Un’altra strage ‘di Stato’?
di Simona Maria Frigerio
Chi non ricorda il battage mediatico per la cattura del capitano Maurizio Cocciolone da parte dell’esercito iracheno durante la Prima guerra del Golfo?
Eppure, il maggiore Gianmarco Bellini e il succitato Cocciolone non sono stati le uniche vittime militari italiane delle tante, troppe guerre – pardon, missioni di pace – alle quali ha partecipato in prima linea il nostro Paese negli ultimi trent’anni. E, a differenza degli stessi, liberati dopo 47 giorni di prigionia, molti sono deceduti a causa dell’uranio impoverito, o meglio del fatto che il loro datore di lavoro, lo Stato italiano – come ha giudicato il Tribunale di Firenze in primo grado nel caso del maresciallo Pasquale Cinelli, deceduto dopo alcune missioni in Somalia e Bosnia Herzegovina – non avrebbe ottemperato al “dovere di protezione della salute dei propri soldati, dotandoli di equipaggiamenti idonei” in zone contaminate dai proiettili all’uranio impoverito.
Ma quanti anni ci sono voluti per questa, che è solo una tra le tante sentenze che stanno dando ragione ai familiari dei militari deceduti per l’uranio impoverito in missioni all’estero, e non? Mentre le commissioni d’inchiesta parlamentari si sono succedute per decenni, senza riuscire a mettere un punto fermo attribuendo responsabilità ed errori, è la magistratura (e gli avvocati di parte civile) a essersi caricata dell’onere di dare risposte e un risarcimento almeno economico a coloro che hanno perso mariti, figli o padri.
Nelle ultime sentenze, però, si è finalmente esteso ai militari un principio basilare quando si tratti di incidente sul lavoro. Nella sentenza relativa a Cinelli, in effetti, si legge: “Nell’ambito delle attività pericolose non è più il danneggiato a dover dimostrare la colpa di chi ha provocato: è chi organizza l’attività pericolosa a dimostrare, per liberarsi da ogni responsabilità, di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno” (come già sostenuto, apprendiamo, per altro caso dal Tar del Lazio).
Ma anche chi non sia andato in missione, potrebbe essere deceduto sempre a causa dell’uranio impoverito.
Non più tardi dello scorso 2 maggio, il Tribunale di Brescia – a distanza di 17 anni dal decesso del maresciallo dell’Aeronautica Militare Giovanni Luca Lepore – ha tenuto la seconda udienza (a distanza di quasi un anno dalla prima) in merito alla causa civile intentata dalla famiglia contro il Ministero della Difesa. Lepore non era andato in missione, ma aveva prestato servizio presso la caserma di Bovolone (Verona) e, tra il 2001 e il 2004, avrebbe preso parte a esercitazioni al poligono di Salto di Quirra e al distaccamento a mare di Capo San Lorenzo, in Sardegna, come operatore missilistico. Dal 2005 ci sono voluti 14 anni per ottenere un riconoscimento ufficiale (il parere di una CTU) della correlazione tra forma tumorale diagnosticata ed esposizione all’uranio impoverito – e altri due per la prima udienza della causa civile (ma su questo torneremo la settimana prossima con un’intervista a un familiare del Maresciallo).
Secondo l’Associazione Vittime dell’Uranio Impoverito sarebbero oltre 400 i militi deceduti, mentre dai dati dell’Osservatorio Militare risultano 7.600 i militari italiani ammalatisi di cancro per le armi ad uranio impoverito – utilizzate nel corso dell’operazione Allied Force in ex Jugoslavia e in altri teatri di guerra.
Fin qui la situazione riguarda quelle che potrebbero essere considerate morti sul lavoro. Ma passiamo ora in ambito civile. La Corte suprema serba ha, in questi giorni, deciso di processare la NATO per le bombe del 1999 – quelle che, italiani compresi, sganciammo su ponti sui quali transitavano treni e bus, centri abitati, reti televisive e persino su 75 civili kosovari – ovviamente uccisi per errore, come i circa 2.500 civili, di cui 89 bambini (serbi).
Sarebbero (secondo fonti stampa) oltre 3 mila i civili serbi che chiedono giustizia e un congruo risarcimento per i danni materiali causati da quella ‘operazione umanitaria’, ma anche per le forme tumorali sviluppatesi a seguito dei bombardamenti. Il Paese è al primo posto, nella classifica europea, per il numero di malattie oncologiche.
L’Alleanza Atlantica, la paladina delle nostre libertà ed esportatrice del nostro sistema ‘democratico’ come ha reagito? La NATO ha tentato di far valere l’immunità giurisdizionale. Ma apprendiamo, sempre da fonti stampa, che sia i legali di parte civile serbi sia l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia – che si è più volte battuto in tribunale in difesa dei militari italiani che si sarebbero ammalati e sarebbero deceduti a causa dell’uranio impoverito – hanno risposto sostenendo che: “l’accordo di cooperazione cui la NATO fa riferimento nella Nota a Verbale, inviata a Belgrado e che ne dovrebbe sancire l’immunità, è stato siglato nel 2005 e non ha, perciò, valore retroattivo per l’attività dell’Alleanza nel periodo 1995-2000”.
Del resto è altrettanto vero che gli armamenti contenenti uranio impoverito, avendo “effetti radioattivi e persistenza ambientale molto elevata” violano l’articolo 23 della Convenzione dell’Aja del 1899 e la Convenzione di New York del 1976. E non a caso, come specificato da https://vittime-del-dovere.it/uranio-impoverito/, “nel 2001, il capo del tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, Carla del Ponte, decretò che l’utilizzo delle armi ad uranio impoverito da parte della NATO era assimilabile a un crimine di guerra”.
Sarà anche questa l’ennesima strage ‘di Stato’ senza colpevoli? Di certo qualcosa si sta muovendo nel mondo. Dopo decenni di silenzio di fronte ai crimini commessi dalla NATO, l’Alleanza Atlantica comincia ad apparire per ciò che è in realtà – almeno nella considerazione di più larghe fasce di popolazione. Lo sgretolarsi del potere unipolare statunitense ci consegna colonie subalterne, consapevoli di un sistema di soprusi mascherato dalla propaganda massmediatica. E forse qualche muro inizia a essere meno di gomma.
Per approfondire, consigliamo l’inchiesta del collega Mauro Pili: https://www.unionesarda.it/news/mondo/strage-alluranio-impoverito-la-nato-invoca-limmunita-a5tep2a9
venerdì, 17 giugno 2022
In copertina: Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay.