vincere la battaglia per un mondo multipolare mostrando semplicemente un po’ più di coraggio.
Occorrerebbe che finalmente siano loro a sanzionare noi. Niente più gas dalla Russia, petrolio dai Paesi Arabi, litio dalla Bolivia, diamanti dal Sudafrica, grano dalla Cina, e così via. Un nuovo sistema di Paesi con un proprio circuito bancario e uno Swift indipendente per le transazioni finanziarie, scambi internazionali in monete nazionali, e 140 Paesi (poco più o poco meno) che comprano, vendono e si scambiano prodotti, materie prime e manodopera fra loro – sanzionando noi altri in maniera definitiva.
Bob Dylan cantava: “Mama, put my guns in the ground / I can’t shoot them anymore / That long black cloud is comin’ down / I feel like I’m knockin’ on heaven’s door”.
Arundhati Roy scrive : “Un altro mondo, non solo è possibile, ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare”.
venerdì, 29 luglio 2022
In copertina: La Grande Muraglia Cinese, foto di JLB1988 da Pixabay.