Uranio impoverito: si muore solo all’estero?
di Simona Maria Frigerio
Mentre in Serbia si cerca di mettere la NATO di fronte alle proprie responsabilità per i proiettili all’uranio impoverito utilizzati nel corso dell’operazione Allied Force (protrattasi dal 24 marzo al 10 giugno 1999), i familiari dei militari italiani, vittime di quello stesso depleted uranium, sono in causa contro il Ministero della Difesa e lo Stato italiano per avere quei risarcimenti economici che non possono pareggiare i conti con la perdita di una vita umana, ma almeno possono rendere palesi le responsabilità e gli errori commessi nei teatri di guerra e sul territorio italiano.
E di guerra occorre parlare, sradicando per sempre il concetto nel quale le nostre coscienze occidentali hanno amato cullarsi – ossia le ‘missioni di pace’ che provocavano al più qualche ‘danno collaterale’. Come aveva dichiarato l’ex Presidente della Serbia, Boris Tadić, nel decennale dei bombardamenti, di fronte al Consiglio di Sicurezza della Nato: “Durante i tre mesi di bombardamenti di città e villaggi, sono stati uccisi 2.500 civili, tra i quali 89 bambini, e 12.500 feriti. In queste cifre non sono comprese le morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle radiazioni delle bombe ad uranio impoverito”. In quella ‘brillante missione di pace’ – perché la NATO porta ovunque la colomba con il ramoscello d’ulivo – con 2.300 attacchi aerei, l’Alleanza Atlantica distrusse 148 edifici, 62 ponti, danneggiò 300 tra scuole, ospedali e istituzioni statali e – in maniera più efficiente dei talebani con i Buddha di Bamiyan – 176 monumenti di interesse culturale e artistico.
Ma non solo. Il parlamentare serbo Darko Laketić ha denunciato, nel 2018, che dopo quei bombardamenti, si sono fatti diversi studi sulla popolazione. Nel periodo 2000-2004 è emersa un’incidenza “di tumori maligni, malattie del sangue e congenite nella popolazione infantile oltre 18 volte più alta rispetto alla media UE”.
L’uranio impoverito, però, non è solo sotto accusa in Serbia e in altri Paesi bombardati dalla NATO negli ultimi trent’anni – dall’Iraq all’Afghanistan – bensì anche in Italia, una Repubblica con diverse aree del proprio territorio che potremmo definire ‘a sovranità limitata’ – ossia le basi NATO e i poligoni di tiro.
Da una di queste zone militari, parte il racconto del Maresciallo dell’Aeronautica Militare Giovanni Luca Lepore, morto nel 2005. La causa della sua morte, ossia il tumore maligno, non sarebbe ricollegabile ai proiettili a uranio impoverito usati in un teatro di guerra, bensì al suo servizio, svolto tra il 2001 ed il 2004 presso il poligono di Salto di Quirra e il distaccamento a mare di Capo San Lorenzo, entrambi in Sardegna – dov’era operatore missilistico. Il problema della radioattività nei poligoni presenti in Italia è forse ancor meno noto dell’uso dei proiettili all’uranio impoverito in ex Jugoslavia. Per raccontarvi la sua storia, abbiamo intervistato uno dei suoi fratelli, Simone Lepore, che da anni si batte per verità e giustizia.
Partiamo dalla vicenda di suo fratello. Perché è così difficile portare alla luce la questione dei poligoni di tiro in Italia?
Simone Lepore: «La storia dei poligoni NATO in Italia è rimasta sempre un po’ nell’ombra in quanto non sono sotto esclusiva gestione italiana ma vi concorre una serie di forze. I poligoni sono persino affittati dallo Stato italiano ad aziende belliche per testare i propri prodotti (1) e, quindi, accendere i riflettori sui poligoni lede gli interessi non solo di un singolo Paese o una singola istituzione di quel Paese – come potrebbe essere il Ministero della Difesa – bensì più realtà che hanno interesse che un certo poligono esista e resti in funzione. L’associazione della quale faccio parte, l’ANVUI (2), denuncia che le stime di oltre 7000 malati (3) a causa dell’uranio impoverito siano in difetto. Bisogna tenere conto che molti hanno timore di denunciare perché dovrebbero affrontare anni di ricorsi giudiziari, oltre alle spese per gli stessi. In alcuni casi i militari malati sono avvicinati dai vertici militari che li consigliano di procedere in modo da ‘mettere la sordina’ a ciò che sta accadendo. Ecco perché le stime delle quali discutiamo sono, secondo noi, al ribasso. Inoltre, fintanto che si parla di un teatro estero si discute di una componente specifica delle forze armate, dislocata in caserme operative e che si reca all’estero. Quando si denuncia, al contrario, la situazione nei poligoni militari su suolo italiano, in pratica si sta evidenziando un pericolo potenziale per tutti i militari italiani, che potrebbero essere esposti alle radiazioni. Pensiamo solo a quanti militari fanno servizio in ferma breve oppure a quelli che, magari una sola o due volte l’anno, hanno bisogno di aree più grandi per addestrarsi: il numero di militari coinvolti lievita. Negli ultimi anni, nota positiva, grazie alle battaglie non solo della mia ma anche di tante altre famiglie – portate avanti soprattutto dall’avvocato Tartaglia (4), che è il referente legale l’ANVUI – la giurisprudenza si è arricchita di 270 sentenze positive per le vittime e le loro famiglie. Esiste, quindi, un retroterra giuridico che permette ora di stabilire che se una persona è stata presente in un certo territorio, ha preso parte a certe operazioni, senza le dovute protezioni e adeguate informazioni preventive, è altamente probabile che si sia ammalata a causa di detti comportamenti. In pratica, l’onere della prova passa, dalla vittima, in capo allo Stato italiano (5)».
Dal 2005 – anno di decesso del maresciallo – avete avuto una CTU a riscontro positivo di quanto denunciate solo nel 2019. Come mai ci sono voluti tanti anni?
S. L.: «In realtà la battaglia è iniziata nel 2014 perché fino ad allora la nostra famiglia aveva vissuto il lutto subito come una disgrazia. Questo finché il mio gemello, Emanuele, e io (che, quando morì nostro fratello, avevamo solo 15 anni) abbiamo cominciato a porci delle domande, a cercare informazioni, attingendo a fonti diverse. All’inizio abbiamo tentato la via della conciliazione bonaria. Purtroppo la richiesta di risarcimento economico è l’unico strumento che la nostra legislazione, al momento, riconosce come indennità a una persona che abbia subito un danno. Per tre anni abbiamo chiesto almeno una risposta al Ministero della Difesa anche perché a nostro fratello, nel 2008, era stata riconosciuta la causa di servizio. Quindi esisteva già una forma di riconoscimento, da parte dell’aeronautica militare, che nostro fratello si fosse ammalato e fosse deceduto per motivi di servizio – senza entrare nello specifico della causa. Dopo tre anni di silenzio da parte dello Stato italiano abbiamo deciso di intraprendere la causa legale. A questo punto abbiamo chiesto al Tribunale del lavoro di Brescia, competente in quanto nostro fratello risiedeva nella provincia di Mantova, un accertamento tecnico preventivo. Abbiamo scelto tale strada – invece di intentare una causa civile e poi attendere che il giudice convocasse una C.T.U. – perché ci sembrava la più corretta. Quindi, prima di avviare l’iter legale, si è richiesta una C.T.U., che ha sollecitato entrambe le parti (ossia, noi e l’avvocatura di Stato) a presentare tutta la documentazione in nostro possesso. Sulla base dei dati raccolti, è poi arrivata la decisione a nostro favore. Solo a quel punto abbiamo intentato il processo di fronte al Tribunale ordinario di Brescia. Al contrario, se avessimo avuto un riscontro scientifico negativo, ci saremmo astenuti».
A che punto è la causa civile, che mi risulta essere iniziata a luglio 2021, con seconda udienza quasi un anno dopo, a maggio 2022?
