Una visita da Siglo de Oro
di Simona Maria Frigerio
Inizieremo la nostra immersione in uno tra i più ricchi musei al mondo dal primo piano (meglio organizzato e più lineare nelle scelte espositive).
Il salone principale è interamente dedicato ad alcuni capolavori della pittura italiana, ma il suo cuore pulsante è la sala ovale, sulla destra rispetto all’entrata, che ospita alcuni ritratti di corte e il capolavoro di Diego Velázquez, Las meninas (1656, olio su tela). Aldilà delle dame di corte del titolo, ciò che colpisce nel quadro è la modernità della composizione e dell’occhio del pittore. Come in una scena teatrale, tutti i personaggi fissano l’osservatore/spettatore mettendosi in posa per la rappresentazione del potere. Il gioco di sguardi va però aldilà di questo dialogo muto ampliandosi a un rispecchiamento intessuto di presenze, assenze (il riflesso di Felipe IV e Maria de Austria) ed entrate in scena teatrali dal fondo quasi cortinato. Il pittore, nel contempo, si pone nel quadro come protagonista, sullo stesso piano dell’infanta Margarita, nobilitando la propria professione e il proprio ruolo, mentre il gioco intellettuale con noi, osservatori, si spinge al punto da farci domandare cosa stia dipingendo (la tela non è, infatti, visibile), mentre la sovrapposizione di piani – il dubbio se non siamo noi le figure a essere ritratte (noi stessi nel quadro, osservati dai protagonisti di Velázquez) – si sposa con l’illusione prospettica. Un’opera da osservare nel dettaglio e nell’insieme – a diverse distanze.
Sempre di Velázquez, in una sala adiacente, Las hilanderas (1655/60, olio su tela), quadro parzialmente nascosto dato che è stata celata la parte di tela aggiunta posteriormente e che modificava la sua lettura. Da notare, aldilà di questa curiosità, la scioltezza e libertà del tratto pittorico che fa presagire con largo anticipo un Delacroix o la pittura impressionista.
Il salone, come scrivevamo, è appannaggio di alcuni tra i maggiori esponenti della scuola veneta. Segnaliamo solamente tre delle molte opere in collezione. Del Tiziano, il celebre ritratto dell’Imperatore Carlo V con perro (1533, olio su tela). La maestria nella restituzione dei tratti si unisce a un’ottima resa psicologica, il magistero nel tre quarti, nella precisione nelle ombreggiature e nella trattazione delle impunture sulle maniche impreziosite e del broccato si completa con la capacità di donare dolcezza allo sguardo, più che umano, del cane da compagnia, e di uniformare l’intera composizione grazie a scelte coloristiche che amalgamano le forme e ammorbidiscono i contorni. Del Veronese, da non perdere, Venus y Adonis (1580, olio su tela), in cui l’abbandono del corpo di Adone, sebbene appaia naturale, crea una visione prospettica con focus sul ventre di Venere, mentre il ginocchio sinistro piegato dà profondità prospettica a una composizione che, altrimenti, risulterebbe piatta. Il cane, accoccolato in primo piano è di una precisione ed espressività a sé stanti. L’amato Tintoretto dalle architetture geometriche, preferibilmente in diagonale, e sublimamente oniriche, lo ritroviamo nel Lavatorio (1548/49, olio su tela). La prospettiva dello sguardo si stempera in acque azzurrine, riflettenti, che paiono continuare i giochi policromi del pavimento in marmo. Le figure dei discepoli sparse – a solo o in gruppi di due o tre – restituiscono naturalezza a una composizione peraltro precisissima. Il triangolo in primo piano sulla destra si contrappone a quello in secondo piano – a centro sinistra – ove il vetrice (l’uomo in azzurro) esaspera la diagonale prospettica contrapponendosi al timpano del tempietto sullo sfondo. A ciascuno spettatore apprezzare in proprio la magia matematica del grande compositore di figure e piani.
In una sala a parte, per la ritrattistica di corte, si ammirano Ana de Austria, Reina de Francia e Maria de Medici, regina di Francia (entrambi del 1622, olio su tela), di Rubens, di cui si apprezza la luce che circonfonde i volti partendo dalla delicatissima trattazione del pizzo trasparente dei colli alla moda francese. A latere, due raffinati ritratti di Anton van Dyck, Mary Lady van Dick (1640, olio su tela) – che si distingue per l’espressività e il gesto quasi birichini – e Hombre con laúd (1627, olio su tela), anch’esso vibrante di vitalità. Famoso, sempre di Van Dick, il ritratto del Pintor Martin Ryckaert (1651, olio su tavola), ove la tristezza dello sguardo rimanda alla sofferenza psicologica della perdita di una mano, mentre la morbidezza della posa e nella trattazione pittorica della pelliccia, della barba e dei capelli esalta la schiettezza e il calore della personalità del soggetto. In mostra, ancora, la Lamentación (1618/20, olio su tela), sempre di van Dick, in cui spicca la naturalezza di un Cristo morente, ove è il corpo straziato (da notare il sangue raggrumato nella narice) dell’uomo a prevalere sulla dimensione mi(s)tica.
Del predecessore, anch’egli fiammingo, di van Dick, ossia Pieter Paul Rubens (1577/1640), in esposizione, molte tra le famose figure femminili – umane, opulente, debordanti di carnalità, in una parola rubensiane. Un discorso a sé merita la natura morta del Filopómenes descubierto (1609, olio su tela), dipinto insieme a Frans Snyders, in quanto gli autentici protagonisti dell’opera sono il cigno reclinato quasi a comporre una croce e la livrea, per contrasto, sgargiante del pavone.
Parentesi Murillo (1617/82): grazia, leggiadria, una luce che circonfonde personaggi sacri in scene bucoliche e popolari, dove sacro e profano si confondono per restituire umanità – esemplare, in questo senso, la composizione domestica e carica di affettuosa familiarità de La Sagrada Familia del pajarito, 1650, olio su tela. Mentre, volto angelicamente puro e anacronisticamente giovane quello de La Inmaculada del Escorial (1660/65, olio su tela), che ascende ai cieli con la freschezza dell’adolescente – e della vergine.
La visita al primo piano non può eludere El Greco, del quale si espongono le Pinturas para el Retablo de Doña María de Aragón (1596/1600, olio su tela), dal tratto nervoso, i colori fauve, le ombreggiature espressioniste e un uso fortemente drammatico della luce (più che in senso teatrale, psicologico). È impossibile – per verticalismo e trattazione delle masse – non ravvedervi i prodromi di future esperienze, ivi compreso un ciclo di Emilio Vedova, Mosè salvato dalle acque, ufficialmente ispirato al Tintoretto. Nella stessa sala, curiosamente, Busto di donna di Picasso (1943, olio su tela)
Del Caravaggio, David vencedor de Goliat (1600, olio su tela). Capolavoro. Come non notare le unghie del piede sporche, in primo piano, che riconducono le pagine della Bibbia alla crudeltà tutta terrena dell’uccisione di un essere umano da parte di un altro? Qui non si è di fronte alla glorificazione di Israele o alla restituzione della fabula religiosa bensì del corpo, sia esso soavemente delineato dalla luce che morbidamente accarezza la spalla del giovinetto o sia esso racchiuso nel ritratto rugoso e ferito di Golia. Nulla aggiungiamo sulla composizione: l’apoteosi della vittoria costretta in un piccolo quadro dove due corpi si decostruiscono in una geometria precisa e compressa.
E infine (avendo aperto su Velázquez) non si può che chiudere con un Goya ancora cortigiano e il suo La familia de Carlos IV (1800, olio su tela). Diciamo che la sordità forse lo disturbò psicologicamente ma, alla sua pittura, l’infelicità ombrosa giovò indubbiamente.
Per il piano terra vi rimandiamo alla prossima settimana.
venerdì, 15 luglio 2022
In copertina: Foto di Falco da Pixabay.