Heavy Kinship #8: Water, Flesh and Rock / Tiresias
di Simona Maria Frigerio
Una cava è una ferita sul volto della montagna? Una cicatrice da ricucire? O un segno dellʼuomo che, modificando lʼambiente, ha creato rifugio, nutrimento e, col tempo, prosperità e ricchezza per un particolare milieu sociale?
Nana Francisca Schottländer accompagna gli spettatori in un esperimento di ʻascolto della pietraʼ, in una tra le molte cave di porfido del Trentino, quindi tra le strade di Lases (borgo edificato in porfido) e infine in Val Fredda, dove la montagna è stata erosa, ma naturalmente, e lʼaria gelida si incanala tra i sentieri coperti da una fitta e rigogliosa vegetazione alpina.
Per arrivare nellʼarea delle cave, in pullman, si ascolta in preregistrato lʼesperienza di un anziano cavatore che racconta come la propria attività sia cambiata negli anni: si sia sgravata, ad esempio, della posizione china, sia stata molto redditizia (un cavatore qualche anno fa, a fronte dello stipendio di un operaio di un milione di lire, ne guadagnava anche il doppio e oltre, ma gran parte era frutto del cottimo) e ancora, come sia molto diminuita nel tempo e, quindi, sia indispensabile investire in cultura in modo da comprendere come riutilizzare le cave in modo produttivo quando si devono chiudere, perché già troppo sfruttate o quando le richieste del mercato calano. Da approfondire lʼidea che una cava sia meno devastante, a livello ambientale, di un meleto (a causa degli antiparassitari). Così come il suggerimento che si debba conservarla, anche solo in parte (dopo aver sventrato la montagna), come segno e riconoscimento del passaggio dellʼuomo e dellʼattività esercitata dallo stesso sullʼambiente.
Sembra di intravedere, in trasparenza, il bisogno dellʼessere umano di lasciare sempre e ovunque la propria impronta. A livello personale preferiamo la filosofia di Erri De Luca: «È bello non lasciare traccia. Se penso che i passi dei primi astronauti sulla luna hanno lasciato orme che stanno ancora lì per mancanza di vento e di pioggia, benedico i miei che si ricoprono. La traccia indelebile dello scarpone di Armstrong è un chiodo fisso per me, vorrei andare lassù con una scopa a cancellarla».
Cambio di registro, ancora una volta, in serata. Al Teatro Comunale, alle 20.30, arriva Tiresias, con un poliedrico Gabriele Portoghese, perfettamente in parte e ben coadiuvato a livello tecnico, su testo pindarico di Kae Tempest. Restare se stessi in tempi di mutamenti, feroci, incomprensibili. Conservarsi integri, essere coerenti e seguire lʼamore – mutevole, enigmatico, passionale o casalingo.
Una performance attorale eccellente con altrettanto eccellente supporto scenotecnico, ritmi precisi e un buon mix di dramma e ironia, tragedia e contemporaneità che si sposano con garbo. Il testo, però, a volte diventa eccessivamente verboso e la parola, troppo imponente, schiaccia lʼimmagine che vorrebbe creare nella mente dello spettatore. Un testo più adatto alla lettura che al palcoscenico.
Domani sarà un altro giorno, qui a Pergine. Letʼs follow us next week!
Pergine Festival 2022
Pergine, varie location
sabato 9 luglio 2022
Cave di porfido, dalle ore 10.00
Heavy Kinship #8: Water, Flesh and Rock
Stages of fluidity and notions of mobility and time
ideato e condotto da Nana Francisca Schottländer
Teatro Comunale, ore 20.30
Tiresias
Project BlueMotion
basato su Hold your own di Kae Tempest
traduzione Riccardo Duranti
regia Giorgina Pi
con Gabriele Portoghese
dimensione sonora Collettivo Angelo Mai
bagliori Maria Vittoria Tessitore
echi Vasilis Dramountanis
costumi Sandra Cardini
luci Andrea Gallo
accompagnamento Benedetta Boggio
produzione Angelo Mai/Bluemotion
foto ©Claudia Paiewsky
venerdì, 22 luglio 2022
In copertina: Gabriele Portoghese, protagonista di Tiresias, in una foto di Claudia Paiewsky (gentilmente fornita dallʼUfficio stampa del Festival).