S. L.: «Naturalmente ci sono stati dei ritardi a causa del Covid e la prima udienza è stata rinviata tre volte. La seconda era stata convocata per il 17 febbraio di quest’anno ma la giudice era in maternità e, dato che dovevano essere depositate delle memorie, il giudice sostituto non si è sentito di assumersi la responsabilità di accettarle o meno, dato che dalle stesse poteva anche dipendere l’esito del procedimento. Arriviamo, perciò, al 5 maggio, data in cui si è tenuto anche un presidio di fronte al Tribunale. L’avvocatura di Stato in tale udienza ha chiesto una nuova perizia radiologica e questo ci è apparso subito come un tentativo di temporeggiare anche perché una perizia radiologica deve essere fatta, materialmente, sugli oggetti che mio fratello maneggiava e tali oggetti dopo 17 anni possono essere stati smaltiti o essere stati esplosi. Abbiamo, quindi, contestato la richiesta e il giudice non si è ancora pronunciato. Ovviamente se accettasse, dovrebbe essere convocata una nuova C.T.U. con tecnici specifici. Teniamo conto che la C.T.U. a noi positiva è stata firmata dal professor Verzelletti (6), che è un noto esperto di medicina legale a livello nazionale e internazionale. E inoltre, le radiazioni sono solo una parte degli agenti contaminanti a cui nostro fratello è stato esposto. L’avvocatura di Stato sembra quasi che voglia smontare l’intero discorso appellandosi a una piccola parte dello stesso».
Lei fa parte del Comitato Amici e Parenti delle vittime dei Veleni di Guerra, ed è stato tra i primi firmatari di un Appello datato 2018, per ricomprendere nei diritti dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali anche i militari. Com’è andato l’Appello (7)?
S. L.: «Teniamo conto che i poligoni sardi non sono inquinati solamente dall’uranio impoverito, dato che vi sono tanti altri metalli pesanti – come il trizio o il torio (8) – che sono utilizzati per potenziare gli armamenti e restano sospesi nell’aria, potendo potenzialmente contaminare le falde acquifere, la vegetazione, l’ecosistema in generale e, a cascata, la popolazione che vive in un certo territorio. Ecco perché Emanuele e io avevamo fondato detto Comitato per le vittime, più in generale, dei veleni di guerra. Attualmente ci tengo a dire che il Comitato è confluito nell’ANVUI – di cui abbiamo già parlato – che mira a portare la discussione anche in ambito politico. Ma torniamo all’Appello, che è rimasto inascoltato. Abbiamo anche portato avanti un’azione di rottura, mostrando uno striscione di fronte all’Altare della Patria – il 4 novembre 2018, durante la Festa delle Forze Armate – in cui chiedevamo giustizia e verità per le vittime dell’uranio impoverito e dei veleni di guerra. In quell’occasione fummo fermati dalla polizia, pur non avendo commesso alcun reato perché srotolammo semplicemente uno striscione. Purtroppo la nostra protesta fu subito ‘imbavagliata’, ma ottenemmo comunque la solidarietà di alcuni esponenti politici – tra i quali Stefano Fassina (9), che ci convocò anche in Parlamento nel 2019, e il senatore Gregorio De Falco (10). Però l’Appello, nonostante un buon numero di firme raccolte, non ha ottenuto il risultato sperato».
Le quattro commissioni d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito vi hanno fornito strumenti e dati utili nelle vostre battaglie legali per ottenere giustizia (11)?
S. L.: «Nel 2018/2019 si stavano discutendo le risultanze della quarta Commissione Parlamentare d’Inchiesta che, sostanzialmente, invitava a predisporre una proposta di legge che sollevasse i medici militari dal compito di valutare le cause di servizio e le richieste di indennità o invalidità, e che tali pratiche passassero all’Inail o a un ente esterno designato. Tale proposta di legge deve tuttora essere calendarizzata, nonostante il parlamentare Gianluca Rizzo (12) sia Presidente della Commissione Difesa e abbia fatto parte della quarta Commissione d’Inchiesta, oltre a essere stato tra i promotori della proposta di legge: pur avendo la possibilità di portarla avanti, sembra non vi sia la volontà politica di farlo. Perché sarebbe importante? Perché se per valutare una causa di servizio, nel Comitato di verifica, su tredici medici, dodici sono parte dell’apparato militare, è difficile ottenere un parere obiettivo. E pensiamo anche alla predisposizione dei documenti per la valutazione dei rischi, alle informazioni preventive che devono essere fornite sui posti di lavoro. Fino al 2008 non è mai stato fatto nessun documento di valutazione dei rischi nell’ambito del Ministero della Difesa perché non vi era una figura, nella gerarchia militare, riconosciuta giuridicamente quale responsabile di tutto ciò – paragonabile, quindi, al datore di lavoro. Formalmente, le montagne di carta prodotte dalla burocrazia delle Forze Armate erano ‘carta straccia’ perché nessuno ne doveva rispondere effettivamente. Oggi, la figura individuata dovrebbe essere quella dei comandanti di reggimento. Ma mi spiace dire che, attraverso un sistema che potremmo definire a ‘scatole cinesi’ la responsabilità è divisa tra tante di quelle figure che, praticamente, diventa nulla – basti pensare alla recente sentenza del processo tenutosi a Lanusei (13)».
