Alla Gorgona va in scena Metamorfosi
di Simona Maria Frigerio
Ovidio, la Creazione secondo la Bibbia, visioni del mondo animiste o panteiste si confondono nell’universo bucolico dell’ultima isola-carcere italiana, la Gorgona (la Urgo di Plinio il Vecchio), dove va in scena la seconda tappa di una trilogia dedicata al mare dal regista Gianfranco Pedullà, declinata e agita dagli ‘ospiti’ della Casa di reclusione.
Una madre-terra che ricorda La sposa cadavere di Tim Burton, il Minotauro più legato al capolavoro di Friedrich Dürrenmatt che al mito classico, la napoletanità che erompe come il Vesuvio tra i versi e dà ritmo e credibilità a due cantastorie popolari – e, in tempi di retrospettiva su Giacomo Verde, non possono che riportarcelo alla mente.
Ma qui non scriveremo altro sulla prova attorale corale e nemmeno, per una volta, sull’importanza del teatro come elemento qualificante per il reinserimento sociale dei detenuti – in quanto mezzo per conoscersi dentro, confrontarsi, assumersi responsabilità come singoli e come gruppo, avendo il tempo di masticare pensieri e idee che, forse, ci sono sempre appartenuti anche se non li avevamo mai pienamente afferrati.
Tutto già detto, meglio da altri, e scritto più volte. Quello che ci preme testimoniare, in questa occasione, è il soffio che aleggia, l’atmosfera che avvolge, spettatori e attori, ‘liberi’ e ‘reclusi’ su un’isola, elemento naturale da sempre connesso con sogni di libertà e incubi di reclusione. Pensiamo al carcerato par excellence dei romanzi di cappa e spada, il Conte di Montrecristo, al naufrago per antonomasia, Robinson Crusoe, ma soprattutto alla responsabilità di essere liberi che sarà il duro insegnamento di vita de Il signore delle mosche o a Calibano, il figlio della strega Sycorax – lo schiavo/signore dell’isola de La Tempesta shakespeariana. In tutti questi capolavori letterari, come nel bel film di Frank Darabont, con Tim Robbins e Morgan Freeman, Le ali della libertà, l’isola è insieme meta e tormento, sogno e banco di prova, educazione sentimentale e mezzo di rivalsa. In un’isola, come questa, che sembra racchiusa in una valva di conchiglia, abitata più da gabbiani che da esseri umani, ci si può sentire ferocemente costretti e potentemente liberi.
Alla fine la lezione lascia la sua impronta, sia su chi resta sia su chi parte e, come insegnava Il Gabbiano Jonathan Livingston, tutti ci riconosciamo in quelle parole: “Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a render così breve la vita d’un gabbiano”.
venerdì, 22 luglio 2022
In copertina: Foto di Alessandro Botticelli (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa).