A Polis si mette in scena l’uomo dietro allo scienziato
di Anna Maria Monteverdi
Il Festival Polis di Ravenna a cura della compagnia ErosAntEros creato con grande passione dai fondatori, i registi e interpreti Davide Sacco e Agata Tomsic, ha portato in Italia dal 3 all’8 maggio 2022 la drammaturgia francese contemporanea e ha inserito alcuni debutti nazionali di grande valore; tra questi la Compagnia Licia Lanera e gli stessi ErosAnteros che hanno presentato lo spettacolo Confini di grande impegno politico e impatto visivo. Tre le location: Teatro Alighieri, il Teatro Rasi, il Teatro Sociale e le Artificerie Almagià. Molto seguito dal pubblico, il festival è stato uno dei palcoscenici internazionali più importanti di questo anno teatrale.
Ricordiamo tra gli allestimenti ospitati, il doppio debutto di La macchina di Turing al Teatro Rasi: première del testo teatrale francese di Benoit Solès, vincitore di quattro premi Molière, debuttato ad Avignone nel 2018, e prima assoluta nazionale della regia del croato Ivica Buljan – della Compagnia Mini Teater di Lubiana. Buljan è anche direttore del Teatro Nazionale croato – sezione prosa – di Zagabria, ma altresì critico teatrale, studioso di letteratura comparata, di letteratura francese e formatore in Università e Master internazionali. Il Mini Teater, fondato nel 1999 da Buljan insieme con Robert Waltl, ha una doppia anima: pone al centro della sua attività sia il cosiddetto post drama theatre che il Theatre for the young – per il quale ha realizzato oltre 500 performance in numerosi festival in Slovenia e all’estero. La Compagnia ha rappresentato i suoi lavori in Festival in Turchia, Francia, Portogallo, Russia, Inghilterra, Iran, Polonia, Cuba, Venezuela, Austria, Albania con grande riscontro di critica e di pubblico. Buljan ha messo in scena autori politici come Marina Tsvetaeva, Pier Paolo Pasolini, Heiner Müller, Robert Walser, Elfriede Jelinek, Bernard Marie Koltès.
La formula dell’incontro con l’Autore alla fine dello spettacolo ha permesso di approfondire un po’ il processo creativo, le motivazioni e le modalità espressive.
Lo spettacolo La macchina di Turing si basa sulla figura del grande matematico, crittografo inglese, il geniale Alan Turing considerato il padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale grazie alla sua formalizzazione dei concetti di algoritmo e di calcolo mediante la famosa macchina da lui inventata e che porta il suo nome, che fece fare un passo avanti nell’evoluzione verso il moderno computer. Non c’è testo che abbia a che fare con algoritmi, intelligenza artificiale, cognitive computing, machine learning che non si apra con il famoso test di Turing che nasce come un criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare come un essere umano. E’ l’Imitation Game che riporta anche al titolo del film dedicato alla biografia del matematico. Turing per primo si pose il problema, in un saggio del 1950, Computing machine and intelligence “se sia possibile per ciò che è meccanico manifestare un comportamento intelligente”; per macchina intelligente Turing intendeva una macchina in grado di pensare, nel senso di essere capace di concatenare idee e di esprimerle. Turing stimava che si sarebbe arrivati a quello intorno alla fine del XX° secolo.
Conosciamo la sua storia: lavorò nel gruppo di crittoanalisti di Blentchlee Park (Regno Unito) per decriptare i messaggi delle potenze dell’Asse e della macchina crittografica da loro utilizzata chiamata Enigma. E riuscì nell’impresa grazie allo sviluppo della macchina – la Bomba – che aiutò l’Inghilterra e gli alleati in guerra ribaltando, così, le sorti del conflitto. Enigma è anche il titolo della famosa biografia di Turing. Una biografia che ci racconta anche le difficoltà, l’emarginazione e la violenza della società contro di lui in quanto omosessuale costretto alla castrazione chimica per non andare in prigione.
Questo spettacolo parte da un testo teatrale francese di Benoit Solès, Turing’s Machine: Solès ha deciso di offrire un’ulteriore riabilitazione di Turing, avvenuta purtroppo molto tardi, nel 2013, una ̔riabilitazione teatrale’. Fedele in parte alla realtà dei fatti, prende il 1952 come punto di partenza per navigare nella vita e nel lavoro del matematico, dalla sua adolescenza segnata dalla morte dell’amico Christopher Marcom allo sviluppo del test di Turing. “È la storia di un uomo che corre”, ha scritto l’autore Benoit Solès.
Questa immagine simbolica della corsa – una maratona contro il tempo di questo genio atletico per decriptare Enigma, ma anche per arrivare prima degli altri alle conclusioni scientifiche – è lo spunto per lo spettacolo del Mini Teater che impronta il lavoro in modo minimale, sui corpi dei tre artisti in scena, che si scambiano ruoli e attraverso i cui gesti si evoca la biografia punteggiata da lutti, che lo segneranno (quello dell’amico di studi e di vita Christopher Morcom, già segnalato e altri), ma anche dalla solitudine e dalla depressione. Si è voluto porre al centro l’uomo – la sua vita tormentata, il suo essere emarginato, umiliato, perseguitato per la sua omosessualità, privato della libertà – e, nel contempo, lo scienziato che guardò alla potenzialità e alla grandezza della mente umana aiutata dalla macchina; ma al centro è anche il fallimento delle istituzioni che gli furono particolarmente ostili e violente al punto da indurlo al suicidio. Un fallimento del mondo della scienza e dell’umanità stessa.
Da una parte la biografia di Andrew Hodges, a cui lo spettacolo si rifà, è molto dettagliata e accurata e ci fa conoscere il lato umano e personale di un genio, dall’altra la filmografia è servita come schema di racconto e di sintesi: Imitation Game ha vinto l’Oscar ed è entrato nell’immaginario collettivo. Anche un romanzo molto recente di Ian Mac Ewan, Macchine come noi, si ispira alle teorie di Turing e persino una graphic novel. Quanto era importante riproporre la sua storia anche a teatro? Cosa può dire di più il teatro rispetto a queste altre forme, a questi linguaggi? Il regista ci racconta che non c’è il rischio di un imitation game da parte del teatro nei confronti del cinema perché il linguaggio che lui ha privilegiato è unicamente quello del corpo, con un’ispirazione “da Grotowsky ad Artaud”.
I tre attori incarnano non solo i personaggi ma gli ingranaggi della storia e delle rispettive relazioni; incarnano le dinamiche scientifiche, le formule, le esitazioni e gli errori umani ma anche le macchine imperscrutabili nei loro calcoli.
In copertina: L’incontro pubblico con il regista Ivica Buljan, presente anche Anna Maria Monteverdi, sulla destra (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Festival).