L’Avvocato Angelo Fiore Tartaglia che da vent’anni difende il diritto a un equo risarcimento delle vittime dell’uranio impoverito – e dei loro familiari – adesso sta fornendo consulenza ai colleghi serbi che si stanno muovendo a favore delle vittime civili dei bombardamenti della NATO. Sta cambiando qualcosa?
S. L.: «La situazione in Serbia è decisamente peggiore della nostra. Lì si stimano 40mila casi di tumore all’anno (14) su una popolazione esigua. L’apertura di questo ricorso nei confronti della NATO – grazie anche al contributo dell’avvocato Tartaglia che, in Italia, è il maggiore esperto nel campo – potrebbe essere un tassello importante per riaprire il dibattito su quelli che il Ministero della Difesa e anche il nostro Governo hanno definito ‘effetti collaterali’ e che, al contrario, sono morti civili. Si spera che aumenti, quindi, la consapevolezza sul tema da parte della società nel suo insieme. Teniamo conto che, in Sardegna, esistono molti comitati che si muovono per la smilitarizzazione, per la bonifica dei territori e la riconversione delle aziende belliche e di quelle inquinanti. Essere presenti e agire su più fronti permette anche di avere un dibattito più ricco e articolato. Prima o poi le istituzioni dovranno affrontare la situazione, non si potrà tenerla nascosta per sempre».
Lei sa se, a parte i militari italiani, anche quelli di altri Paesi – che hanno partecipato alle guerre della NATO – stanno portando avanti cause simili?
S. L.: «Così come è difficile reperire i dati in Italia, tramite le istituzioni, altrettanto lo è all’estero. I dati italiani sono il frutto dell’esperienza diretta delle associazioni che, nel tempo, si sono impegnate su questa problematica e hanno creato un storico. Riguardo alle protezioni, posso dire che, dalle testimonianze dirette di chi è stato all’estero, solo i militari statunitensi avevano delle protezioni che, in ogni caso, non si sono rivelate adeguate. Questo perché se nel contatto diretto con i proiettili si usano delle protezioni, ma poi si beve l’acqua del posto, si mangia la carne del posto, si respira l’aria del posto, ovviamente ci si contaminerà tanto quanto. Sicuramente l’Italia è il Paese che ha sofferto e soffre di una maggiore esposizione ai veleni di guerra in quanto siamo quelli che hanno mandato, statisticamente, più uomini rispetto ad altri Stati e – subito dopo gli Stati Uniti – siamo sempre stati i primi ad arrivare e gli ultimi ad andarcene, partecipando a tutte le missioni. Essendo tanto ‘solidali’ con gli altri popoli, non abbiamo mancato un’occasione».
(1) https://ilgiornaledellambiente.it/poligoni-militari-sardegna/ denunciava il 28 febbraio 2020: “Il primo, il più ampio, è il poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra, che si estende tra Cagliari e Nuoro. È concesso in uso per esercitazioni militari anche di Stati stranieri. Alcune aree sono date in affitto ad aziende private (Piaggio, ex Finmeccanica, Leonardo, Alenia, Selex, Aermacchi, Vitrociset, Galileo Avionica, eccetera – fonte Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07735 del 2017)”;
(2) Associazione Nazionale Vittime Uranio Impoverito. Leggiamo dal loro sito https://www.associazionenazionalevittimeuranioimpoverito.it: “L’A.N.V.U.I. assiste, guida e tutela le famiglie dei deceduti e i malati affetti da patologie oncologiche che hanno prestato servizio nelle FFAA, hanno operato in territori contaminati, sono stati impiegati nei poligoni italiani nazionali ed internazionali, dei civili che hanno operato all’interno dei poligoni internazionali in Sardegna, dei civili (o dei famigliari diretti) delle vittime che hanno contratto patologie oncologiche alla cui origine vi è l’intossicazione da metalli pesanti prodotta da esplosioni belliche”;
(3) Secondo il comitato Osservatorio Militare (come da dichiarazione ad Avvenire del 2019) risultavano: 366 decessi e 7.500 malati tra le Forze Armate italiane che si presume siano correlati all’uso di uranio impoverito. Secondo una recente dichiarazione dell’Associazione Vittime dell’Uranio Impoverito il numero dei deceduti avrebbe superato quota 400;
(4) Per maggiori informazioni sull’Avvocato Angelo Fiore Tartaglia,
https://www.avvocatotartaglia.it/category/uranio-impoverito/ ;
(5) “Si conferma la strada del risarcimento per i militari che si sono ammalati al ritorno dalle missioni in Iraq, Balcani, Afghanistan e Libano. Il Tribunale amministrativo inverte l’onere della prova, ora in capo allo Stato. Dopo il caso di un sottufficiale salentino, speranza per altri duemila soldati”: https://www.nuovogiornaledeimilitari.com/uranio-impoverito-tar-si-risarcimento-militari-basta-il-nesso-probabilistico;
(6) Andrea Verzeletti, direttore dell’Istituto di Medicina Legale presso gli Spedali Civili di Brescia;
(7) Qui si può leggere l’intero Appello: https://www.pacefemministainazione.org/wp-content/uploads/2019/11/Appello-in-difesa-dei-diritti-dei-militari-contaminati-dagli-inquinanti-bellici-e-dei-loro-familiari.docx;
(8) Per il torio: https://www.lenntech.it/periodica/elementi/th.htm; per il trizio: https://www.suva.ch/it-ch/la-suva/100-anni-suva/malattie-professionali/radioprotezione;
(9) Stefano Fassina, economista e politico, deputato della Repubblica Italiana, dal 2018 fa parte del Partito politico Patria e Costituzione;
(10) Gregorio Di Falco, ufficiale della Marina Militare (Capitanerie di porto), eletto nelle fila del Movimento 5 Stelle, appartiene al Gruppo Misto;
(11) Per chi volesse approfondire:
Prima Commissione Parlamentare d’Inchiesta, istituita con deliberazione del Senato del 17 novembre 2004: https://www.parlamento.it/service/PDF/PDFServer/DF/172392.pdf
Seconda Commissione Parlamentare d’Inchiesta, istituita con deliberazione del Senato dell’11 ottobre 2006: https://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/uranio15/relazione_finale.pdf
Terza Commissione Parlamentare d’Inchiesta, istituita con deliberazione del Senato del 16 marzo 2010: https://www.yumpu.com/it/document/read/15298395/relazione-finale-della-commissione-parlamentare-di-inchiesta-sull-
Quarta Commissione Parlamentare d’Inchiesta, istituita con delibera della Camera dei deputati 30 giugno 2015, modificata con successiva delibera del 15 novembre 2017: http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/023/INTERO.pdf;
(12) Gianluca Rizzo, eletto nelle fila del Movimento 5 Stelle, Presidente della Commissione Difesa dal 21 giugno 2018 al 28 luglio 2020 e dal 29 luglio 2020 a oggi;
(13) Tutti assolti gli otto comandanti sotto processo per i veleni del Poligono Interforze di Salto di Quirra. Veleni che, secondo l’accusa, avrebbero provocato negli anni almeno 169 morti accertate tra pastori, dipendenti civili della base e militari, come apprendiamo da:
(14) Vedasi: https://www.serbianmonitor.com/21-000-persone-muoiono-ogni-anno-di-tumori-maligni-in-serbia-e-circa-40-000-si-ammalano/.
venerdì, 24 giugno 2022
In copertina: Foto di Jan Helebrant da Pixabay.
Nel pezzo: Foto di Cogitosergiosum da Pixabay.